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Daaro Addi, ovvero il Sicomoro del Villaggio. |
- Agau-del-Semien
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26/09/2014 14:50 #23327
da Agau-del-Semien
L' Amico Cristoforo ci manda un suo scritto molto interessante ove la sua descrizione è come sempre precisa e chiara. Invito le tutte le persone innamorate dell'Abissinia di leggerlo.
Grazie,
Agau
BAHAR DAR: Primi anni sessanta.
Ovvero, un anno di vita presso la fonte del Nilo.
Centro abitato sulle rive del lago Tana prende il suo nome rispetto alla posizione di massima distanza da Gorgorà che gravita per vicinanza al più antico ed importante centro di Gondar.
Il nome infatti significa "Schiena" o "Retro del Mare". Infatti il lago può essere paragonato, per estensione, ad un mare: A volte calmo a volte agitato, ha una forma pressoché rettangolare di circa sessanta chilometri per quarantacinque oltre l'insenatura, a sud, ove si trova Bahar Dar e la fonte dell'Abbay, da noi conosciuto come Nilo Azzurro.
Di fonte, inizio, e non di sorgente perché il Nilo Azzuro nasce da uno sfioratore, un troppo pieno del Lago, scorre verso sud tra pianure alluvionali ed acqutrini sulla riva sinistra (ricchi pascoli le prime e impenetrabili canneti di papiri i secondi) e banchi di roccia basaltica, che si alzano per alcuni metri, sulla riva destra e sulla quale si abbattono molti fulmini durante i frequenti temporali.
A ventisei chilometri dalla fonte, il fiume crea le Cascate di Tisohà( l'acqua che diventa fumo) ma conosciute con il nome di Tisia't. Non ho avuto la fortuna di vederle, perché' sono considerate le più belle del mondo, ma conosco bene il primo tratto del fiume luogo dove ho soggiornato e lavorato per circa un anno.
La zona di Bahar Dar ha sempre creato un fascino irresistibile per chiunque l'abbia frequentata. L'altitudine media, il clima, la flora, la fauna, l'abbondanza d'acqua, danno l'idea di come fosse il Paradiso Terrestre; scarsamente abitata fino agli anni sessanta contava solo sulla presenza di Monaci e antiche chiese specialmente sulle isole del lago e di pastori e grandi mandrie allo stato brado. I pastori poi li considero gli inventori dell'ombrello e dell'impermeabile perché si riparavano con grandi foglie, penso di ninfee, o si coprivano con grandi foglie che chiudevano a cappuccio nella parte superiore. Daltronde stazionavano ore ed ore sotto i temporali senza altra possibilità di riparo.
Una piccola etnia con caratteristiche del Sudan viveva a sud-ovest esclusivamente a livello di famiglie isolate a solo una ventina di chilometri. Non ancora a conoscenza di tessuti, loro non vestivano neanche pelli di animali e vivevano dei prodotti della terra spontanei o coltivati con aratri di legno e qualche sparuto bovino. Non avevano nulla in comune con gli Abissini ed erano innocentemente nudi. Li ho realmente visto Adamo, ma come poteva mancare visto che eravamo in un Paradiso Terrestre?
Le Autorità' succedutesi nel tempo hanno sempre guardato a questa mitica zona con interesse ma enormi erano le difficoltà per raggiungerla, si erano intravviste sempre le potenzialità di sviluppo e all'interesse dei Monaci, seguì quello dei governi.
Già nel 1935 la frequentarono Farinacci e Starace che dal nord, dal "fronte del lago": il lato di Gondar, vollero conoscerne "il retro, la schiena". Già all'epoca venne redatto un piano regolatore per la cittadina le cui vestigia che rimasero per anni dimenticate e coperta dalle erbe, erano le cordonate in pietra che dovevano delimitare le principali vie del centro.
Nei primi anni cinquanta un italiano: il Comm. Mario Bruschi su sollecitazione dell'imperatore Haile' Sellasie' fondò una società che aveva lo scopo di navigare regolarmente ed a fini commerciali e di sviluppo il Lago.
Mario Bruschi assurse a livello di consulente ministeriale ai Lavori pubblici al rientro dell'Imperatore per le sue capacità e prestigio, costruttore, in pochi mesi, del Parlamento moderno aveva preso parte ai lavori per il trasferimento del celebre obelisco da Axum a Roma, e negli anni cinquanta trasferì' alcune navi, seppur di piccola stazza, dal Mar Rosso al lago Tana.
Questa ultima impresa, incredibile e che allora solo un Italiano poteva concepire ed attuare, fece sì che due navi opportunamente alleggeritefossero issate su speciali autocarri e condotte oltre le montagne, si pensi alla tratta Massaua Asmara ed al superamento del passo di Lemalemo', consentirono il regolare collegamento sul Lago tra Gorgorà e BaharDar.Al passaggio di queste navi ad Asmara assistette tutta la cittadinanza.
Non penso che a questo Uomo sia stata dedicata una sola via o una piazza, penso al contrario che sia stato come tutti noi perseguitato dall'Ufficio delle Imposte, ma nonostante tutto volle esser sepolto in quelle terre.
Questo progetto contribuì enormemente allo sviluppo della zona, in realtà anche al centro dell'interesse e della volontà dell'Imperatore.
Haile' Sellasie' infatti agli inizi degli anni cinquanta promuoveva grandi opere proprio a Bahar Dar sfruttando, come consuetudine, capacità' e mezzi degli stranieri.Assegnava agli Italiani (l'impresa Romana Ing. Mellini) il compito della costruzione di un grande cotonificio e degli annessi come rimborso dei danni di guerra,quindi a spese nostre, ma si profilavano anche nuovi altri interessi in Etiopia; infatti sempre nell'ambito di aiuti assegnava agli Israeliani la costruzione del sistema stradale per meglio collegare la nascente Bahar Dar a Gondar verso nord e ad Addis Abeba verso sud.
Molti di questi lavori vennero eseguiti in sub-appalto dall'impresa locale dei fratelli Orsini.
All'Unione Sovietica assegnò il compito di costruire scuole professionali e di formare i nuovi operai. Quest'ultima sì che non aveva bisogno di nessuno ne' i tecnici si amalgamarono con gli altri Europei che si trovavano in zona e che invece solidarizzavano tra loro nel tempo libero e questo dispiacque molto alle signore russe, mogli dei tecnici, costrette a condurre vita quasi monastica perché per loro stessa ammissione spiavano tra loro stessi i comportamenti personali.
E' ovvio che gli operai Abissini preferissero lavorare con Israeliani ed Italiani per il trattamento più umano loro riservato, ad esempio la sospensione dei lavori- a mezza retribuzione- nel caso di pioggia, mentre i Russi rispondevano loro che erano abituati a lavorare con temperature fino a venti gradi sotto zero e che la pioggia a diciassette-venti gradi non era certo un problema!
In quegli anni il sottoscritto, fresco di diploma di geometra, molto apprezzato perché conseguito all'Istituto Tecnico V. Bottego, ha collaborato modestamente a questo sviluppo insieme ad altri colleghi: Samoggia che era il grande capo, Carobbi e Cancaniccia ed altri tecnici carpentieri, ferraioli, muratori meccanici italiani ed un infermiere, tutti Asmariniavezzi ai disagi ed ai sacrifici che l'epoca ed il luogo richiedevano.
Chi dirigeva la costruzione del cotonificio, chi le cave di approvvigionamento, chi i ponti delle nuove strade dove prima si guadava. I sottoscritto in particolare era addetto alla costruzione del villaggio di servizio del cotonificio, alla contabilità dei lavori, all'economato del campo base che era il riferimento per tutti.
Il campo base costruito con blocchetti di cemento e lamiere zincate oltre che baracche e roulotte che allora chiamavamo "caravane" e ricordavano i vagoni ferroviari, era costituito da una cucina, una mensa, alcuni uffici e casette a schiera come dormitori, ognuno aveva però la sua cameretta.
Ricoveri che invece di apparire precari davano grande sicurezzanella notte e nei lunghi periodi di pioggia. Si mangiava discretamente e nelle feste si giocava a carte, si parlava poco perché ci eravamo già detto tutto, si faceva un giro in barca, sul fiume ma la barca era di papiro e costruita come si è sempre fatto sul Nilo, da miglia di anni. Si pescava, si visitava a volte il villaggio indigeno, tale era allora Bahar Dar dove si ritrovavano i nostri stessi operai locali che ci portavano il massimo rispetto.
Non si andava a caccia, sebbene la selvaggina fosse copiosa, perché eravamo disarmati ne' disponevamo di guardie armate o "zabagna'" per la nostra difesa, a ripensarci oggi vengono i brividi ma la zona era quasi deserta tutti eravamo importati: Europei e Locali, che ripeto avevano il massimo rispetto consci dei comuni sacrifici e dell'impegno svolto per volonta di Sua Maesta'.
Sul posto giungemmo tutti per via aerea di linea, il servzio svolto da DC3 (Dacota) collegava Bahar Dar con Asmara ed Addis Abeba. Gli aerei residuati bellici volavano a tremila- tremilacinquecento metri di quota proprio quella delle perturbazioni, si "ballava" per tutto il viaggio, l'aereo si caricava di elettricità che scaricava dalle ali; le tempeste erano inevitabili proprio nella zona del massiccio del Ras Dashian che ha un'altitudine sui cinquemila metri e molte vette sui quattromila e che quindi sovrastavano di gran lunga la rotta.
Fortunatamente mai successo incidenti, ma quando si arrivava ci si congratulava con il pilota che congedava sempre i passeggeri al piede della scaletta e pallidi in volto molti giuravano che non avrebbero mai più' messo piede su un aereo!
I primi ad arrivare fummo noi Italiani, ma come al solito preceduti, chi sa da quanto, da una famiglia greca che aveva una panetteria che presto si sviluppò; a chi vendessero il pane prima del nostro arrivo non lo abbiamo mai capito ma spesso i Greci ci hanno preceduto.
Le nuove opere sorsero in un ambiente ancora integro ed inizialmente parevano integrate nell'ambiente senza grandi alterazioni, l'opera più imponente oltre al cotonificio era il ponte sul Nilo proprio sulla fonte ed era in realtà molto lungo, quindi più un viadotto ma su travi e non arcate si da essere esso stesso di scarso impatto ambientale. Era l'unico tratto, dicevamo, dove si potesse mettere la terza marcia delle Jeep o la quarta della Campagnole questo per dare un'idea di quale fosse la situazione delle strade.
Le pianure percorribili oltre alle grandi mandrie, erano il regno delle gru coronate, un bellissimo e querulo uccello in altri luoghi rarissimo eda molte specie di uccelli acquatici.
C'erano pure i cinghiali, non facoceri, e qualcuno di questi attraversava di gran carriera il nostro campo base che si vede era stato posto sui loro abituali percorsi. Cinghiali, ippopotami ed una grande quantità di serpenti (bisce, pitoni e naie) si rifugiavano tra i papiri, macchie che erano assolutamente inaccessibili ai mezzi o all'uomo. Gli ippopotami uscivano dalla macchia per raggiungere il fiume, verso le ore ventuno, ventidue ed accompagnavano per tutto il resto della notte i nostri sonni con continui sbadigli, sbruffi e brontolii. Il mattino non occorreva la sveglia perché alle sei, sei e dieci ci svegliava l'aquila pescatrice, quella dalle penne bianche sul collo, quella dello stemma degli U.S.A.con un verso stridulo che ripeteva tre volte, a cadenze regolari, e lo faceva anche alla domenica...
Il fiume era ricchissimo di tilappie, un pesce di ottima qualità che non ha nulla da invidiare a quelli di mare, che costituiva l'alimento oltre che dell'aquila pescatrice, dei numerosi coccodrilli che erano nel fiume, nel tratto molto pietroso. Questi ultimi non erano molto grandi, erano lunghi solo un metro, un metro e mezzo ed erano esili, ricordavano un po' gli alligatori, evidentemente erano di una specie locale e si mimetizzavano molto bene tra le numerose pietre che affioravano nel greto del fiume..
Durante la notte il concerto degli ippopotami era accompagnato dal gracidare di infinite rane e delle naie, serpente che gli Abissini dicevano facesse lo stesso verso. La naia è considerata tra i serpenti peggiori perché velenosa per iniezione e capace anche di sputare il veleno ad una certa distanza cercando di colpire gli occhi. Un mattino se ne trovò una arrotolata nella turca delle latrine che da quel giorno frequentammo molto meno, preferendo il campo aperto per i bisogni corporali.
La mensa era discreta, dovevo gestirla io, con il cuoco l'aiuto cuoco il cameriere che riassettava le camere. Loro amavano definirsi "boys" erano quindi al servizio degli operai e tecnici nazionali che a tutto si adattavano ma che pretendevano, giustamente, una certa qualità.
All'inizio dovetti far loro interrompere una antica usanza locale che era la lavanda dei piedi che senza che nessuno la chiedesse i "boys" la volevano praticare poco prima della cena o durante la cena stessa nei nostri confronti e sotto al tavolo. Io poi soffrivo maledettamente il solletico ai piedi persino quando me li lavavo da solo, e poi proprio non era il caso, nessuno di noi era invalido!
La dieta era costituita dalla pastasciutta, la minestra, tanto pesce: le tilappie appunto ed i polli, alla griglia, di cui il cuoco si riforniva giornalmente dai nativi del villaggio di Bahar Dar. Proprio mentre spennava un pollo in mezzo al fiume, accovacciato sulle pietre, un "boy" é stato azzannato al tallone da un coccodrillo appostato e nascosto, liberatosi lo abbiamo medicato, aveva una decina di buchi profondi e spaventatissimo diceva che era stato il Diavolo. Non c'e' stato verso di fargli capire che era stato certamente un coccodrillo ma l'uomo crede ciò che vuole creder lui.
Ricordi pertanto bellissimi di un posto incantevole.Molti anni dopo, un amico asmarino che aveva lavorato a Bahar Dar e che vive come me a Rivalta, durante una visita medica cardiologica é stato sollecitato dal medico a praticare un rilassamento profondo ed a rasserenarsi nel massimo modo possibile. Finito l'esame il medico gli chiese che metodo avesse usato perche' non aveva mai visto nessuno provocarsi quasi un'estasi, il mio amico mi racconta di avergli risposto: pensavo a Bahar Dar, ho rivissuto quei luoghi, ma lei non può capirlo!
Oggi per provare a ritrasferire lì almeno il mio pensiero, guardo la cartografia satellitare e non sono in grado di riconoscere alcun posto: eccetto il grande ponte non trovo dove fosse il campo base, non riconosco il cotonificio che pur era un edificio enorme, non trovo il villaggio di cui dirigevo i lavori. Tutto è confuso in un mare di cemento, ville di oligarchi sulle rive del fiume, il villaggio dilatato a grande città con un'infinità di strade.
Non riesco a capire perché le rive del fiume non abbiano goduto di un'area di rispetto, perché una natura incontaminata ed uno dei posti più bello del mondo, parliamo della fonte di un ramo principale del Nilo, non abbia goduto di una tutela sovranazionale. Mi chiedo in quale considerazione sia stato tenuto il Piano Regolatore dell'epoca coloniale.
Una cosa é certa io a Bahar Dar, il posto piu' bello che abbia mai visto, non ci tornerei più, preferisco ricordarlo cosi come l'ho conosciuto: con il verso dell'aquila che mi svegliava al mattino, con i cinghiali che attraversavano il campo, col ronfare degli ippopotami che accompagnavano il sonno e con la naia arrotolata nella latrina.
Cristoforo Barberi
Grazie,
Agau
BAHAR DAR: Primi anni sessanta.
Ovvero, un anno di vita presso la fonte del Nilo.
Centro abitato sulle rive del lago Tana prende il suo nome rispetto alla posizione di massima distanza da Gorgorà che gravita per vicinanza al più antico ed importante centro di Gondar.
Il nome infatti significa "Schiena" o "Retro del Mare". Infatti il lago può essere paragonato, per estensione, ad un mare: A volte calmo a volte agitato, ha una forma pressoché rettangolare di circa sessanta chilometri per quarantacinque oltre l'insenatura, a sud, ove si trova Bahar Dar e la fonte dell'Abbay, da noi conosciuto come Nilo Azzurro.
Di fonte, inizio, e non di sorgente perché il Nilo Azzuro nasce da uno sfioratore, un troppo pieno del Lago, scorre verso sud tra pianure alluvionali ed acqutrini sulla riva sinistra (ricchi pascoli le prime e impenetrabili canneti di papiri i secondi) e banchi di roccia basaltica, che si alzano per alcuni metri, sulla riva destra e sulla quale si abbattono molti fulmini durante i frequenti temporali.
A ventisei chilometri dalla fonte, il fiume crea le Cascate di Tisohà( l'acqua che diventa fumo) ma conosciute con il nome di Tisia't. Non ho avuto la fortuna di vederle, perché' sono considerate le più belle del mondo, ma conosco bene il primo tratto del fiume luogo dove ho soggiornato e lavorato per circa un anno.
La zona di Bahar Dar ha sempre creato un fascino irresistibile per chiunque l'abbia frequentata. L'altitudine media, il clima, la flora, la fauna, l'abbondanza d'acqua, danno l'idea di come fosse il Paradiso Terrestre; scarsamente abitata fino agli anni sessanta contava solo sulla presenza di Monaci e antiche chiese specialmente sulle isole del lago e di pastori e grandi mandrie allo stato brado. I pastori poi li considero gli inventori dell'ombrello e dell'impermeabile perché si riparavano con grandi foglie, penso di ninfee, o si coprivano con grandi foglie che chiudevano a cappuccio nella parte superiore. Daltronde stazionavano ore ed ore sotto i temporali senza altra possibilità di riparo.
Una piccola etnia con caratteristiche del Sudan viveva a sud-ovest esclusivamente a livello di famiglie isolate a solo una ventina di chilometri. Non ancora a conoscenza di tessuti, loro non vestivano neanche pelli di animali e vivevano dei prodotti della terra spontanei o coltivati con aratri di legno e qualche sparuto bovino. Non avevano nulla in comune con gli Abissini ed erano innocentemente nudi. Li ho realmente visto Adamo, ma come poteva mancare visto che eravamo in un Paradiso Terrestre?
Le Autorità' succedutesi nel tempo hanno sempre guardato a questa mitica zona con interesse ma enormi erano le difficoltà per raggiungerla, si erano intravviste sempre le potenzialità di sviluppo e all'interesse dei Monaci, seguì quello dei governi.
Già nel 1935 la frequentarono Farinacci e Starace che dal nord, dal "fronte del lago": il lato di Gondar, vollero conoscerne "il retro, la schiena". Già all'epoca venne redatto un piano regolatore per la cittadina le cui vestigia che rimasero per anni dimenticate e coperta dalle erbe, erano le cordonate in pietra che dovevano delimitare le principali vie del centro.
Nei primi anni cinquanta un italiano: il Comm. Mario Bruschi su sollecitazione dell'imperatore Haile' Sellasie' fondò una società che aveva lo scopo di navigare regolarmente ed a fini commerciali e di sviluppo il Lago.
Mario Bruschi assurse a livello di consulente ministeriale ai Lavori pubblici al rientro dell'Imperatore per le sue capacità e prestigio, costruttore, in pochi mesi, del Parlamento moderno aveva preso parte ai lavori per il trasferimento del celebre obelisco da Axum a Roma, e negli anni cinquanta trasferì' alcune navi, seppur di piccola stazza, dal Mar Rosso al lago Tana.
Questa ultima impresa, incredibile e che allora solo un Italiano poteva concepire ed attuare, fece sì che due navi opportunamente alleggeritefossero issate su speciali autocarri e condotte oltre le montagne, si pensi alla tratta Massaua Asmara ed al superamento del passo di Lemalemo', consentirono il regolare collegamento sul Lago tra Gorgorà e BaharDar.Al passaggio di queste navi ad Asmara assistette tutta la cittadinanza.
Non penso che a questo Uomo sia stata dedicata una sola via o una piazza, penso al contrario che sia stato come tutti noi perseguitato dall'Ufficio delle Imposte, ma nonostante tutto volle esser sepolto in quelle terre.
Questo progetto contribuì enormemente allo sviluppo della zona, in realtà anche al centro dell'interesse e della volontà dell'Imperatore.
Haile' Sellasie' infatti agli inizi degli anni cinquanta promuoveva grandi opere proprio a Bahar Dar sfruttando, come consuetudine, capacità' e mezzi degli stranieri.Assegnava agli Italiani (l'impresa Romana Ing. Mellini) il compito della costruzione di un grande cotonificio e degli annessi come rimborso dei danni di guerra,quindi a spese nostre, ma si profilavano anche nuovi altri interessi in Etiopia; infatti sempre nell'ambito di aiuti assegnava agli Israeliani la costruzione del sistema stradale per meglio collegare la nascente Bahar Dar a Gondar verso nord e ad Addis Abeba verso sud.
Molti di questi lavori vennero eseguiti in sub-appalto dall'impresa locale dei fratelli Orsini.
All'Unione Sovietica assegnò il compito di costruire scuole professionali e di formare i nuovi operai. Quest'ultima sì che non aveva bisogno di nessuno ne' i tecnici si amalgamarono con gli altri Europei che si trovavano in zona e che invece solidarizzavano tra loro nel tempo libero e questo dispiacque molto alle signore russe, mogli dei tecnici, costrette a condurre vita quasi monastica perché per loro stessa ammissione spiavano tra loro stessi i comportamenti personali.
E' ovvio che gli operai Abissini preferissero lavorare con Israeliani ed Italiani per il trattamento più umano loro riservato, ad esempio la sospensione dei lavori- a mezza retribuzione- nel caso di pioggia, mentre i Russi rispondevano loro che erano abituati a lavorare con temperature fino a venti gradi sotto zero e che la pioggia a diciassette-venti gradi non era certo un problema!
In quegli anni il sottoscritto, fresco di diploma di geometra, molto apprezzato perché conseguito all'Istituto Tecnico V. Bottego, ha collaborato modestamente a questo sviluppo insieme ad altri colleghi: Samoggia che era il grande capo, Carobbi e Cancaniccia ed altri tecnici carpentieri, ferraioli, muratori meccanici italiani ed un infermiere, tutti Asmariniavezzi ai disagi ed ai sacrifici che l'epoca ed il luogo richiedevano.
Chi dirigeva la costruzione del cotonificio, chi le cave di approvvigionamento, chi i ponti delle nuove strade dove prima si guadava. I sottoscritto in particolare era addetto alla costruzione del villaggio di servizio del cotonificio, alla contabilità dei lavori, all'economato del campo base che era il riferimento per tutti.
Il campo base costruito con blocchetti di cemento e lamiere zincate oltre che baracche e roulotte che allora chiamavamo "caravane" e ricordavano i vagoni ferroviari, era costituito da una cucina, una mensa, alcuni uffici e casette a schiera come dormitori, ognuno aveva però la sua cameretta.
Ricoveri che invece di apparire precari davano grande sicurezzanella notte e nei lunghi periodi di pioggia. Si mangiava discretamente e nelle feste si giocava a carte, si parlava poco perché ci eravamo già detto tutto, si faceva un giro in barca, sul fiume ma la barca era di papiro e costruita come si è sempre fatto sul Nilo, da miglia di anni. Si pescava, si visitava a volte il villaggio indigeno, tale era allora Bahar Dar dove si ritrovavano i nostri stessi operai locali che ci portavano il massimo rispetto.
Non si andava a caccia, sebbene la selvaggina fosse copiosa, perché eravamo disarmati ne' disponevamo di guardie armate o "zabagna'" per la nostra difesa, a ripensarci oggi vengono i brividi ma la zona era quasi deserta tutti eravamo importati: Europei e Locali, che ripeto avevano il massimo rispetto consci dei comuni sacrifici e dell'impegno svolto per volonta di Sua Maesta'.
Sul posto giungemmo tutti per via aerea di linea, il servzio svolto da DC3 (Dacota) collegava Bahar Dar con Asmara ed Addis Abeba. Gli aerei residuati bellici volavano a tremila- tremilacinquecento metri di quota proprio quella delle perturbazioni, si "ballava" per tutto il viaggio, l'aereo si caricava di elettricità che scaricava dalle ali; le tempeste erano inevitabili proprio nella zona del massiccio del Ras Dashian che ha un'altitudine sui cinquemila metri e molte vette sui quattromila e che quindi sovrastavano di gran lunga la rotta.
Fortunatamente mai successo incidenti, ma quando si arrivava ci si congratulava con il pilota che congedava sempre i passeggeri al piede della scaletta e pallidi in volto molti giuravano che non avrebbero mai più' messo piede su un aereo!
I primi ad arrivare fummo noi Italiani, ma come al solito preceduti, chi sa da quanto, da una famiglia greca che aveva una panetteria che presto si sviluppò; a chi vendessero il pane prima del nostro arrivo non lo abbiamo mai capito ma spesso i Greci ci hanno preceduto.
Le nuove opere sorsero in un ambiente ancora integro ed inizialmente parevano integrate nell'ambiente senza grandi alterazioni, l'opera più imponente oltre al cotonificio era il ponte sul Nilo proprio sulla fonte ed era in realtà molto lungo, quindi più un viadotto ma su travi e non arcate si da essere esso stesso di scarso impatto ambientale. Era l'unico tratto, dicevamo, dove si potesse mettere la terza marcia delle Jeep o la quarta della Campagnole questo per dare un'idea di quale fosse la situazione delle strade.
Le pianure percorribili oltre alle grandi mandrie, erano il regno delle gru coronate, un bellissimo e querulo uccello in altri luoghi rarissimo eda molte specie di uccelli acquatici.
C'erano pure i cinghiali, non facoceri, e qualcuno di questi attraversava di gran carriera il nostro campo base che si vede era stato posto sui loro abituali percorsi. Cinghiali, ippopotami ed una grande quantità di serpenti (bisce, pitoni e naie) si rifugiavano tra i papiri, macchie che erano assolutamente inaccessibili ai mezzi o all'uomo. Gli ippopotami uscivano dalla macchia per raggiungere il fiume, verso le ore ventuno, ventidue ed accompagnavano per tutto il resto della notte i nostri sonni con continui sbadigli, sbruffi e brontolii. Il mattino non occorreva la sveglia perché alle sei, sei e dieci ci svegliava l'aquila pescatrice, quella dalle penne bianche sul collo, quella dello stemma degli U.S.A.con un verso stridulo che ripeteva tre volte, a cadenze regolari, e lo faceva anche alla domenica...
Il fiume era ricchissimo di tilappie, un pesce di ottima qualità che non ha nulla da invidiare a quelli di mare, che costituiva l'alimento oltre che dell'aquila pescatrice, dei numerosi coccodrilli che erano nel fiume, nel tratto molto pietroso. Questi ultimi non erano molto grandi, erano lunghi solo un metro, un metro e mezzo ed erano esili, ricordavano un po' gli alligatori, evidentemente erano di una specie locale e si mimetizzavano molto bene tra le numerose pietre che affioravano nel greto del fiume..
Durante la notte il concerto degli ippopotami era accompagnato dal gracidare di infinite rane e delle naie, serpente che gli Abissini dicevano facesse lo stesso verso. La naia è considerata tra i serpenti peggiori perché velenosa per iniezione e capace anche di sputare il veleno ad una certa distanza cercando di colpire gli occhi. Un mattino se ne trovò una arrotolata nella turca delle latrine che da quel giorno frequentammo molto meno, preferendo il campo aperto per i bisogni corporali.
La mensa era discreta, dovevo gestirla io, con il cuoco l'aiuto cuoco il cameriere che riassettava le camere. Loro amavano definirsi "boys" erano quindi al servizio degli operai e tecnici nazionali che a tutto si adattavano ma che pretendevano, giustamente, una certa qualità.
All'inizio dovetti far loro interrompere una antica usanza locale che era la lavanda dei piedi che senza che nessuno la chiedesse i "boys" la volevano praticare poco prima della cena o durante la cena stessa nei nostri confronti e sotto al tavolo. Io poi soffrivo maledettamente il solletico ai piedi persino quando me li lavavo da solo, e poi proprio non era il caso, nessuno di noi era invalido!
La dieta era costituita dalla pastasciutta, la minestra, tanto pesce: le tilappie appunto ed i polli, alla griglia, di cui il cuoco si riforniva giornalmente dai nativi del villaggio di Bahar Dar. Proprio mentre spennava un pollo in mezzo al fiume, accovacciato sulle pietre, un "boy" é stato azzannato al tallone da un coccodrillo appostato e nascosto, liberatosi lo abbiamo medicato, aveva una decina di buchi profondi e spaventatissimo diceva che era stato il Diavolo. Non c'e' stato verso di fargli capire che era stato certamente un coccodrillo ma l'uomo crede ciò che vuole creder lui.
Ricordi pertanto bellissimi di un posto incantevole.Molti anni dopo, un amico asmarino che aveva lavorato a Bahar Dar e che vive come me a Rivalta, durante una visita medica cardiologica é stato sollecitato dal medico a praticare un rilassamento profondo ed a rasserenarsi nel massimo modo possibile. Finito l'esame il medico gli chiese che metodo avesse usato perche' non aveva mai visto nessuno provocarsi quasi un'estasi, il mio amico mi racconta di avergli risposto: pensavo a Bahar Dar, ho rivissuto quei luoghi, ma lei non può capirlo!
Oggi per provare a ritrasferire lì almeno il mio pensiero, guardo la cartografia satellitare e non sono in grado di riconoscere alcun posto: eccetto il grande ponte non trovo dove fosse il campo base, non riconosco il cotonificio che pur era un edificio enorme, non trovo il villaggio di cui dirigevo i lavori. Tutto è confuso in un mare di cemento, ville di oligarchi sulle rive del fiume, il villaggio dilatato a grande città con un'infinità di strade.
Non riesco a capire perché le rive del fiume non abbiano goduto di un'area di rispetto, perché una natura incontaminata ed uno dei posti più bello del mondo, parliamo della fonte di un ramo principale del Nilo, non abbia goduto di una tutela sovranazionale. Mi chiedo in quale considerazione sia stato tenuto il Piano Regolatore dell'epoca coloniale.
Una cosa é certa io a Bahar Dar, il posto piu' bello che abbia mai visto, non ci tornerei più, preferisco ricordarlo cosi come l'ho conosciuto: con il verso dell'aquila che mi svegliava al mattino, con i cinghiali che attraversavano il campo, col ronfare degli ippopotami che accompagnavano il sonno e con la naia arrotolata nella latrina.
Cristoforo Barberi
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- Agau-del-Semien
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19/09/2014 08:49 #23258
da Agau-del-Semien
Le spelonche degli orrori … o dei misteri
?
Sul nostro Mai Taclì,n°5/2010 abbiamo potuto leggere il racconto dell’ing. Rivolta sulle visite della grotta di Caià-Zeret; molto interessante da un punto di vista naturalistico, fondamentale per la speleologia ma che contiene alcune imprecisioni storiche circa l’uso militare che se ne fece durante la nostra occupazione.
Successivamente alla conquista di Addis Abeba le nostre truppe: regolari, volontarie e coloniali furono impegnate in azioni di contrasto della guerriglia praticata, a scopo patriottico, soprattutto dagli Amhara nello Scioa,e guidata da Abebè Aregai.La potenzialità offensiva e la determinazione dei Patrioti, o Scifta come essi stessi si definivano, era nota ma i contatti e le tentate mediazioni tra il nostro Governo e loro non vennero mai meno, persino con lo stesso Abebè.
In questo contesto, per ben due volte e nello stesso periodo gruppi di Patrioti, vedremo come e perché, fecero l’errore tattico di rifugiarsi in grandi spelonche invece di disperdesi o distanziarsi con il favore del terreno, sul quale padroneggiavano la situazione.
Il ventiquattro marzo 1939,la colonna al comando del Capitano Farello, il località Cembriè agganciava nuclei ribelli al comando dei capi Cheffeleu e Ghesacciò in Agherè Merfià,provocandone la rotta. Il giorno successivo i superstiti trovarono rifugio nell’ampia caverna di Ghirid, nel Territorio delle Cinque Confluenze, che veniva messa sotto assedio e sgomberata.
Di questo atto, parte delle Operazioni definite di Polizia Coloniale, ancora non se ne parla .La località non è stata raggiunta da esploratori o turisti nessun giornalista ha intervistato qualche improbabile superstite, che non esiste perché i fatti accaddero settanta anni fa e lì la vita media raggiunge solo ora i cinquanta anni, ma restiamo in attesa perché tutto può accadere. Non escludo che ci dicano che siano stati usati i gas, la benzina,i proiettili all’ uranio e l’anti-materia per uccidere migliaia di Etiopici anche in quel sito.
Situazione ben diversa, da un punto di vista della comunicazione mediatica, quella della grotta di Caià Zeret, salita agli onori della cronaca in seguito alle ricerche di un giovanissimo ricercatore universitario Matteo Dominioni di Torino. Egli ha scovato in un faldone con l’etichetta “varie”un documento, senza firma, dell’Archivio Storico dello Stato Maggiore dell’ Esercito traendone alcune conclusioni, che onestamente non conosco, ma prontamente recepite dal quotidiano “La Repubblica” vengono divulgate il ventidue maggio 2006. Il fatto d’arme viene paragonato a quanto accadde in Istria al termine della Seconda Guerra Mondiale ove gli Slavi praticarono una pulizia etnica a danno degli Italiani residenti; viene considerato più grave di quanto accadde a Marzabotto e a Srebrenica.
Le vittime di Caià Zeret vengono quantificate in mil-
le: donne e bambini compresi, si da per scontato l’uso
di gas venefici. Fortunatamente, per l’onore militare
italiano,il fatto non viene paragonato alla distru-
zione del Ghetto di Varsavia da parte del Gen.J.Stroop!
La responsabilità morale viene addebitata niente che
meno al Duca D’Aosta ed al colonnello Lorenzini, facen-
doli certamente rivoltare nella tomba!
Ma le cose non andarono così, ben altra la ricostru-
zione dei fatti compiuta da uno studioso: il Sig. G.
Carlo Stella di Fusignano che oltre ad aver creato la
più grande biblioteca privata sulla ex Africa Orienta-
le Italiana, compie appassionatamente la ricerca sto-
rica in modo rigoroso, tale da lasciare ai posteri in-
ressanti riferimenti e più certi.
Stella ha magistralmente riassunto i fatti sul giornale “Il Reduce D’Africa” organo ufficiale dell’ A.N.R.R.A. n. nove-dieci dell’ottobre-dicembre 2006, al quale vivamente si rimanda per conoscere i dettagli: date, attori, catena di comando,ordini e strategie, armi impiegate,condizioni della resa, caduti; in modo esaustivo e rigoroso.
Non furono usati gas venefici, il combattimento era ravvicinato, le nostre truppe a cinquanta metri di distanza. Nessun membro dei villaggi si rifugiò nella grotta per paura degli Italiani. Donne e bambini, ovviamente risparmiati erano al seguito dei Patrioti. In simili situazioni il vantaggio di chi dispone dell’ artiglieria è fondamentale e sufficiente per risolvere la situazione contro chi va a rifugiarsi in una grotta.
Giovani storici e ricercatori commettono l’errore di non contestualizzare nel tempo e nello spazio i fatti e di assimilarli a quanto è accaduto in Italia seppur di guerre di liberazione si parli. Gli Etiopici, allora, non erano un popolo coeso ed omogeneo, le etnie sottomesse non facevano grandi differenze se a sottometterle erano gli Amhara o gli Italiani ai quali spesso mostravano la preferenza; si pensi solo all’etnia più numerosa: i Galla, oggi una componente elitaria e consistente del Popolo Etiopico, nerbo del loro esercito, all’epoca si alleavano spesso con noi o si astenevano dal combatterci.
Ma un punto di similitudine tra le guerre di liberazione lo si può trovare: ed è lo scarso amore tra i combattenti, che devono sopravvivere, e i paesani agricoltori ed allevatori che devono mantenerli. La conclusione della vicenda e la morte di Tesciomme Sciancut, capo dei ribelli, fu salutata con gioia dai Paesani che entusiasti collaborarono, in seguito, spontaneamente alla costruzione di un fortino a presidio della zona.
Cristoforo Barberi.
Sul nostro Mai Taclì,n°5/2010 abbiamo potuto leggere il racconto dell’ing. Rivolta sulle visite della grotta di Caià-Zeret; molto interessante da un punto di vista naturalistico, fondamentale per la speleologia ma che contiene alcune imprecisioni storiche circa l’uso militare che se ne fece durante la nostra occupazione.
Successivamente alla conquista di Addis Abeba le nostre truppe: regolari, volontarie e coloniali furono impegnate in azioni di contrasto della guerriglia praticata, a scopo patriottico, soprattutto dagli Amhara nello Scioa,e guidata da Abebè Aregai.La potenzialità offensiva e la determinazione dei Patrioti, o Scifta come essi stessi si definivano, era nota ma i contatti e le tentate mediazioni tra il nostro Governo e loro non vennero mai meno, persino con lo stesso Abebè.
In questo contesto, per ben due volte e nello stesso periodo gruppi di Patrioti, vedremo come e perché, fecero l’errore tattico di rifugiarsi in grandi spelonche invece di disperdesi o distanziarsi con il favore del terreno, sul quale padroneggiavano la situazione.
Il ventiquattro marzo 1939,la colonna al comando del Capitano Farello, il località Cembriè agganciava nuclei ribelli al comando dei capi Cheffeleu e Ghesacciò in Agherè Merfià,provocandone la rotta. Il giorno successivo i superstiti trovarono rifugio nell’ampia caverna di Ghirid, nel Territorio delle Cinque Confluenze, che veniva messa sotto assedio e sgomberata.
Di questo atto, parte delle Operazioni definite di Polizia Coloniale, ancora non se ne parla .La località non è stata raggiunta da esploratori o turisti nessun giornalista ha intervistato qualche improbabile superstite, che non esiste perché i fatti accaddero settanta anni fa e lì la vita media raggiunge solo ora i cinquanta anni, ma restiamo in attesa perché tutto può accadere. Non escludo che ci dicano che siano stati usati i gas, la benzina,i proiettili all’ uranio e l’anti-materia per uccidere migliaia di Etiopici anche in quel sito.
Situazione ben diversa, da un punto di vista della comunicazione mediatica, quella della grotta di Caià Zeret, salita agli onori della cronaca in seguito alle ricerche di un giovanissimo ricercatore universitario Matteo Dominioni di Torino. Egli ha scovato in un faldone con l’etichetta “varie”un documento, senza firma, dell’Archivio Storico dello Stato Maggiore dell’ Esercito traendone alcune conclusioni, che onestamente non conosco, ma prontamente recepite dal quotidiano “La Repubblica” vengono divulgate il ventidue maggio 2006. Il fatto d’arme viene paragonato a quanto accadde in Istria al termine della Seconda Guerra Mondiale ove gli Slavi praticarono una pulizia etnica a danno degli Italiani residenti; viene considerato più grave di quanto accadde a Marzabotto e a Srebrenica.
Le vittime di Caià Zeret vengono quantificate in mil-
le: donne e bambini compresi, si da per scontato l’uso
di gas venefici. Fortunatamente, per l’onore militare
italiano,il fatto non viene paragonato alla distru-
zione del Ghetto di Varsavia da parte del Gen.J.Stroop!
La responsabilità morale viene addebitata niente che
meno al Duca D’Aosta ed al colonnello Lorenzini, facen-
doli certamente rivoltare nella tomba!
Ma le cose non andarono così, ben altra la ricostru-
zione dei fatti compiuta da uno studioso: il Sig. G.
Carlo Stella di Fusignano che oltre ad aver creato la
più grande biblioteca privata sulla ex Africa Orienta-
le Italiana, compie appassionatamente la ricerca sto-
rica in modo rigoroso, tale da lasciare ai posteri in-
ressanti riferimenti e più certi.
Stella ha magistralmente riassunto i fatti sul giornale “Il Reduce D’Africa” organo ufficiale dell’ A.N.R.R.A. n. nove-dieci dell’ottobre-dicembre 2006, al quale vivamente si rimanda per conoscere i dettagli: date, attori, catena di comando,ordini e strategie, armi impiegate,condizioni della resa, caduti; in modo esaustivo e rigoroso.
Non furono usati gas venefici, il combattimento era ravvicinato, le nostre truppe a cinquanta metri di distanza. Nessun membro dei villaggi si rifugiò nella grotta per paura degli Italiani. Donne e bambini, ovviamente risparmiati erano al seguito dei Patrioti. In simili situazioni il vantaggio di chi dispone dell’ artiglieria è fondamentale e sufficiente per risolvere la situazione contro chi va a rifugiarsi in una grotta.
Giovani storici e ricercatori commettono l’errore di non contestualizzare nel tempo e nello spazio i fatti e di assimilarli a quanto è accaduto in Italia seppur di guerre di liberazione si parli. Gli Etiopici, allora, non erano un popolo coeso ed omogeneo, le etnie sottomesse non facevano grandi differenze se a sottometterle erano gli Amhara o gli Italiani ai quali spesso mostravano la preferenza; si pensi solo all’etnia più numerosa: i Galla, oggi una componente elitaria e consistente del Popolo Etiopico, nerbo del loro esercito, all’epoca si alleavano spesso con noi o si astenevano dal combatterci.
Ma un punto di similitudine tra le guerre di liberazione lo si può trovare: ed è lo scarso amore tra i combattenti, che devono sopravvivere, e i paesani agricoltori ed allevatori che devono mantenerli. La conclusione della vicenda e la morte di Tesciomme Sciancut, capo dei ribelli, fu salutata con gioia dai Paesani che entusiasti collaborarono, in seguito, spontaneamente alla costruzione di un fortino a presidio della zona.
Cristoforo Barberi.
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15/09/2014 08:11 #23224
da Francesco
Caro Cristoforo, ti ringrazio egualmente, ma attendo i tuoi scritti su Bahar Dar.
Un saluto
mas
Un saluto
mas
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14/09/2014 13:05 #23221
da cribar
Caro Francesco,
non posso accontentarti, ho vissuto per circa un anno ma solo nei pressi di Bahar Dar. Non conosco Gondar nè la riva nord del Tana.
Un saluto, Cristoforo.
non posso accontentarti, ho vissuto per circa un anno ma solo nei pressi di Bahar Dar. Non conosco Gondar nè la riva nord del Tana.
Un saluto, Cristoforo.
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- Agau-del-Semien
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14/09/2014 07:50 #23220
da Agau-del-Semien
meglio andare ora in Abissinia, dove tutti i prati sono colmi del FIORE DEL MASCAL.
buon viaggio
agau
buon viaggio
agau
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13/09/2014 15:58 #23217
da Francesco
AGAU,hai ragione ,osservo che i fiori sono quasi simili, ma si distinguono dalla tinta al centro.
Per dare un giudizio più appropriato dovrei consultare il mio testo di Scienze Naturali, settore botanica della 1^cl. per Geometri.
mas
Per dare un giudizio più appropriato dovrei consultare il mio testo di Scienze Naturali, settore botanica della 1^cl. per Geometri.
mas
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