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Daaro Addi, ovvero il Sicomoro del Villaggio. |
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13/09/2014 09:06 - 13/09/2014 09:25 #23216
da Agau-del-Semien
Ultima Modifica: 13/09/2014 09:25 da Agau-del-Semien.
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12/09/2014 22:46 #23214
da Francesco
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12/09/2014 19:08 #23213
da Francesco
Conoscevo già questa leggenda.L'ho letta parecchi anni fà nel sito de "Il Corno d'Africa".Per curiosità ho controllato ed ho scoperto che l'avevi scritta proprio tu, caro Emilio, nel 2004.
In quell'anno non ci conoscevamo neppure.
Non dovrebbe essere una leggenda essendoci delle date.Al riguardo ne vorrei sapere di più.
Da ragazzo ero un patito del Mascal, ovvero la festa dell'invenzione della Croce.Ricordo( qui ad Empoli non ho i miei libri)che una leggenda abissina voleva che S.Elena, volendo conoscere il luogo dove si trovasse il sacro legno, si lasciasse guidare dal fumo di un falò acceso dopo ardenti preghiere. In ricordo di questo mitico episodio , durante la festa si accende un gran falò composto da croci di legno.
All'Asmara, negli ultimi anni, abitai lungo la via Molise,in un condominio residenziale composto da tre moderne palazzine recintate,accanto la sede della Salvati Africa e di fronte la cattedrale copta "Nda Marian".Ricordo bene tutte le fasi della festa, oltre al famoso falò ed al suono delle caratteristiche pietre appese che fungevano da "campane".
EEA
In quell'anno non ci conoscevamo neppure.
Non dovrebbe essere una leggenda essendoci delle date.Al riguardo ne vorrei sapere di più.
Da ragazzo ero un patito del Mascal, ovvero la festa dell'invenzione della Croce.Ricordo( qui ad Empoli non ho i miei libri)che una leggenda abissina voleva che S.Elena, volendo conoscere il luogo dove si trovasse il sacro legno, si lasciasse guidare dal fumo di un falò acceso dopo ardenti preghiere. In ricordo di questo mitico episodio , durante la festa si accende un gran falò composto da croci di legno.
All'Asmara, negli ultimi anni, abitai lungo la via Molise,in un condominio residenziale composto da tre moderne palazzine recintate,accanto la sede della Salvati Africa e di fronte la cattedrale copta "Nda Marian".Ricordo bene tutte le fasi della festa, oltre al famoso falò ed al suono delle caratteristiche pietre appese che fungevano da "campane".
EEA
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12/09/2014 14:36 - 13/09/2014 09:23 #23211
da Agau-del-Semien
Una leggenda bilena: addei abeba, il fiore del Mascàl
Viveva una volta nella zona a nord ovest di Asmara un bambino discendente da un’importante famiglia bilena, il cui capostipite, Bilèn Bilèn, era nato in un villaggio ai piedi del monte Cheren.
Bilèn Bilèn era stato un capo di grandi capacità e saggezza. Tutte le genti bilene delle varie tribù lo consideravano la loro guida spirituale. Conosceva la storia del suo popolo, delle origini, e della sua illustre dinastia. Quando descriveva alla sua gente le terre di provenienza, decantava la purezza delle limpide acque dei fiumi che scendono dalle alte montagne e dalle verdi valli del Semièn, gli ascoltatori non si stancavano mai di seguire i suoi racconti; questi erano sempre fatti nella sua lingua originale parlata anche dalle genti del Lasta, e del Quarà. Sapeva leggere i caratteri eruditi del gheez e in questa lingua pregava.
Durante la grande migrazione agau verso il nord dell’Abissinia si erano stabiliti nella zona del Senhìt, dove avevano fondato il villaggio di Mogarèh, rimasto nel tempo culla e riferimento degli aristocratici bileni.
In quei luoghi, la vita scorreva felice e la famiglia era proprietaria di numerose mandrie che pascolavano nella grande vallata dell’Anseba. Tutta la gente del villaggio, cosi come tutti gli altri Bileni della zona, era di religione cristiana e la loro conversione risaliva al V secolo. Questa storia inizia intorno all’anno 1839.
Ma ecco la storia di Gherezghièr (servo di Dio) e della sua famiglia.
La famiglia discendente da Bilèn Bilèn era ormai rimasta una delle poche a non aver accettato l’imposizione della nuova religione che giungeva dal mare e dal vicino Sudan e si rifiutava di rinnegare il Dio dei Cristiani.
La divulgazione della nuova religione era iniziata già molto tempo prima, ma ora, sotto la spinta degli egiziani che occupavano le terre da Cassala a Cheren, e la totale indifferenza e ignoranza degli abuna locali, le popolazioni bilene, cunama e beni amer abbracciavano con sempre maggior frequenza la religione della Mecca.
Così, un giorno, i genitori di Gherezghièr decisero di vendere tutti i loro averi e riprendere la via dell’altopiano in senso contrario a quello che la loro gente agau aveva fatto secoli addietro. Entrarono nell’Hamasièn da Tsaadà Cristiàn provenienti dalla valle dell’Anseba. Si stabilirono in una piccola valletta a nord di Darhò Caulòs.
Il padre del piccolo Gherezghièr era un bravo contadino ed un grande lavoratore e, con i soldi ricavati dalla vendita delle sue terre e dei suoi animali, aveva acquistato dei campi ed aveva iniziato immediatamente la nuova attività. Prima, però, aveva sistemato la sua famiglia in una decorosa casetta costruita nei pressi del rio Mai Chebdì e aveva portato suo figlio alla scuola della chiesa del villaggio.
Qui il giovane bileno si era distinto immediatamente tra i suoi compagni e l’abuna era rimasto meravigliato quando lo aveva sentito leggere e recitare le preghiere in gheez.
Gli anni passavano e il bimbo bileno si faceva più grande e robusto, il suo sguardo era spesso rivolto verso il Sahèl e rivedeva gli enormi baobab e le flessuose palme dum crescere lungo i fiumi della sua terra natia.
Al collo portava ancora la piccola croce di legno ricavata da un ramo di acacia spinosa; suo zio l’aveva realizzata lavorando il pezzo di ramo con il coltello che portava sempre appeso al braccio sinistro, alla moda bilena. La croce che gli pendeva dal collo, sostenuta da una sottile striscia di cuoio, era diventata il simbolo della sua vita.
Spesso si ritirava in una grotta di Darhò Caulòs dove si diceva avesse vissuto un eremita santone di origine europea. Dalla grotta poteva osservare la valle coperta di verde vegetazione ed attraversata da un ruscello dall’acqua miracolosa. Infatti, la leggenda raccontava che quell’acqua era capace di curare le tante malattie degli occhi.
Nella serenità del luogo leggeva i sacri testi e di giorno in giorno accresceva il suo sapere e rafforzava la sua fede in Cristo. Per ore e ore rimaneva inginocchiato su di una stuoia rivolgendo le sue preghiere al cielo.
Le persone del villaggio di Darhò Caulòs avevano un grande rispetto per quel ragazzo che conosceva tutta la liturgia della chiesa, che conosceva a memoria i libri della fede e durante gli uffizi era l’aiutante dell’abuna.
Tra le festività religiose, la sua preferita era quella del Mascàl, l’Esaltazione della Croce.
Nel 1854 era giunto al suo quindicesimo anno di età e si avvicinava la primavera. Presto sarebbe arrivato il giorno più bello dell’anno, il 17 mescherèm, la festa del simbolo di Cristo, che fa tutti fratelli, e che sarebbe stato festeggiato dal popolo cristiano. Per l’occasione sarebbero stati accesi enormi falò alimentati da rami secchi di euforbia, davanti ai quali la gente avrebbe danzato e lodato il Signore. Infine, per il giorno del gran Mascàl, i capi villaggio, il clero e la folla avrebbero sfilato e si sarebbero diretti verso la collinetta dove era stato preparato il damerà e dove i rami di saraò e di ciaà avrebbero bruciato e dalla direzione presa dal fumo si sarebbero letti gli auspici per il nuovo anno.
In quel periodo Gherezghièr aveva pregato con maggior intensità del solito rivolgendosi al suo Cristo, all’uomo morto sulla Croce per aiutare il mondo. Avrebbe voluto poter fare qualcosa di particolare per il villaggio, per la sua gente. Ora passava sempre più tempo dentro la grotta e, a volte, vi rimaneva per giorni interi. La sera del 16 aveva pregato molto intensamente e poi, sfinito, si era addormentato sulla sua stuoia.
Il mattino seguente, quando di buonora si era avviato verso la chiesa, tutti i prati intorno al percorso della celebrazione del Mascàl, ove la folla sarebbe passata, erano cosparsi di bellissimi fiori gialli che con i loro otto petali formavano due bellissime croci.
Gherezghièr era stato ascoltato e dal cielo, durante la notte, era caduta una grande quantità di fiori gialli, i fiori del Mascàl.
Da quel giorno, durante il periodo di mescherèm, tutta l’Abissinia è ricoperta di questi bellissimi fiori gialli.
Agau
Viveva una volta nella zona a nord ovest di Asmara un bambino discendente da un’importante famiglia bilena, il cui capostipite, Bilèn Bilèn, era nato in un villaggio ai piedi del monte Cheren.
Bilèn Bilèn era stato un capo di grandi capacità e saggezza. Tutte le genti bilene delle varie tribù lo consideravano la loro guida spirituale. Conosceva la storia del suo popolo, delle origini, e della sua illustre dinastia. Quando descriveva alla sua gente le terre di provenienza, decantava la purezza delle limpide acque dei fiumi che scendono dalle alte montagne e dalle verdi valli del Semièn, gli ascoltatori non si stancavano mai di seguire i suoi racconti; questi erano sempre fatti nella sua lingua originale parlata anche dalle genti del Lasta, e del Quarà. Sapeva leggere i caratteri eruditi del gheez e in questa lingua pregava.
Durante la grande migrazione agau verso il nord dell’Abissinia si erano stabiliti nella zona del Senhìt, dove avevano fondato il villaggio di Mogarèh, rimasto nel tempo culla e riferimento degli aristocratici bileni.
In quei luoghi, la vita scorreva felice e la famiglia era proprietaria di numerose mandrie che pascolavano nella grande vallata dell’Anseba. Tutta la gente del villaggio, cosi come tutti gli altri Bileni della zona, era di religione cristiana e la loro conversione risaliva al V secolo. Questa storia inizia intorno all’anno 1839.
Ma ecco la storia di Gherezghièr (servo di Dio) e della sua famiglia.
La famiglia discendente da Bilèn Bilèn era ormai rimasta una delle poche a non aver accettato l’imposizione della nuova religione che giungeva dal mare e dal vicino Sudan e si rifiutava di rinnegare il Dio dei Cristiani.
La divulgazione della nuova religione era iniziata già molto tempo prima, ma ora, sotto la spinta degli egiziani che occupavano le terre da Cassala a Cheren, e la totale indifferenza e ignoranza degli abuna locali, le popolazioni bilene, cunama e beni amer abbracciavano con sempre maggior frequenza la religione della Mecca.
Così, un giorno, i genitori di Gherezghièr decisero di vendere tutti i loro averi e riprendere la via dell’altopiano in senso contrario a quello che la loro gente agau aveva fatto secoli addietro. Entrarono nell’Hamasièn da Tsaadà Cristiàn provenienti dalla valle dell’Anseba. Si stabilirono in una piccola valletta a nord di Darhò Caulòs.
Il padre del piccolo Gherezghièr era un bravo contadino ed un grande lavoratore e, con i soldi ricavati dalla vendita delle sue terre e dei suoi animali, aveva acquistato dei campi ed aveva iniziato immediatamente la nuova attività. Prima, però, aveva sistemato la sua famiglia in una decorosa casetta costruita nei pressi del rio Mai Chebdì e aveva portato suo figlio alla scuola della chiesa del villaggio.
Qui il giovane bileno si era distinto immediatamente tra i suoi compagni e l’abuna era rimasto meravigliato quando lo aveva sentito leggere e recitare le preghiere in gheez.
Gli anni passavano e il bimbo bileno si faceva più grande e robusto, il suo sguardo era spesso rivolto verso il Sahèl e rivedeva gli enormi baobab e le flessuose palme dum crescere lungo i fiumi della sua terra natia.
Al collo portava ancora la piccola croce di legno ricavata da un ramo di acacia spinosa; suo zio l’aveva realizzata lavorando il pezzo di ramo con il coltello che portava sempre appeso al braccio sinistro, alla moda bilena. La croce che gli pendeva dal collo, sostenuta da una sottile striscia di cuoio, era diventata il simbolo della sua vita.
Spesso si ritirava in una grotta di Darhò Caulòs dove si diceva avesse vissuto un eremita santone di origine europea. Dalla grotta poteva osservare la valle coperta di verde vegetazione ed attraversata da un ruscello dall’acqua miracolosa. Infatti, la leggenda raccontava che quell’acqua era capace di curare le tante malattie degli occhi.
Nella serenità del luogo leggeva i sacri testi e di giorno in giorno accresceva il suo sapere e rafforzava la sua fede in Cristo. Per ore e ore rimaneva inginocchiato su di una stuoia rivolgendo le sue preghiere al cielo.
Le persone del villaggio di Darhò Caulòs avevano un grande rispetto per quel ragazzo che conosceva tutta la liturgia della chiesa, che conosceva a memoria i libri della fede e durante gli uffizi era l’aiutante dell’abuna.
Tra le festività religiose, la sua preferita era quella del Mascàl, l’Esaltazione della Croce.
Nel 1854 era giunto al suo quindicesimo anno di età e si avvicinava la primavera. Presto sarebbe arrivato il giorno più bello dell’anno, il 17 mescherèm, la festa del simbolo di Cristo, che fa tutti fratelli, e che sarebbe stato festeggiato dal popolo cristiano. Per l’occasione sarebbero stati accesi enormi falò alimentati da rami secchi di euforbia, davanti ai quali la gente avrebbe danzato e lodato il Signore. Infine, per il giorno del gran Mascàl, i capi villaggio, il clero e la folla avrebbero sfilato e si sarebbero diretti verso la collinetta dove era stato preparato il damerà e dove i rami di saraò e di ciaà avrebbero bruciato e dalla direzione presa dal fumo si sarebbero letti gli auspici per il nuovo anno.
In quel periodo Gherezghièr aveva pregato con maggior intensità del solito rivolgendosi al suo Cristo, all’uomo morto sulla Croce per aiutare il mondo. Avrebbe voluto poter fare qualcosa di particolare per il villaggio, per la sua gente. Ora passava sempre più tempo dentro la grotta e, a volte, vi rimaneva per giorni interi. La sera del 16 aveva pregato molto intensamente e poi, sfinito, si era addormentato sulla sua stuoia.
Il mattino seguente, quando di buonora si era avviato verso la chiesa, tutti i prati intorno al percorso della celebrazione del Mascàl, ove la folla sarebbe passata, erano cosparsi di bellissimi fiori gialli che con i loro otto petali formavano due bellissime croci.
Gherezghièr era stato ascoltato e dal cielo, durante la notte, era caduta una grande quantità di fiori gialli, i fiori del Mascàl.
Da quel giorno, durante il periodo di mescherèm, tutta l’Abissinia è ricoperta di questi bellissimi fiori gialli.
Agau
Ultima Modifica: 13/09/2014 09:23 da Agau-del-Semien.
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11/09/2014 15:15 #23205
da Agau-del-Semien
Il Calendario Abissino ( Etiopico –Eritreo)
Nella Chiesa Tewahdò d’Etiopia e d’ Eritrea viene usato un antichissimo calendario utilizzato per le festività religiose e per quelle civili.
Si ritiene che detto Calendario sia stato studiato e preparato dal Patriarca Demetrio di Alessandria.
Va detto che questo Calendario Etiopico divaria da quello Copto.
Il giudaismo ha influito notevolmente, infatti la settimana è di sette giorni con il primo giorno dedicato al Signore. Il Sabato Giudaico “ Senbete Aihud” è tuttora rispettato in Abissinia, infatti di sabato non si fanno lavori nei campi quali mietitura, aratura e cosi per i lavori domestici pesanti.
In Ge’ez la parola mese si dice “uerch” e vuol dire luna. Da ciò si può dedurre che all’inizio il calendario Abissino seguisse quello giudaico –lunare.
Anche il Calendaruo islamico segue le fasi lunari. Tutti questi calendari” lunari” sono però in difetti di giorni essendo il loro mese composto da 28 giorni soltanto.
Ancora il capodanno Etiopico capita in settembre come quello ebraico.
In Abissinia le ore si contano dall’alba al tramonto per il giorno e dal tramonto all’alba per la notte.
Esempio: Le ore 7 del mattino per gli europei corrisponde alla prima ora del giorno per gli Abissini e le 18 europee sono le ore 12 dei gli abissini, che corrisponde all’ultima ora del giorno.
Agau
Nella Chiesa Tewahdò d’Etiopia e d’ Eritrea viene usato un antichissimo calendario utilizzato per le festività religiose e per quelle civili.
Si ritiene che detto Calendario sia stato studiato e preparato dal Patriarca Demetrio di Alessandria.
Va detto che questo Calendario Etiopico divaria da quello Copto.
Il giudaismo ha influito notevolmente, infatti la settimana è di sette giorni con il primo giorno dedicato al Signore. Il Sabato Giudaico “ Senbete Aihud” è tuttora rispettato in Abissinia, infatti di sabato non si fanno lavori nei campi quali mietitura, aratura e cosi per i lavori domestici pesanti.
In Ge’ez la parola mese si dice “uerch” e vuol dire luna. Da ciò si può dedurre che all’inizio il calendario Abissino seguisse quello giudaico –lunare.
Anche il Calendaruo islamico segue le fasi lunari. Tutti questi calendari” lunari” sono però in difetti di giorni essendo il loro mese composto da 28 giorni soltanto.
Ancora il capodanno Etiopico capita in settembre come quello ebraico.
In Abissinia le ore si contano dall’alba al tramonto per il giorno e dal tramonto all’alba per la notte.
Esempio: Le ore 7 del mattino per gli europei corrisponde alla prima ora del giorno per gli Abissini e le 18 europee sono le ore 12 dei gli abissini, che corrisponde all’ultima ora del giorno.
Agau
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11/09/2014 08:19 #23201
da Francesco
Caro Cristoforo,
ti ringrazio in anticipo per ciò che scriverai su quei luoghi cari che, malgrado vi nacqui, non ho mai conosciuto.
Gradirei, se è possibile,che mi scrivessi di Gondar,dell'ospedale, delle località di Azozò e Gorgorà e del terribile Passo dell'Uolchfit che attraversai in fasce.
Al riguardo, ti riproporrò la descrizione, fatta in questo forum, sulla scorta di quanto mi raccontarono i miei.
Un caro saluto ed EEA
ti ringrazio in anticipo per ciò che scriverai su quei luoghi cari che, malgrado vi nacqui, non ho mai conosciuto.
Gradirei, se è possibile,che mi scrivessi di Gondar,dell'ospedale, delle località di Azozò e Gorgorà e del terribile Passo dell'Uolchfit che attraversai in fasce.
Al riguardo, ti riproporrò la descrizione, fatta in questo forum, sulla scorta di quanto mi raccontarono i miei.
Un caro saluto ed EEA
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