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Daaro Addi, ovvero il Sicomoro del Villaggio. |
09/09/2014 13:06 #23198
da cribar
Caro Francesco,
a volte divaghiamo dai ricordi africani, ma sotto al sicomoro si parla un po' di tutto. Con il tuo nipotino i discorsi, a pere mio vanno affrontati se no ascolterà da altri. A proposito dell'omosessualità ci sono due strade, il parere religioso o il giudizio sociale, si possono percorrere -ovviamente- entrambe. Per le Religioni tutte è il più grave dei peccati, anche per il Cattolicesimo pre-conciliare è un peccato che "grida vendetta al cospetto di Dio" e non c'è altro da aggiungere. Da un punto di vista laico e sociale gli spiegherei che nessuno è immune da vizi ma che nei periodi di decadenza e corruzione molti viziosi diventano tracotanti. Ogni Impero decadente ha visto eunuchi assurgere ad alte cariche,noi li eleggiamo in Parlamento, a Presidenti di Regione, ad opinionisti nei giornali e televisioni. Puoi dire al piccolo che quando la nave affonda risalgono i topi dalla stiva.Ma non dovevo divagare e non ho neanche l'autorità per farlo. Torniamo in Etiopia, sto scrivendo la descrizione di un anno vissuto a Bahar Dar e lo dedico a te che sei Gondarino.Un saluto Cribar.
a volte divaghiamo dai ricordi africani, ma sotto al sicomoro si parla un po' di tutto. Con il tuo nipotino i discorsi, a pere mio vanno affrontati se no ascolterà da altri. A proposito dell'omosessualità ci sono due strade, il parere religioso o il giudizio sociale, si possono percorrere -ovviamente- entrambe. Per le Religioni tutte è il più grave dei peccati, anche per il Cattolicesimo pre-conciliare è un peccato che "grida vendetta al cospetto di Dio" e non c'è altro da aggiungere. Da un punto di vista laico e sociale gli spiegherei che nessuno è immune da vizi ma che nei periodi di decadenza e corruzione molti viziosi diventano tracotanti. Ogni Impero decadente ha visto eunuchi assurgere ad alte cariche,noi li eleggiamo in Parlamento, a Presidenti di Regione, ad opinionisti nei giornali e televisioni. Puoi dire al piccolo che quando la nave affonda risalgono i topi dalla stiva.Ma non dovevo divagare e non ho neanche l'autorità per farlo. Torniamo in Etiopia, sto scrivendo la descrizione di un anno vissuto a Bahar Dar e lo dedico a te che sei Gondarino.Un saluto Cribar.
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06/09/2014 09:18 #23193
da cribar
Grazie Agau,
un racconto bellissimo, conoscenza profonda delle Genti e dei costumi espressi in forma elegante. E' come se quel viaggio lo avessimo effettuato con te.
Un saluto, Cribar.
un racconto bellissimo, conoscenza profonda delle Genti e dei costumi espressi in forma elegante. E' come se quel viaggio lo avessimo effettuato con te.
Un saluto, Cribar.
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03/09/2014 10:38 #23176
da Francesco
Caro Cribar,
una bella descrizione che ci riporta nel duro contesto in cui viviamo, ovvero in un mondo surreale che, solo l'avessi immaginato molti anni fà, sicuramente avrei tentato invano una fuga indietro...verso il passato o forse "andarsene".
La scuola militare per AUC di Lecce ( detta scuola unica)era di una durezza paragonabile solo ad una caserma prussiana e non pochi superarono quei terribili due mesi e mezzo.Cantavamo, tanto per cantà: "era meglio morire da piccoli che andare alla scuola di Lecce..."
Sono a Palermo da mio figlio e stamani mio nipote, cinque anni,mi ha mostrato una pagina scabrosa di un noto rotocalco, ove campeggiava una foto con due uomini nell'atto di baciarsi...L'innocente mi ha chiesto delle spiegazioni ed io,forse preso alla sprovvista e non sapendo cosa rispondere, gli strappai la rivista dalle mani, mi alzai e andai un un'altra stanza.Avrò fatto male...non lo sò, ma ancora mi arrovello il cervello su cosa avrei dovuto rispondere ad un bambino di cinque anni!
Avrei tante e tante cose da dire. Non occorre perchè già le immaginerai e poi non voglio tediare gli altri lettori, con i quali mi scuso sempre...scusarsi e perchè? Un vecchio adagio dei nostri antenati diceva:" Excusatio non petita, accusatio manifesta".
Mas
una bella descrizione che ci riporta nel duro contesto in cui viviamo, ovvero in un mondo surreale che, solo l'avessi immaginato molti anni fà, sicuramente avrei tentato invano una fuga indietro...verso il passato o forse "andarsene".
La scuola militare per AUC di Lecce ( detta scuola unica)era di una durezza paragonabile solo ad una caserma prussiana e non pochi superarono quei terribili due mesi e mezzo.Cantavamo, tanto per cantà: "era meglio morire da piccoli che andare alla scuola di Lecce..."
Sono a Palermo da mio figlio e stamani mio nipote, cinque anni,mi ha mostrato una pagina scabrosa di un noto rotocalco, ove campeggiava una foto con due uomini nell'atto di baciarsi...L'innocente mi ha chiesto delle spiegazioni ed io,forse preso alla sprovvista e non sapendo cosa rispondere, gli strappai la rivista dalle mani, mi alzai e andai un un'altra stanza.Avrò fatto male...non lo sò, ma ancora mi arrovello il cervello su cosa avrei dovuto rispondere ad un bambino di cinque anni!
Avrei tante e tante cose da dire. Non occorre perchè già le immaginerai e poi non voglio tediare gli altri lettori, con i quali mi scuso sempre...scusarsi e perchè? Un vecchio adagio dei nostri antenati diceva:" Excusatio non petita, accusatio manifesta".
Mas
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03/09/2014 08:20 - 03/09/2014 08:24 #23173
da Agau-del-Semien
L'Amico Cristoforo ci invia questo suo scritto.Tutti noi, molto probabilmente, abbiamo vissuto ciò che egli descrive. Si, caro Cristoforo, eravamo arrivati in Itaglia!
Il miraggio: sembrava un lago svizzero, era solo una discarica .
Parlando con una signora della provincia, qui in Italia,la stessa mi espresse il desiderio di conoscere cosa fosse un miraggio e di farselo descrivere da qualcuno che, nel deserto, lo avesse visto.
Sono alquanto restio alle chiacchiere con chi conosco poco, ma visto che nella vita accade a volte l’impensabile le dissi che era fortunata perché le visione di un miraggio gliela avrei raccontata io, che un miraggio lo vidi, sempre lo stesso, più volte in Arabia Saudita e non era certo l’immagine del carrettino dei gelati e delle bibite fresche sotto le palme dell’ iconografia, comica, corrente!
Percorrendo la strada che univa Dammam ad Al-Kobar la prima una discretamente grande città antica, la seconda una cittadina più moderna e dinamica entrambe sulle rive del Golfo Persico distanti tra loro una ventina di chilometri, ora non più così perché si sono unite formando un’unica grande area metropolitana,a circa metà percorso ed in pieno deserto compariva un miraggio.
Si formava lentamente, ma assumendo contorni sempre più nitidi,l’immagine di un grande lago sulla cui sponda, opposta all’osservatore,apparivano lontane montagne sulle cui cime vegetavano i pini. Confesso che si destava una grande emozione e non si poteva fare a meno di osservare il fenomeno e conservarne il ricordo. Era una sensazione bellissima.
Man mano però che il veicolo procedeva lungo la strada la visione mutava aspetto, il lago restava sempre lo stesso ma la riva andava accorciandosi sino a trasformarsi in un’isola, sempre alberata, ma sempre più piccola poi sparivano gli alberi e restava una duna più grande delle altre ,che ormai si percepiva reale, in mezzo ad aria rarefatta che sembrava acqua, così come capita spesso di vedere d’estate sulle superfici asfaltate, successivamente spariva anche l’imma- gine dell’acqua ed il deserto tornava ad essere quello di sempre, un mare ma di sabbia.
Si svelava così la prima parte del mistero e mentre il veicolo procedeva e si raggiungeva Al-Kobar si svelava, con una certa delusione,il resto del mistero perché la prima cosa che appariva, di quella città era
l’immondezzaio; oggi si usa dire la discarica!
I rifiuti urbani venivano accatastati a formare una cordigliera, ricoperti di sabbia e sulla cresta, ap- profittando dell’umidità e della sostanza organica, vegetavano cespugli di ginepro. Non poteva non colpire che il profilo era lo stesso che si vedeva una decina di chilometri prima di arrivarci a ridosso, e che l’immagine era la stessa che formava le rive del “ lago svizzero” e le pinete altro non erano che i cespugli di ginepro.
Ecco come una sensazione bella ed emozionante trova- va riscontro in una realtà concreta e tangibile ed ogni volta che la vidi non sapevo se vivere il sogno o riconoscere la realtà,mi ha sempre dato da pensare ed ha condizionato un po’la mia vita.
Ma un altro miraggio ha condizionato molto di più la mia esistenza il miraggio di vivere in pace e conti- nuare ad operare nella terra nella quale ero nato, dove era giunto il bisnonno dove tanto lavoro si era prodotto senza togliere nulla a nessuno.
Nonostante l’impegno e l’onestà, con il passare del tempo, il miraggio andava pian piano dissolvendosi proprio come quello dell’ Arabia Saudita, ma al contrario di questo cerco ancora le condizioni che avevano alimentato la speranza anche se suppongo che lì non ci volevano più perché né si profilava una società multirazziale, né si tolleravano presenze così
condizionanti come era la nostra. Il carattere della popolazione locale, orgoglioso e diffidente anche se a volte –ma poche- avevano ragione di esserlo, fece sì che ce ne andassimo; in un quadro politico internazionale che a quei tempi giustificava quell’evoluzione storica e così sparì anche quel miraggio.
Ci sparpagliammo per il mondo, in molti tornammo in Italia e qui vidi un altro miraggio: la vita civile, il continuo progresso, le comodità, le previdenze so- ciali e quindi la certezza del futuro. L’adattamento fu tanto duro quanto necessario,dai tempi in cui non avevamo neanche il diritto alla parola alla piena integrazione, dopo vari decenni.
Un altro miraggio si era quindi profilato e prendeva nitidezza,ma anche qui le cose vanno cambiando, in peggio e velocemente, i lati negativi del nostro ca- rattere nazionale si affermano sempre di più: scarso senso civico e sociale, individualismo, ignoranza, corruzione, clientelismo e parentele e ciò si nota soprattutto tra le classi dominanti.
Conseguentemente la massa arretra e si tribalizza le conquiste sociali del primo sessantennio del secolo scorso vanno perdendosi una ad una: causa la crisi, ci spiegano, o gli sprechi? E l’orgoglio dei nostri Padri si trasforma, in molti, in senso di vergogna di appartenere ad una simile società mentre tutto pare diventare precario.
Ci toccherà quindi assistere ancora una volta al dissolversi di un miraggio e mentre siamo qui a chiederci chi ha ragione e chi ha torto o quale sia la parte giusta e quale quella sbagliata! Penso che scomparso anche questo miraggio resterà ancora e solo l’immondezzaio.
Cristoforo Barberi.
Il miraggio: sembrava un lago svizzero, era solo una discarica .
Parlando con una signora della provincia, qui in Italia,la stessa mi espresse il desiderio di conoscere cosa fosse un miraggio e di farselo descrivere da qualcuno che, nel deserto, lo avesse visto.
Sono alquanto restio alle chiacchiere con chi conosco poco, ma visto che nella vita accade a volte l’impensabile le dissi che era fortunata perché le visione di un miraggio gliela avrei raccontata io, che un miraggio lo vidi, sempre lo stesso, più volte in Arabia Saudita e non era certo l’immagine del carrettino dei gelati e delle bibite fresche sotto le palme dell’ iconografia, comica, corrente!
Percorrendo la strada che univa Dammam ad Al-Kobar la prima una discretamente grande città antica, la seconda una cittadina più moderna e dinamica entrambe sulle rive del Golfo Persico distanti tra loro una ventina di chilometri, ora non più così perché si sono unite formando un’unica grande area metropolitana,a circa metà percorso ed in pieno deserto compariva un miraggio.
Si formava lentamente, ma assumendo contorni sempre più nitidi,l’immagine di un grande lago sulla cui sponda, opposta all’osservatore,apparivano lontane montagne sulle cui cime vegetavano i pini. Confesso che si destava una grande emozione e non si poteva fare a meno di osservare il fenomeno e conservarne il ricordo. Era una sensazione bellissima.
Man mano però che il veicolo procedeva lungo la strada la visione mutava aspetto, il lago restava sempre lo stesso ma la riva andava accorciandosi sino a trasformarsi in un’isola, sempre alberata, ma sempre più piccola poi sparivano gli alberi e restava una duna più grande delle altre ,che ormai si percepiva reale, in mezzo ad aria rarefatta che sembrava acqua, così come capita spesso di vedere d’estate sulle superfici asfaltate, successivamente spariva anche l’imma- gine dell’acqua ed il deserto tornava ad essere quello di sempre, un mare ma di sabbia.
Si svelava così la prima parte del mistero e mentre il veicolo procedeva e si raggiungeva Al-Kobar si svelava, con una certa delusione,il resto del mistero perché la prima cosa che appariva, di quella città era
l’immondezzaio; oggi si usa dire la discarica!
I rifiuti urbani venivano accatastati a formare una cordigliera, ricoperti di sabbia e sulla cresta, ap- profittando dell’umidità e della sostanza organica, vegetavano cespugli di ginepro. Non poteva non colpire che il profilo era lo stesso che si vedeva una decina di chilometri prima di arrivarci a ridosso, e che l’immagine era la stessa che formava le rive del “ lago svizzero” e le pinete altro non erano che i cespugli di ginepro.
Ecco come una sensazione bella ed emozionante trova- va riscontro in una realtà concreta e tangibile ed ogni volta che la vidi non sapevo se vivere il sogno o riconoscere la realtà,mi ha sempre dato da pensare ed ha condizionato un po’la mia vita.
Ma un altro miraggio ha condizionato molto di più la mia esistenza il miraggio di vivere in pace e conti- nuare ad operare nella terra nella quale ero nato, dove era giunto il bisnonno dove tanto lavoro si era prodotto senza togliere nulla a nessuno.
Nonostante l’impegno e l’onestà, con il passare del tempo, il miraggio andava pian piano dissolvendosi proprio come quello dell’ Arabia Saudita, ma al contrario di questo cerco ancora le condizioni che avevano alimentato la speranza anche se suppongo che lì non ci volevano più perché né si profilava una società multirazziale, né si tolleravano presenze così
condizionanti come era la nostra. Il carattere della popolazione locale, orgoglioso e diffidente anche se a volte –ma poche- avevano ragione di esserlo, fece sì che ce ne andassimo; in un quadro politico internazionale che a quei tempi giustificava quell’evoluzione storica e così sparì anche quel miraggio.
Ci sparpagliammo per il mondo, in molti tornammo in Italia e qui vidi un altro miraggio: la vita civile, il continuo progresso, le comodità, le previdenze so- ciali e quindi la certezza del futuro. L’adattamento fu tanto duro quanto necessario,dai tempi in cui non avevamo neanche il diritto alla parola alla piena integrazione, dopo vari decenni.
Un altro miraggio si era quindi profilato e prendeva nitidezza,ma anche qui le cose vanno cambiando, in peggio e velocemente, i lati negativi del nostro ca- rattere nazionale si affermano sempre di più: scarso senso civico e sociale, individualismo, ignoranza, corruzione, clientelismo e parentele e ciò si nota soprattutto tra le classi dominanti.
Conseguentemente la massa arretra e si tribalizza le conquiste sociali del primo sessantennio del secolo scorso vanno perdendosi una ad una: causa la crisi, ci spiegano, o gli sprechi? E l’orgoglio dei nostri Padri si trasforma, in molti, in senso di vergogna di appartenere ad una simile società mentre tutto pare diventare precario.
Ci toccherà quindi assistere ancora una volta al dissolversi di un miraggio e mentre siamo qui a chiederci chi ha ragione e chi ha torto o quale sia la parte giusta e quale quella sbagliata! Penso che scomparso anche questo miraggio resterà ancora e solo l’immondezzaio.
Cristoforo Barberi.
Ultima Modifica: 03/09/2014 08:24 da Agau-del-Semien.
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02/09/2014 08:52 - 02/09/2014 08:58 #23166
da Agau-del-Semien
UN RICORDO DI VIAGGIO
Da molte ore stavo viaggiando aggrappato alla sella. Ad ogni falcata del dromedario lo stomaco mi saliva in gola. Avrei fatto bene a seguire il consiglio di Hamza che, ad al Qadarif, prima di partire a bordo della Land Rover mi aveva messo in guardia sullo stato delle piste sudanesi durante il periodo delle piogge e delle difficoltà che avremmo dovuto affrontare.
Ora l’automezzo era impantanato nel black cotton soil fino alle portiere, in una zona tra Kashm –al-Qhirbah e Kassala e senza alcuna possibilità di rimuoverlo da quel terreno viscido e saponoso.
Il capo carovana Abu Yusif, che avevamo incontrato al termine del secondo giorno d’attesa, aveva acconsentito di farci viaggiare con lui e raggiungere così Kassala.
La carovana era composta da diciotto ibil (dromedari) , parecchi carichi di sacchi di dura, due portavano l’orditura e le stuoie dei tipici ricoveri Hadendowa e quattro hangareb, due erano montati dalle mogli del capo carovana. Uno era stato dato a me ed Hamza, il mio autista.
Hamza era un tacruro, nato in Sudan da genitori nigeriani che, 40 anni prima, assieme a molti altri attraversarono l’Africa da ovest ad est, provenienti dalla Nigeria con lo scopo di recarsi alla Makkah ed adempiere così, almeno una volta nella vita, al dovere d’ogni buon musulmano - effettuare il pellegrinaggio canonico, hajj, visitare la città di Muhammad e venerare la Ka’aba e poi potersi fregiare del nome di hajjy .
La carovana si mosse alle prime luci del mattino, dopo aver rivolto il ringraziamento a Dio ed aver ripetuto : as-salatu khairun mina ‘n-nawm.( pregare è meglio di dormire. )
Le prime tre o quattro ore si percorsero a piedi, poi, a dorso di dromedario. Si procedette sino alle cinque del pomeriggio, quando Abu Yusif ordinò di fermarsi ed allestire il campo.
Le due donne, Khadija ed Abila, con grande abilità eressero i due ricoveri, mentre Abu Yusif alleggerì gli animali dal loro carico. Le ghirbe di pelle di capra contenenti l’acqua e la farina vennero poste tra le due tende, dove si accese il fuoco per preparare il cibo ed il caffè. Questo veniva fatto in una piccola anfora di terra cotta, al jabena , usata anche in Abissinia e certamente importata a suo tempo dallo Yaman e, allo zucchero, Abila aggiungeva alcuni grani di pepe e chiodi di garofano, il gharnfal . La bevanda che ne scaturiva, filtrata attraverso un batuffolo di fibre vegetali, risultava aromatica e deliziosa.
Verso le ore tredici del quarto giorno si profilarono all’orizzonte, in direzione nord-est , le montagne di Kassala e da quel momento ci fecero da punto di riferimento per il nostro cammino.
Sul terreno si potevano già vedere gli effetti benefici della pioggia; qua e là si notavano spruzzi di verde, le nuove piantine d’erba spuntavano dal suolo, ed in poche settimane avrebbero raggiunto l’altezza di un uomo. Sugli alberi d’ebano sudanese spuntavano le nuove foglie. Ora il terreno era completamente pianeggiante, rotto soltanto da grossi cespugli e da acacie ombrellifere.
Quel giorno Abu Yusif ci fece sostare solo per bere un po’ di tè e nuovamente al tramonto, per le consuete preghiere.
Sulla terra venivano poste alcune piccole stuoie, sajjadatu as-salah ( tappeti per la preghiera) e in direzione (qiblah) della Makkah si rivolgevano ad Allah e al suo nabi(Profeta). Di solito la preghiera del tramonto, il maghrib, durava dieci minuti, ma quella sera fu più lunga, forse perché eravamo in vista della meta.
Inoltre, quella sera Abu Yusif si mostrò molto più loquace del solito e mi stupì per la profonda conoscenza che aveva della sua religione.
Mi parlò lungamente di al batul, Maria Immacolata, e di ‘isa ibn maryam, Gesù figlio di Maria. Proseguì enfatizzando l’importanza che avrà ‘isa al-masih (Gesù il Messia) quando coinvolto negli avvenimenti che costituiranno la fine del nostro mondo, youm al quiyama, il giorno del giudizio.
Le due donne si erano appartate; Hamza ed io, assieme ad Abu Yusif eravamo seduti intorno al fuoco sorseggiando del buon caffè. Abu Yusif era sempre più preso dal suo racconto e proseguì parlandoci di un famoso hadith del profeta che si riferiva alla persona del Mahdi, all’apparizione del dajjial (l’impostore) il quale si presenterà con incise sulla fronte le tre lettere: ka – fa - ra , della presenza di Gog e Megog e del sorgere del sole ad occidente, eventi che indicheranno la fine del mondo e della nuova discesa del Cristo sulla terra per la salvezza dell’uomo.
Quella notte l’hangareb sul quale mi sdraiai mi parve più comodo, però il sonno tardava a venire, ero particolarmente attratto dalla volta celeste, dalla sua immensità e l’Alfa Crux della Croce del Sud ,circondata dalla costellazione del Centauro, mi ricordava quando da ragazzo, con un vecchio binocolo militare l’avevo cercata nel cielo di Gaggiret, all’Asmara.
Ripensando ad Asmara mi venne alla mente il caro professore Angelo Maiorani che con grande capacità e pazienza ci aveva trasmesso l’amore per la lingua araba che ora, grazie a Lui, potevo usare quotidianamente. Chiusi gli occhi e immaginandolo seduto comodamente fi jannatu al-firdaws ( nei giardini del paradiso) mi ritrovai a dire, tayyaba allahu tharahu ( possa Dio farlo riposare in pace).
Le tondeggianti montagne della Mirgania, imponenti masse granitiche, allungavano le loro ombre su palmeti che coprono le sponde del fiume Gash. All’orizzonte il sole, simile ad una palla di fuoco, compiva la sua corsa giornaliera verso ponente, in un incendio folgorante dalle mille tonalità di rosso, arancione e violetto. Ad est il cielo era tranquillo, dipinto di colori tenui, mentre leggere nuvole facevano da contorno al tramonto sudanese.
Qua e là nella piana verso il Gash colonne di polvere si alzavano dritte verso il cielo confondendosi con le palme dum che delimitano il letto del fiume.
Il mua’zzin dall’alto del minara (minareto) inondava l’aria tersa della sera con al-asr, la preghiera della sera, : la ilaha illa llah wa-anna muhammad rasulu llah, a ricordare ai fedeli il dover d’ogni credente islamico.
Poi calò il crepuscolo e venne la notte. Così, quasi per incanto la valle si animò di tanti punti rossi tremolanti; erano i fuochi dei pastori che sostavano con le loro mandrie sulle rive del fiume Gash, alimentato dal grande Takazè-Setit dell’Abissinia. O dei carovanieri diretti a Tessenei, ad Aroma, o più lontano verso Port Sudan .
Era realmente uno spettacolo poter ammirare, alle prime luci dell’alba, i raggi del sole che si posavano sui fianchi del gebel Kassala composto di porfido granitico, il quale colpito dal sole emanava un bellissimo scintillio come venisse da mille e più mille piccolissimi specchi nascosti nella roccia.
Dalle zaribe degli hadendowa, costruite intorno al villaggio di Khatmia, provenivano i primi rumori dei pastori residenti che si preparavano ad affrontare il nuovo giorno e condurre il bestiame lungo le rive del fiume, alla ricerca di zone verdi, ricche di cibo; il piccolo pastore passava la sua giornata sotto i palmeti, vicino ai pozzi, protetto dal caldo insopportabile della pianura sudanese, e vedeva pascolare con i suoi capi, facoceri, gazzelle, babbuini, indifferenti alla presenza dell’uomo, di quell’uomo capace di essere una sola cosa con la natura che lo circonda.
Il villaggio di Khatmia, posto ai piedi del monte Kassala fu centro per l’introduzione in Sudan di una delle più importanti tariqa (confraternita) musulmane del paese, l’ Idrisya o anche detta Ahmedya, cioè una setta di persone spinte dalla stessa fede, con lo scopo di praticare un rituale comune e diffonderlo per il bene dell’Islam.
L’Idrisya fu fondata da Ahmed Ibn Idris del Fez che fu maestro del fondatore del suddetto villaggio ed anche dei Sanussi libici.
Aggirando il gruppo di gebel Kassala, tenendo sulla destra il fiume, raggiungemmo una valletta cosparsa di grossi cespugli, rade palme dum e qualche acacia. Qui la natura ed il disgregamento della cresta montana avevano cosparso il terreno di enormi massi disponendoli, a volte, in modo strano, fantasioso, quasi a far pensare all’intervento della mano dell’uomo.
Due blocchi enormi di granito accostati, alti una ventina di metri si scambiavano un abbraccio millenario e certamente a testimonianza silenziosa di episodi geologici della storia di questo paese africano.
Più ad occidente, al quadrivio delle carovaniere Aroma-Kassala/al Qadarif /Kassala Sabderat-Agordat si ergeva isolata, scolpita dalla natura in un immenso blocco monolitico di granito, una bellissima testa di pesce, quasi a voler dare al viaggiatore di passaggio il suo benvenuto.
Agau
Da molte ore stavo viaggiando aggrappato alla sella. Ad ogni falcata del dromedario lo stomaco mi saliva in gola. Avrei fatto bene a seguire il consiglio di Hamza che, ad al Qadarif, prima di partire a bordo della Land Rover mi aveva messo in guardia sullo stato delle piste sudanesi durante il periodo delle piogge e delle difficoltà che avremmo dovuto affrontare.
Ora l’automezzo era impantanato nel black cotton soil fino alle portiere, in una zona tra Kashm –al-Qhirbah e Kassala e senza alcuna possibilità di rimuoverlo da quel terreno viscido e saponoso.
Il capo carovana Abu Yusif, che avevamo incontrato al termine del secondo giorno d’attesa, aveva acconsentito di farci viaggiare con lui e raggiungere così Kassala.
La carovana era composta da diciotto ibil (dromedari) , parecchi carichi di sacchi di dura, due portavano l’orditura e le stuoie dei tipici ricoveri Hadendowa e quattro hangareb, due erano montati dalle mogli del capo carovana. Uno era stato dato a me ed Hamza, il mio autista.
Hamza era un tacruro, nato in Sudan da genitori nigeriani che, 40 anni prima, assieme a molti altri attraversarono l’Africa da ovest ad est, provenienti dalla Nigeria con lo scopo di recarsi alla Makkah ed adempiere così, almeno una volta nella vita, al dovere d’ogni buon musulmano - effettuare il pellegrinaggio canonico, hajj, visitare la città di Muhammad e venerare la Ka’aba e poi potersi fregiare del nome di hajjy .
La carovana si mosse alle prime luci del mattino, dopo aver rivolto il ringraziamento a Dio ed aver ripetuto : as-salatu khairun mina ‘n-nawm.( pregare è meglio di dormire. )
Le prime tre o quattro ore si percorsero a piedi, poi, a dorso di dromedario. Si procedette sino alle cinque del pomeriggio, quando Abu Yusif ordinò di fermarsi ed allestire il campo.
Le due donne, Khadija ed Abila, con grande abilità eressero i due ricoveri, mentre Abu Yusif alleggerì gli animali dal loro carico. Le ghirbe di pelle di capra contenenti l’acqua e la farina vennero poste tra le due tende, dove si accese il fuoco per preparare il cibo ed il caffè. Questo veniva fatto in una piccola anfora di terra cotta, al jabena , usata anche in Abissinia e certamente importata a suo tempo dallo Yaman e, allo zucchero, Abila aggiungeva alcuni grani di pepe e chiodi di garofano, il gharnfal . La bevanda che ne scaturiva, filtrata attraverso un batuffolo di fibre vegetali, risultava aromatica e deliziosa.
Verso le ore tredici del quarto giorno si profilarono all’orizzonte, in direzione nord-est , le montagne di Kassala e da quel momento ci fecero da punto di riferimento per il nostro cammino.
Sul terreno si potevano già vedere gli effetti benefici della pioggia; qua e là si notavano spruzzi di verde, le nuove piantine d’erba spuntavano dal suolo, ed in poche settimane avrebbero raggiunto l’altezza di un uomo. Sugli alberi d’ebano sudanese spuntavano le nuove foglie. Ora il terreno era completamente pianeggiante, rotto soltanto da grossi cespugli e da acacie ombrellifere.
Quel giorno Abu Yusif ci fece sostare solo per bere un po’ di tè e nuovamente al tramonto, per le consuete preghiere.
Sulla terra venivano poste alcune piccole stuoie, sajjadatu as-salah ( tappeti per la preghiera) e in direzione (qiblah) della Makkah si rivolgevano ad Allah e al suo nabi(Profeta). Di solito la preghiera del tramonto, il maghrib, durava dieci minuti, ma quella sera fu più lunga, forse perché eravamo in vista della meta.
Inoltre, quella sera Abu Yusif si mostrò molto più loquace del solito e mi stupì per la profonda conoscenza che aveva della sua religione.
Mi parlò lungamente di al batul, Maria Immacolata, e di ‘isa ibn maryam, Gesù figlio di Maria. Proseguì enfatizzando l’importanza che avrà ‘isa al-masih (Gesù il Messia) quando coinvolto negli avvenimenti che costituiranno la fine del nostro mondo, youm al quiyama, il giorno del giudizio.
Le due donne si erano appartate; Hamza ed io, assieme ad Abu Yusif eravamo seduti intorno al fuoco sorseggiando del buon caffè. Abu Yusif era sempre più preso dal suo racconto e proseguì parlandoci di un famoso hadith del profeta che si riferiva alla persona del Mahdi, all’apparizione del dajjial (l’impostore) il quale si presenterà con incise sulla fronte le tre lettere: ka – fa - ra , della presenza di Gog e Megog e del sorgere del sole ad occidente, eventi che indicheranno la fine del mondo e della nuova discesa del Cristo sulla terra per la salvezza dell’uomo.
Quella notte l’hangareb sul quale mi sdraiai mi parve più comodo, però il sonno tardava a venire, ero particolarmente attratto dalla volta celeste, dalla sua immensità e l’Alfa Crux della Croce del Sud ,circondata dalla costellazione del Centauro, mi ricordava quando da ragazzo, con un vecchio binocolo militare l’avevo cercata nel cielo di Gaggiret, all’Asmara.
Ripensando ad Asmara mi venne alla mente il caro professore Angelo Maiorani che con grande capacità e pazienza ci aveva trasmesso l’amore per la lingua araba che ora, grazie a Lui, potevo usare quotidianamente. Chiusi gli occhi e immaginandolo seduto comodamente fi jannatu al-firdaws ( nei giardini del paradiso) mi ritrovai a dire, tayyaba allahu tharahu ( possa Dio farlo riposare in pace).
Le tondeggianti montagne della Mirgania, imponenti masse granitiche, allungavano le loro ombre su palmeti che coprono le sponde del fiume Gash. All’orizzonte il sole, simile ad una palla di fuoco, compiva la sua corsa giornaliera verso ponente, in un incendio folgorante dalle mille tonalità di rosso, arancione e violetto. Ad est il cielo era tranquillo, dipinto di colori tenui, mentre leggere nuvole facevano da contorno al tramonto sudanese.
Qua e là nella piana verso il Gash colonne di polvere si alzavano dritte verso il cielo confondendosi con le palme dum che delimitano il letto del fiume.
Il mua’zzin dall’alto del minara (minareto) inondava l’aria tersa della sera con al-asr, la preghiera della sera, : la ilaha illa llah wa-anna muhammad rasulu llah, a ricordare ai fedeli il dover d’ogni credente islamico.
Poi calò il crepuscolo e venne la notte. Così, quasi per incanto la valle si animò di tanti punti rossi tremolanti; erano i fuochi dei pastori che sostavano con le loro mandrie sulle rive del fiume Gash, alimentato dal grande Takazè-Setit dell’Abissinia. O dei carovanieri diretti a Tessenei, ad Aroma, o più lontano verso Port Sudan .
Era realmente uno spettacolo poter ammirare, alle prime luci dell’alba, i raggi del sole che si posavano sui fianchi del gebel Kassala composto di porfido granitico, il quale colpito dal sole emanava un bellissimo scintillio come venisse da mille e più mille piccolissimi specchi nascosti nella roccia.
Dalle zaribe degli hadendowa, costruite intorno al villaggio di Khatmia, provenivano i primi rumori dei pastori residenti che si preparavano ad affrontare il nuovo giorno e condurre il bestiame lungo le rive del fiume, alla ricerca di zone verdi, ricche di cibo; il piccolo pastore passava la sua giornata sotto i palmeti, vicino ai pozzi, protetto dal caldo insopportabile della pianura sudanese, e vedeva pascolare con i suoi capi, facoceri, gazzelle, babbuini, indifferenti alla presenza dell’uomo, di quell’uomo capace di essere una sola cosa con la natura che lo circonda.
Il villaggio di Khatmia, posto ai piedi del monte Kassala fu centro per l’introduzione in Sudan di una delle più importanti tariqa (confraternita) musulmane del paese, l’ Idrisya o anche detta Ahmedya, cioè una setta di persone spinte dalla stessa fede, con lo scopo di praticare un rituale comune e diffonderlo per il bene dell’Islam.
L’Idrisya fu fondata da Ahmed Ibn Idris del Fez che fu maestro del fondatore del suddetto villaggio ed anche dei Sanussi libici.
Aggirando il gruppo di gebel Kassala, tenendo sulla destra il fiume, raggiungemmo una valletta cosparsa di grossi cespugli, rade palme dum e qualche acacia. Qui la natura ed il disgregamento della cresta montana avevano cosparso il terreno di enormi massi disponendoli, a volte, in modo strano, fantasioso, quasi a far pensare all’intervento della mano dell’uomo.
Due blocchi enormi di granito accostati, alti una ventina di metri si scambiavano un abbraccio millenario e certamente a testimonianza silenziosa di episodi geologici della storia di questo paese africano.
Più ad occidente, al quadrivio delle carovaniere Aroma-Kassala/al Qadarif /Kassala Sabderat-Agordat si ergeva isolata, scolpita dalla natura in un immenso blocco monolitico di granito, una bellissima testa di pesce, quasi a voler dare al viaggiatore di passaggio il suo benvenuto.
Agau
Ultima Modifica: 02/09/2014 08:58 da Agau-del-Semien.
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01/09/2014 12:09 #23158
da Francesco
Il generale di Corpo d'Armata ( CdA)Guglielmo Nasi ( 1879+1971), massimo responsabile dell'AOI dopo la resa del vicerè Amedeo d'Aosta all'Amba Alagi, mantenne fino al 28 novembre 1941 l'ultimo avamposto italiano, ove si scrissero pagine di eroismo e gloria fra i combattenti nazionali ed ascari.
Il generale scrisse i versi che seguono esaltando i suoi guerrieri.La musica è quella relativa alla canzone fascista
"Le donne non ci vogliono più bene"( v. su youtube).
I GONDARINI
Se non ci conoscete, tenetelo a memoria,
noi siamo i gondarini che fuman la cicoria.
L'inglese ci conosce, si morde i pugni e ringhia,
noi siamo i gondarini che stringono la cinghia.
Gl'indiani ci conoscono e anche i sudanesi,
noi siamo i gondarini incubo degli inglesi
Se non ci conoscete, leggete i nostri casi,
noi siamo i gondarini del generale Nasi.
Se non ci conoscete, lasciatevelo dire,
noi siamo i gondarini, i duri da morire
Guglielmo Nasi
p.s. Ovviamente i versi li ho trovati su Wikipedia...
mas
Il generale scrisse i versi che seguono esaltando i suoi guerrieri.La musica è quella relativa alla canzone fascista
"Le donne non ci vogliono più bene"( v. su youtube).
I GONDARINI
Se non ci conoscete, tenetelo a memoria,
noi siamo i gondarini che fuman la cicoria.
L'inglese ci conosce, si morde i pugni e ringhia,
noi siamo i gondarini che stringono la cinghia.
Gl'indiani ci conoscono e anche i sudanesi,
noi siamo i gondarini incubo degli inglesi
Se non ci conoscete, leggete i nostri casi,
noi siamo i gondarini del generale Nasi.
Se non ci conoscete, lasciatevelo dire,
noi siamo i gondarini, i duri da morire
Guglielmo Nasi
p.s. Ovviamente i versi li ho trovati su Wikipedia...
mas
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