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All'ombra dei 'calipti. Una voce fuori dal coro

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19/08/2014 10:23 #22975 da Francesco
ITALIA INGRATA!

GHEBRESLASIE BERAKI, PENSIONATO AL MINIMO, SOLO, OSPITE IN UNA CASA DI RIPOSO DEL COMUNE DI ROMA. CIRCA 560 EURO MENSILI DI PENSIONE. UNA RETTA DA PAGARE DI CIRCA 400 EURO MENSILI. IPOVEDENTE. CON PROBLEMI DI DIETA ALIMENTARE. GLI ULTIMI ASCARI RESIDENTI IN ERITREA PERCEPISCONO UN PICCOLO SUSSIDIO VITALIZIO DAL GOVERNO ITALIANO. MA ALL'ASCARO BERAKI CHE HA DEDICATO GLI ANNI MIGLIORI DELLA SUA VITA A COMBATTERE E SERVIRE L'ITALIA, CHE PER 15 ANNI HA LAVORATO "IN NERO" PRESSO UN ISTITUTO PARASTATALE ITALIANO, NIENTE CONTRIBUTI INPS, NE' LIQUIDAZIONE, NIENTE PENSIONE MILITARE, NIENTE MEDAGLIA AL VALORE, NIENTE SUSSIDIO SIMBOLICO NE' ONORIFICENZE.
NON MERITEREBBE QUALCOSA DI PIU' ?

AD ESEMPIO, UN'ASSOCIAZIONE DI VOLONTARI DI SETTORE NON POTREBBE PRENDERSI CARICO, CON MAGGIORE ASSIDUITA' E CURA DEI SUOI PROBLEMI DI SALUTE, DI SOLITUDINE, DI DISAGIO SOCIALE ED ECONOMICO ?
STORIA PIU' COMPLETA PUBBLICATA SUL CORRIERE DELLA SERA DEL 13 LUGLIO 2007
Da "RIVISTA MILITARE" marzo -aprile 2007 Bimestrale dell'Esercito Italiano
I racconti dell' Ascaro Beraki
Dalla guerra italo-abissina alla difesa di Gondar. L'incredibile epopea di un anziano reduce che, con la nostra uniforme, seppe servire con fierezza e orgoglio la nostra e... la sua Patria.
Beraki Ghebreslasie è un anziano cittadino di novantadue anni. Lo incontro i una casa di riposo per anziani del comune di Roma in cui è ospite da molto tempo. Il colore scuro della pelle ricorda la sue origini etiopi, ma stringendomi la mano si affretta presentarsi come "fedele soldato italiano". Nato ad Adinebri, ma vissuto in Eritrea si arruolò nel 1933 nel Regio Esercito e combattè a fianco dei nostri sodati nella seconda guerra italo-abissina del 1935 -1936e nell'ultima resistenza a Gondar contro gli Inglesi nel 1941, sotto il comando del Generale di Corpo d'armata Guglielmo Nasi. Ghebreslasie è un Ascaro che giurò fedeltà alla bandiera italiana e combattè per essa fino alla resa dell'Africa Orientale Italiana. Gli ascari erano soldati indigeni volontari inquadrati nelle formazioni regolari del Regio Corpo Truppe Colonia italiano. le loro origini risalivano al 1889, con la costituzione dei primi quattro battaglioni eritrei, i cui componenti ricevettero l'appellativo di "Ascari", dall'arabo "Ascar", soldato. Indossavano una divisa i cui caratteri distintivi erano un copricapo denominato "tarbusc" e una fascia avvolta in vita, denominata "etagà", con i colori dell'arma o dell'unità. Ghebreslasie combattè dapprima come semplice ascaro, partecipando alla conquista dell'Etiopia e successivamente con il grado di Sciumbasci, l'equivalente del nostro maresciallo, nel 1941 alla difesa del ridotto di Gondar, capoluogo della regione dell'Asmara. Ho ripercorso con lui le vicende belliche di quegli anni di cui serba un ricordo vivido ed emozionale, quasi come se da allora il tempo per lui si fosse fermato.
Io ero fiero di essere un soldato italiano. Lo sono stato sempre. Sia nella vittoria sia nella sconfitta. Mi sono arruolato per rendere onore alla mia bandiera, quel tricolore sotto cui sono nato e fu proprio quando gli inglesi lo minacciarono che io mi sentii offeso nell'orgoglio e lottai oltre le possibilità fisiche e mentali, oltre anche all'umana paura, pur di compiere il mio dovere di soldato. Per il mio re Vittorio Emanuele III ho sofferto la fame, perso il sonno e provate dolore. Però ho sempre avuto la convinzione che servire l'Itlia sarebbe stata la missione più nobile della mia vita. Avevo ragione.
Infatti lei, come molti altri, rimase in armi al servizio dell'esercito italiano anche negli anni che seguirono alla proclamazione dell'impero. Il Negus era stato costretto ad abbandonare l'Etiopia e ad Addis Abeba sventolava la bandiera italiana anche se parte del paese doveva ancora essere pacificata. La decisione di rimanere sotto le armi fu sua o imposta dai comandanti?
Era mio volere restare. Io sono un soldato. Un soldato italiano. Il comandante non chiese a noi coloniali se volevamo essere congedati, non lo chiese neanche agli italiani. Non ricordo nessun compagno andare via. Restammo tutti e volevamo restare tutti.
Lo stato di ribellione in effetti continuò in tutte le regioni etiopiche anche dopo il 1936 alimentato dalla Gran Bretagna e dalla Francia, presenti nel Corno d'Africa con i loro possedimenti, e che non vedevano di buon occhio il rafforzamento delle posizioni italiane. nelle cosiddette operazioni di grande polizia coloniale contro la guerriglia etiope svolte fino al 1940 furono impiegate per lo più truppe coloniali e bande irregolari al servizio degli italiani, più idonee ad operare contro le formazioni di guerriglieri estremamente mobili ed a loro agio in terreni aspri, inospitali e privi di vie di comunicazione. I problemi aumentarono dopo l'intervento dell'Italia nel secondo conflitto mondiale. L'Africa orientale italiana rimase tagliata fuori dalla madrepatria ed impossibilitata ad essere rifornita di armi, equipaggiamenti e munizioni.
Ricordo che da Roma arrivarono nei primi mesi del 1940 dei mezzi e degli uomini. Tutti Ufficiali, ma avevamo pochi autocarri. Le gomme e le scorte di carburante erano sufficienti per qualche mese, due o tre al massimo. Il vestiario e il vettovagliamento però non erano un problema, per fortuna.
Minacciata dal'invasione tedesca sul proprio territorio, la Gran Bretagna lasciò, nell'estate-autunno 1940, l'iniziativa delle operazioni delle forze italiane, che svolsero limitate azioni offensive contro la Somalia britannica, che venne integralmente conquistata, e puntate in direzione del Sudan e del Kenia.
Quando noi avanzammo verso Cassala -ricorda Ghebleslasie- nel Sudan sudorientale, l'obbiettivo fu raggiunto con facilità, senza perdite. Occupammo solo Cassala perchè era un centro importante, a 20 km dalla frontiera eritrea e poi poco dopo anche Moyale, in kenia.
Gli inglesi passarono al contrattacco nel gennaio del 1941 stringendo da ogni lato in una gigantesca morsa possedimenti italiani dell'Africa Orientale. Dopo aver tentato inutilmente di difendere le posizioni di frontiera, gli Italiani, agli ordini di Amedeo Duca d'Aosta, ripiegarono verso linee arretrate all'intero del vasto territorio compreso tra Eritrea. Etiopia e Somalia. Lo squilibrio delle forze in campo,che vedeva i Britannici prevalere nettamente in mezzi tecnici quali carri armati, autoblindo aeroplani e artigliere, non lasciava nessuna possibilità di vittoria alle truppe italiane. Rimaste ben presto a corto di rifornimenti e pressate fortemente anche dai guerriglieri etiopi, rincuorati dall'arrivo degli Inglesi, le residue forze del Duca d'Aosta si attestarono a difesa di ridotti con l'intenzione di resistere il più a lungo possibile alle preponderanti unità avversarie. Il 19 Maggio 1941 si arrendeva, dopo due settimane di eroica resistenza, il caposaldo dell'Amba Alagi, ch ottenne l'onore delle armi da parte degli Inglesi. Rimanevano ancora 80 000 Italiani in armi, al comando del generale Gazzena, nel settore sud occidentale, e del generali Nasi, in quello nord occidentale.
Io ero inquadrato con il contingente del generale Guglielmo Nasi a Gondar, in Etiopia. Ci divise da subito in più punti: Culquaber, Uolchefit e Debra Tabor. Io stavo a Culquaber, a circa 40 km da Gondar. Eravamo isolati, senza possibilità di ricevere rinforzi, però ci sentivamo protetti dalle montagne. Era un lungo strategico a 2 000 m di altezza. Una formidabile fortezza naturale.
Gondar era stata scelta quale ultima difesa dell'impero perché torreggiava l'altopiano etiope circostante. Per raggiungerla gli attaccanti erano costretti ad arrampicarsi per ripidi pendii rocciosi e i rifornimenti vi potevano giungere soltanto attraverso malagevoli mulattiere. Su queste posizioni gareggiavano in eroismo le truppe italiane e gli Ascari, che a lungo tennero testa ad un nemico soverchiante.
L'artiglieria e l'aviazione Inglese ci stavano decimando, giorno dopo giorno. Avevo perso tutti i miei compagni più cari ed ero certo che non sarei sopravvissuto neanche io. il Generale Nasi è un eroe, se oggi sono vivo lo devo solo a lui. Siamo stati noi, i suoi uomini, gli ultimi ad ammainare la bandiera italiana. abbiamo resistito, senza mangiare né dormire per cinque lungi giorni. Eravamo rimasti in pochi ma eravamo diventati tutti fratelli. Tutti. Non li dimenticherò mai. Sono trascorsi 65 anni d'allora, eppure ho davanti agli occhi i loro visi, come se li potessi ancora vedere sorridere. Le esperienze come questa non si possono dimenticare e il ricordo è sempre presente nelle mie giornate.
L'assedio del sistema difensivo dell'Amara, incentrato sulle posizioni di Gondar, si protrasse per vari mesi. Alla fine gli italiani dovettero capitolare perchè rimasti senza viveri e munizioni. L'ultimo tricolore dell'impero fu ammainato il 28 Novembre 1941. Perirono nella battaglia di Gondar oltre 500 militari nazionali e 248 Coloniali.
Dopo un periodo di prigionia sono riuscito a fuggire e ho riparato in Sudan. Sono arrivato dopo venti giorni di cammino, a piedi e lì sono rimasto per due anni, ospite di un sacerdote. Successivamente sono tornato in Eritrea e nel '47 sono stato congedato. Ero un pò triste e disorientato. E' difficile per chi ha indossato una divisa per così tanti anni doversi trovare un posto nella società civile e rassegnarsi ad una vita più tranquilla, alla vita che fanno tutti. Per questo decisi, nel 1972, di venire qui a Roma. Ho lavorato presso l'Istituto italiano di Studi africani per oltre trenta anni. Adesso che sono finalmente a riposo e la vecchiaia a darmi qualche problema di salute, ringrazio quanti, come lei, mi chiedono di raccontare della guerra d'Africa. Mi rendono felice, perchè la mia mente a dire il vero è ancora lì, tra le montagne a nord del lago Tana, lì a Gondar con i miei compagni perduti. Parlare della mia storia è come parlare di loro, onorare la loro memoria e il loro coraggio. Sento questo dovere, perchè anche le nuove generazioni sappiano degli eroi d'Africa che si sono sacrificati per la loro e per la nostra patria. Io sono stato tra i più fortunati, forse proprio per poterlo raccontare.

A cura di M. J. Secci Caporal Maggiore in servizio presso il reparto Affari Generali dello Stato Maggiore dell'Esercito

Si prega Accedi o Crea un account a partecipare alla conversazione.

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19/08/2014 10:21 #22974 da Francesco
ITALIA INGRATA!

GHEBRESLASIE BERAKI, PENSIONATO AL MINIMO, SOLO, OSPITE IN UNA CASA DI RIPOSO DEL COMUNE DI ROMA. CIRCA 560 EURO MENSILI DI PENSIONE. UNA RETTA DA PAGARE DI CIRCA 400 EURO MENSILI. IPOVEDENTE. CON PROBLEMI DI DIETA ALIMENTARE. GLI ULTIMI ASCARI RESIDENTI IN ERITREA PERCEPISCONO UN PICCOLO SUSSIDIO VITALIZIO DAL GOVERNO ITALIANO. MA ALL'ASCARO BERAKI CHE HA DEDICATO GLI ANNI MIGLIORI DELLA SUA VITA A COMBATTERE E SERVIRE L'ITALIA, CHE PER 15 ANNI HA LAVORATO "IN NERO" PRESSO UN ISTITUTO PARASTATALE ITALIANO, NIENTE CONTRIBUTI INPS, NE' LIQUIDAZIONE, NIENTE PENSIONE MILITARE, NIENTE MEDAGLIA AL VALORE, NIENTE SUSSIDIO SIMBOLICO NE' ONORIFICENZE.
NON MERITEREBBE QUALCOSA DI PIU' ?

AD ESEMPIO, UN'ASSOCIAZIONE DI VOLONTARI DI SETTORE NON POTREBBE PRENDERSI CARICO, CON MAGGIORE ASSIDUITA' E CURA DEI SUOI PROBLEMI DI SALUTE, DI SOLITUDINE, DI DISAGIO SOCIALE ED ECONOMICO ?
STORIA PIU' COMPLETA PUBBLICATA SUL CORRIERE DELLA SERA DEL 13 LUGLIO 2007
Da "RIVISTA MILITARE" marzo -aprile 2007 Bimestrale dell'Esercito Italiano
I racconti dell' Ascaro Beraki
Dalla guerra italo-abissina alla difesa di Gondar. L'incredibile epopea di un anziano reduce che, con la nostra uniforme, seppe servire con fierezza e orgoglio la nostra e... la sua Patria.
Beraki Ghebreslasie è un anziano cittadino di novantadue anni. Lo incontro i una casa di riposo per anziani del comune di Roma in cui è ospite da molto tempo. Il colore scuro della pelle ricorda la sue origini etiopi, ma stringendomi la mano si affretta presentarsi come "fedele soldato italiano". Nato ad Adinebri, ma vissuto in Eritrea si arruolò nel 1933 nel Regio Esercito e combattè a fianco dei nostri sodati nella seconda guerra italo-abissina del 1935 -1936e nell'ultima resistenza a Gondar contro gli Inglesi nel 1941, sotto il comando del Generale di Corpo d'armata Guglielmo Nasi. Ghebreslasie è un Ascaro che giurò fedeltà alla bandiera italiana e combattè per essa fino alla resa dell'Africa Orientale Italiana. Gli ascari erano soldati indigeni volontari inquadrati nelle formazioni regolari del Regio Corpo Truppe Colonia italiano. le loro origini risalivano al 1889, con la costituzione dei primi quattro battaglioni eritrei, i cui componenti ricevettero l'appellativo di "Ascari", dall'arabo "Ascar", soldato. Indossavano una divisa i cui caratteri distintivi erano un copricapo denominato "tarbusc" e una fascia avvolta in vita, denominata "etagà", con i colori dell'arma o dell'unità. Ghebreslasie combattè dapprima come semplice ascaro, partecipando alla conquista dell'Etiopia e successivamente con il grado di Sciumbasci, l'equivalente del nostro maresciallo, nel 1941 alla difesa del ridotto di Gondar, capoluogo della regione dell'Asmara. Ho ripercorso con lui le vicende belliche di quegli anni di cui serba un ricordo vivido ed emozionale, quasi come se da allora il tempo per lui si fosse fermato.
Io ero fiero di essere un soldato italiano. Lo sono stato sempre. Sia nella vittoria sia nella sconfitta. Mi sono arruolato per rendere onore alla mia bandiera, quel tricolore sotto cui sono nato e fu proprio quando gli inglesi lo minacciarono che io mi sentii offeso nell'orgoglio e lottai oltre le possibilità fisiche e mentali, oltre anche all'umana paura, pur di compiere il mio dovere di soldato. Per il mio re Vittorio Emanuele III ho sofferto la fame, perso il sonno e provate dolore. Però ho sempre avuto la convinzione che servire l'Itlia sarebbe stata la missione più nobile della mia vita. Avevo ragione.
Infatti lei, come molti altri, rimase in armi al servizio dell'esercito italiano anche negli anni che seguirono alla proclamazione dell'impero. Il Negus era stato costretto ad abbandonare l'Etiopia e ad Addis Abeba sventolava la bandiera italiana anche se parte del paese doveva ancora essere pacificata. La decisione di rimanere sotto le armi fu sua o imposta dai comandanti?
Era mio volere restare. Io sono un soldato. Un soldato italiano. Il comandante non chiese a noi coloniali se volevamo essere congedati, non lo chiese neanche agli italiani. Non ricordo nessun compagno andare via. Restammo tutti e volevamo restare tutti.
Lo stato di ribellione in effetti continuò in tutte le regioni etiopiche anche dopo il 1936 alimentato dalla Gran Bretagna e dalla Francia, presenti nel Corno d'Africa con i loro possedimenti, e che non vedevano di buon occhio il rafforzamento delle posizioni italiane. nelle cosiddette operazioni di grande polizia coloniale contro la guerriglia etiope svolte fino al 1940 furono impiegate per lo più truppe coloniali e bande irregolari al servizio degli italiani, più idonee ad operare contro le formazioni di guerriglieri estremamente mobili ed a loro agio in terreni aspri, inospitali e privi di vie di comunicazione. I problemi aumentarono dopo l'intervento dell'Italia nel secondo conflitto mondiale. L'Africa orientale italiana rimase tagliata fuori dalla madrepatria ed impossibilitata ad essere rifornita di armi, equipaggiamenti e munizioni.
Ricordo che da Roma arrivarono nei primi mesi del 1940 dei mezzi e degli uomini. Tutti Ufficiali, ma avevamo pochi autocarri. Le gomme e le scorte di carburante erano sufficienti per qualche mese, due o tre al massimo. Il vestiario e il vettovagliamento però non erano un problema, per fortuna.
Minacciata dal'invasione tedesca sul proprio territorio, la Gran Bretagna lasciò, nell'estate-autunno 1940, l'iniziativa delle operazioni delle forze italiane, che svolsero limitate azioni offensive contro la Somalia britannica, che venne integralmente conquistata, e puntate in direzione del Sudan e del Kenia.
Quando noi avanzammo verso Cassala -ricorda Ghebleslasie- nel Sudan sudorientale, l'obbiettivo fu raggiunto con facilità, senza perdite. Occupammo solo Cassala perchè era un centro importante, a 20 km dalla frontiera eritrea e poi poco dopo anche Moyale, in kenia.
Gli inglesi passarono al contrattacco nel gennaio del 1941 stringendo da ogni lato in una gigantesca morsa possedimenti italiani dell'Africa Orientale. Dopo aver tentato inutilmente di difendere le posizioni di frontiera, gli Italiani, agli ordini di Amedeo Duca d'Aosta, ripiegarono verso linee arretrate all'intero del vasto territorio compreso tra Eritrea. Etiopia e Somalia. Lo squilibrio delle forze in campo,che vedeva i Britannici prevalere nettamente in mezzi tecnici quali carri armati, autoblindo aeroplani e artigliere, non lasciava nessuna possibilità di vittoria alle truppe italiane. Rimaste ben presto a corto di rifornimenti e pressate fortemente anche dai guerriglieri etiopi, rincuorati dall'arrivo degli Inglesi, le residue forze del Duca d'Aosta si attestarono a difesa di ridotti con l'intenzione di resistere il più a lungo possibile alle preponderanti unità avversarie. Il 19 Maggio 1941 si arrendeva, dopo due settimane di eroica resistenza, il caposaldo dell'Amba Alagi, ch ottenne l'onore delle armi da parte degli Inglesi. Rimanevano ancora 80 000 Italiani in armi, al comando del generale Gazzena, nel settore sud occidentale, e del generali Nasi, in quello nord occidentale.
Io ero inquadrato con il contingente del generale Guglielmo Nasi a Gondar, in Etiopia. Ci divise da subito in più punti: Culquaber, Uolchefit e Debra Tabor. Io stavo a Culquaber, a circa 40 km da Gondar. Eravamo isolati, senza possibilità di ricevere rinforzi, però ci sentivamo protetti dalle montagne. Era un lungo strategico a 2 000 m di altezza. Una formidabile fortezza naturale.
Gondar era stata scelta quale ultima difesa dell'impero perché torreggiava l'altopiano etiope circostante. Per raggiungerla gli attaccanti erano costretti ad arrampicarsi per ripidi pendii rocciosi e i rifornimenti vi potevano giungere soltanto attraverso malagevoli mulattiere. Su queste posizioni gareggiavano in eroismo le truppe italiane e gli Ascari, che a lungo tennero testa ad un nemico soverchiante.
L'artiglieria e l'aviazione Inglese ci stavano decimando, giorno dopo giorno. Avevo perso tutti i miei compagni più cari ed ero certo che non sarei sopravvissuto neanche io. il Generale Nasi è un eroe, se oggi sono vivo lo devo solo a lui. Siamo stati noi, i suoi uomini, gli ultimi ad ammainare la bandiera italiana. abbiamo resistito, senza mangiare né dormire per cinque lungi giorni. Eravamo rimasti in pochi ma eravamo diventati tutti fratelli. Tutti. Non li dimenticherò mai. Sono trascorsi 65 anni d'allora, eppure ho davanti agli occhi i loro visi, come se li potessi ancora vedere sorridere. Le esperienze come questa non si possono dimenticare e il ricordo è sempre presente nelle mie giornate.
L'assedio del sistema difensivo dell'Amara, incentrato sulle posizioni di Gondar, si protrasse per vari mesi. Alla fine gli italiani dovettero capitolare perchè rimasti senza viveri e munizioni. L'ultimo tricolore dell'impero fu ammainato il 28 Novembre 1941. Perirono nella battaglia di Gondar oltre 500 militari nazionali e 248 Coloniali.
Dopo un periodo di prigionia sono riuscito a fuggire e ho riparato in Sudan. Sono arrivato dopo venti giorni di cammino, a piedi e lì sono rimasto per due anni, ospite di un sacerdote. Successivamente sono tornato in Eritrea e nel '47 sono stato congedato. Ero un pò triste e disorientato. E' difficile per chi ha indossato una divisa per così tanti anni doversi trovare un posto nella società civile e rassegnarsi ad una vita più tranquilla, alla vita che fanno tutti. Per questo decisi, nel 1972, di venire qui a Roma. Ho lavorato presso l'Istituto italiano di Studi africani per oltre trenta anni. Adesso che sono finalmente a riposo e la vecchiaia a darmi qualche problema di salute, ringrazio quanti, come lei, mi chiedono di raccontare della guerra d'Africa. Mi rendono felice, perchè la mia mente a dire il vero è ancora lì, tra le montagne a nord del lago Tana, lì a Gondar con i miei compagni perduti. Parlare della mia storia è come parlare di loro, onorare la loro memoria e il loro coraggio. Sento questo dovere, perchè anche le nuove generazioni sappiano degli eroi d'Africa che si sono sacrificati per la loro e per la nostra patria. Io sono stato tra i più fortunati, forse proprio per poterlo raccontare.

A cura di M. J. Secci Caporal Maggiore in servizio presso il reparto Affari Generali dello Stato Maggiore dell'Esercito

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19/08/2014 10:21 #22973 da Francesco
ITALIA INGRATA!

GHEBRESLASIE BERAKI, PENSIONATO AL MINIMO, SOLO, OSPITE IN UNA CASA DI RIPOSO DEL COMUNE DI ROMA. CIRCA 560 EURO MENSILI DI PENSIONE. UNA RETTA DA PAGARE DI CIRCA 400 EURO MENSILI. IPOVEDENTE. CON PROBLEMI DI DIETA ALIMENTARE. GLI ULTIMI ASCARI RESIDENTI IN ERITREA PERCEPISCONO UN PICCOLO SUSSIDIO VITALIZIO DAL GOVERNO ITALIANO. MA ALL'ASCARO BERAKI CHE HA DEDICATO GLI ANNI MIGLIORI DELLA SUA VITA A COMBATTERE E SERVIRE L'ITALIA, CHE PER 15 ANNI HA LAVORATO "IN NERO" PRESSO UN ISTITUTO PARASTATALE ITALIANO, NIENTE CONTRIBUTI INPS, NE' LIQUIDAZIONE, NIENTE PENSIONE MILITARE, NIENTE MEDAGLIA AL VALORE, NIENTE SUSSIDIO SIMBOLICO NE' ONORIFICENZE.
NON MERITEREBBE QUALCOSA DI PIU' ?

AD ESEMPIO, UN'ASSOCIAZIONE DI VOLONTARI DI SETTORE NON POTREBBE PRENDERSI CARICO, CON MAGGIORE ASSIDUITA' E CURA DEI SUOI PROBLEMI DI SALUTE, DI SOLITUDINE, DI DISAGIO SOCIALE ED ECONOMICO ?
STORIA PIU' COMPLETA PUBBLICATA SUL CORRIERE DELLA SERA DEL 13 LUGLIO 2007
Da "RIVISTA MILITARE" marzo -aprile 2007 Bimestrale dell'Esercito Italiano
I racconti dell' Ascaro Beraki
Dalla guerra italo-abissina alla difesa di Gondar. L'incredibile epopea di un anziano reduce che, con la nostra uniforme, seppe servire con fierezza e orgoglio la nostra e... la sua Patria.
Beraki Ghebreslasie è un anziano cittadino di novantadue anni. Lo incontro i una casa di riposo per anziani del comune di Roma in cui è ospite da molto tempo. Il colore scuro della pelle ricorda la sue origini etiopi, ma stringendomi la mano si affretta presentarsi come "fedele soldato italiano". Nato ad Adinebri, ma vissuto in Eritrea si arruolò nel 1933 nel Regio Esercito e combattè a fianco dei nostri sodati nella seconda guerra italo-abissina del 1935 -1936e nell'ultima resistenza a Gondar contro gli Inglesi nel 1941, sotto il comando del Generale di Corpo d'armata Guglielmo Nasi. Ghebreslasie è un Ascaro che giurò fedeltà alla bandiera italiana e combattè per essa fino alla resa dell'Africa Orientale Italiana. Gli ascari erano soldati indigeni volontari inquadrati nelle formazioni regolari del Regio Corpo Truppe Colonia italiano. le loro origini risalivano al 1889, con la costituzione dei primi quattro battaglioni eritrei, i cui componenti ricevettero l'appellativo di "Ascari", dall'arabo "Ascar", soldato. Indossavano una divisa i cui caratteri distintivi erano un copricapo denominato "tarbusc" e una fascia avvolta in vita, denominata "etagà", con i colori dell'arma o dell'unità. Ghebreslasie combattè dapprima come semplice ascaro, partecipando alla conquista dell'Etiopia e successivamente con il grado di Sciumbasci, l'equivalente del nostro maresciallo, nel 1941 alla difesa del ridotto di Gondar, capoluogo della regione dell'Asmara. Ho ripercorso con lui le vicende belliche di quegli anni di cui serba un ricordo vivido ed emozionale, quasi come se da allora il tempo per lui si fosse fermato.
Io ero fiero di essere un soldato italiano. Lo sono stato sempre. Sia nella vittoria sia nella sconfitta. Mi sono arruolato per rendere onore alla mia bandiera, quel tricolore sotto cui sono nato e fu proprio quando gli inglesi lo minacciarono che io mi sentii offeso nell'orgoglio e lottai oltre le possibilità fisiche e mentali, oltre anche all'umana paura, pur di compiere il mio dovere di soldato. Per il mio re Vittorio Emanuele III ho sofferto la fame, perso il sonno e provate dolore. Però ho sempre avuto la convinzione che servire l'Itlia sarebbe stata la missione più nobile della mia vita. Avevo ragione.
Infatti lei, come molti altri, rimase in armi al servizio dell'esercito italiano anche negli anni che seguirono alla proclamazione dell'impero. Il Negus era stato costretto ad abbandonare l'Etiopia e ad Addis Abeba sventolava la bandiera italiana anche se parte del paese doveva ancora essere pacificata. La decisione di rimanere sotto le armi fu sua o imposta dai comandanti?
Era mio volere restare. Io sono un soldato. Un soldato italiano. Il comandante non chiese a noi coloniali se volevamo essere congedati, non lo chiese neanche agli italiani. Non ricordo nessun compagno andare via. Restammo tutti e volevamo restare tutti.
Lo stato di ribellione in effetti continuò in tutte le regioni etiopiche anche dopo il 1936 alimentato dalla Gran Bretagna e dalla Francia, presenti nel Corno d'Africa con i loro possedimenti, e che non vedevano di buon occhio il rafforzamento delle posizioni italiane. nelle cosiddette operazioni di grande polizia coloniale contro la guerriglia etiope svolte fino al 1940 furono impiegate per lo più truppe coloniali e bande irregolari al servizio degli italiani, più idonee ad operare contro le formazioni di guerriglieri estremamente mobili ed a loro agio in terreni aspri, inospitali e privi di vie di comunicazione. I problemi aumentarono dopo l'intervento dell'Italia nel secondo conflitto mondiale. L'Africa orientale italiana rimase tagliata fuori dalla madrepatria ed impossibilitata ad essere rifornita di armi, equipaggiamenti e munizioni.
Ricordo che da Roma arrivarono nei primi mesi del 1940 dei mezzi e degli uomini. Tutti Ufficiali, ma avevamo pochi autocarri. Le gomme e le scorte di carburante erano sufficienti per qualche mese, due o tre al massimo. Il vestiario e il vettovagliamento però non erano un problema, per fortuna.
Minacciata dal'invasione tedesca sul proprio territorio, la Gran Bretagna lasciò, nell'estate-autunno 1940, l'iniziativa delle operazioni delle forze italiane, che svolsero limitate azioni offensive contro la Somalia britannica, che venne integralmente conquistata, e puntate in direzione del Sudan e del Kenia.
Quando noi avanzammo verso Cassala -ricorda Ghebleslasie- nel Sudan sudorientale, l'obbiettivo fu raggiunto con facilità, senza perdite. Occupammo solo Cassala perchè era un centro importante, a 20 km dalla frontiera eritrea e poi poco dopo anche Moyale, in kenia.
Gli inglesi passarono al contrattacco nel gennaio del 1941 stringendo da ogni lato in una gigantesca morsa possedimenti italiani dell'Africa Orientale. Dopo aver tentato inutilmente di difendere le posizioni di frontiera, gli Italiani, agli ordini di Amedeo Duca d'Aosta, ripiegarono verso linee arretrate all'intero del vasto territorio compreso tra Eritrea. Etiopia e Somalia. Lo squilibrio delle forze in campo,che vedeva i Britannici prevalere nettamente in mezzi tecnici quali carri armati, autoblindo aeroplani e artigliere, non lasciava nessuna possibilità di vittoria alle truppe italiane. Rimaste ben presto a corto di rifornimenti e pressate fortemente anche dai guerriglieri etiopi, rincuorati dall'arrivo degli Inglesi, le residue forze del Duca d'Aosta si attestarono a difesa di ridotti con l'intenzione di resistere il più a lungo possibile alle preponderanti unità avversarie. Il 19 Maggio 1941 si arrendeva, dopo due settimane di eroica resistenza, il caposaldo dell'Amba Alagi, ch ottenne l'onore delle armi da parte degli Inglesi. Rimanevano ancora 80 000 Italiani in armi, al comando del generale Gazzena, nel settore sud occidentale, e del generali Nasi, in quello nord occidentale.
Io ero inquadrato con il contingente del generale Guglielmo Nasi a Gondar, in Etiopia. Ci divise da subito in più punti: Culquaber, Uolchefit e Debra Tabor. Io stavo a Culquaber, a circa 40 km da Gondar. Eravamo isolati, senza possibilità di ricevere rinforzi, però ci sentivamo protetti dalle montagne. Era un lungo strategico a 2 000 m di altezza. Una formidabile fortezza naturale.
Gondar era stata scelta quale ultima difesa dell'impero perché torreggiava l'altopiano etiope circostante. Per raggiungerla gli attaccanti erano costretti ad arrampicarsi per ripidi pendii rocciosi e i rifornimenti vi potevano giungere soltanto attraverso malagevoli mulattiere. Su queste posizioni gareggiavano in eroismo le truppe italiane e gli Ascari, che a lungo tennero testa ad un nemico soverchiante.
L'artiglieria e l'aviazione Inglese ci stavano decimando, giorno dopo giorno. Avevo perso tutti i miei compagni più cari ed ero certo che non sarei sopravvissuto neanche io. il Generale Nasi è un eroe, se oggi sono vivo lo devo solo a lui. Siamo stati noi, i suoi uomini, gli ultimi ad ammainare la bandiera italiana. abbiamo resistito, senza mangiare né dormire per cinque lungi giorni. Eravamo rimasti in pochi ma eravamo diventati tutti fratelli. Tutti. Non li dimenticherò mai. Sono trascorsi 65 anni d'allora, eppure ho davanti agli occhi i loro visi, come se li potessi ancora vedere sorridere. Le esperienze come questa non si possono dimenticare e il ricordo è sempre presente nelle mie giornate.
L'assedio del sistema difensivo dell'Amara, incentrato sulle posizioni di Gondar, si protrasse per vari mesi. Alla fine gli italiani dovettero capitolare perchè rimasti senza viveri e munizioni. L'ultimo tricolore dell'impero fu ammainato il 28 Novembre 1941. Perirono nella battaglia di Gondar oltre 500 militari nazionali e 248 Coloniali.
Dopo un periodo di prigionia sono riuscito a fuggire e ho riparato in Sudan. Sono arrivato dopo venti giorni di cammino, a piedi e lì sono rimasto per due anni, ospite di un sacerdote. Successivamente sono tornato in Eritrea e nel '47 sono stato congedato. Ero un pò triste e disorientato. E' difficile per chi ha indossato una divisa per così tanti anni doversi trovare un posto nella società civile e rassegnarsi ad una vita più tranquilla, alla vita che fanno tutti. Per questo decisi, nel 1972, di venire qui a Roma. Ho lavorato presso l'Istituto italiano di Studi africani per oltre trenta anni. Adesso che sono finalmente a riposo e la vecchiaia a darmi qualche problema di salute, ringrazio quanti, come lei, mi chiedono di raccontare della guerra d'Africa. Mi rendono felice, perchè la mia mente a dire il vero è ancora lì, tra le montagne a nord del lago Tana, lì a Gondar con i miei compagni perduti. Parlare della mia storia è come parlare di loro, onorare la loro memoria e il loro coraggio. Sento questo dovere, perchè anche le nuove generazioni sappiano degli eroi d'Africa che si sono sacrificati per la loro e per la nostra patria. Io sono stato tra i più fortunati, forse proprio per poterlo raccontare.

A cura di M. J. Secci Caporal Maggiore in servizio presso il reparto Affari Generali dello Stato Maggiore dell'Esercito

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19/08/2014 07:46 - 19/08/2014 07:47 #22971 da Agau-del-Semien
(continua 7)


Alla fine della guerra d'Etiopia, le truppe indigene furono riorganizzate ed iniziò il reclutamento degli etiopici cosicché all'inizio del secondo conflitto mondiale i soldati coloniali ammontavano a circa centonovantamila unità.
La fine della guerra d'Etiopia, d'altronde, non segnò la fine delle ostilità perché restavano ancora circa cinquantamila armati abissini agli ordini di vari ras come Immirù, Desta, Cassa... e non furono pochi gli episodi in cui le nostre truppe subirono perdite considerevoli.
Nel maggio del 1936, presso Neghelli, subimmo, tra morti e feriti, la perdita 11 ufficiali e 172 ascari, e nel mese di ottobre, in una imboscata, perdemmo più di 300 uomini tra dubat e ascari.
In dicembre, il VI battaglione, fu assalito da un'orda di armati e morirono tutti. A giugno del 1940, fu la volta del III Galliano che perse quasi tutti gli ufficiali e 250 ascari.
Nel marzo del 1941, gli ascari furono impegnati in una sanguinosa battaglia contro le truppe sudanesi del Carnei Corps britannico. Il combattimento fu durissimo e sanguinoso e le nostre perdite furono gravi: tre ufficiali e 121 ascari uccisi, 10 ufficiali e 200 ascari feriti.
I superstiti, malgrado i continui attacchi delle truppe britanniche, riuscirono a compiere ancora seicento chilometri prima di arrendersi avendo terminati viveri e munizioni. Ai nostri combattenti, gli inglesi tributarono l'onore delle armi.
Eravamo ormai giunti al novembre del 1941 quando le truppe britanniche entravano in Gondar e venne ammainato il tricolore: .le nostre truppe avevano cessato le ostilità e l'avventura africana era finita.
Restavano gli armati del Leone del Barca (Ali Muntaz) che continuarono a combattere contro gli inglesi e si arresero soltanto nel 1946 quando gli inglesi accettarono le loro condizioni.
Angra

(continua 7)
Ultima Modifica: 19/08/2014 07:47 da Agau-del-Semien.

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19/08/2014 07:34 - 19/08/2014 07:42 #22969 da Agau-del-Semien
(Continua 5)


I meriti del Corpo Truppe Coloniali dell'Eritrea furono molti e pesante il tributo di sangue versato e la loro bandiera fu decorata con due medaglie d'oro al valor militare.
La motivazione della prima medaglia recita: "In centocinquanta combattimenti gloriosamente sostenuti al servizio di S.M. il Re d'Italia, dava costanti prove di salda disciplina militare, di fiero spirito guerriero, di indiscussa fedeltà ed una devozione che non ebbero limiti"
La motivazione della seconda medaglia recita:"Con ardimento proprio della razza, alimentato dall'amore per la bandiera e dalla fede nei più alti destini d'Italia in terra d'Africa, dava durante la guerra innumerevoli prove del più fulgido eroismo. Con la generosità larga, quanto sicura, e con la sua fedeltà, offriva il proprio sangue per la consacrazione dell'Impero italiano."
Altre due medaglie d'oro furono concesse al più glorioso dei battaglioni coloniali:il IV "Toselli" con le seguenti motivazioni: "Fedele al compito di vendicare l'eroico sacrificio di Amba Alagi negli stessi luoghi che videro la virtù epica del maggiore Toselli e dei suoi, emulò la tradizione e rinnovò le sue glorie con ingenti perdite di vite e di sangue. Nel Tembien si battè con l'usato valore e a Passo Mecan in aspra e tenace battaglia per tredici ore di combattimento, resistendo agli assalti e facendo impeto travolgente, sgominò il nemico agguerrito e conquistò decisiva vittoria."
"Salda unità di guerra, in prolungata aspra battaglia contro preponderanti forze terrestri e aeree, si prodigava con indomito valore riuscendo nella tenace difesa sostanziata da audaci contrattacchi, come nella offensiva ardita e violenta, a contenere sempre l'aggressività dell'avversario agguerrito. Superbo nel valore come nel sacrificio, teneva fede alle sue gloriose tradizioni".
Un'altra medaglia d'oro fu conferita al bulucbasci di marina Farag Mohamed Ibrahim, e una al muntaz Unatù Endisciau.
L'indiscutibile valore degli ascari e la loro fedeltà ottennero in soli sei anni, dal 1890 al 1896, bel 210 medaglie d'argento e 645 medaglie di bronzo pur considerando la prudente parsimonia con la quale venivano concesse.
Angra

(Continua5)

L'Italia, ammirata dalle imprese degli ascari, decise di impiegarli anche fuori dall'Eritrea per le operazioni di pacificazione di altre due colonie, Libia e Somalia, ancora piuttosto turbolente.
In queste operazioni furono impegnati, in diverse occasioni, i seguenti battaglioni: il I (rosso) nel 1908 in Somalia e nel 1912 in Libia, il II (azzurro) nel 1908 in Somalia, nel 1912 e nel 1913 in Libia, il III (cremisi) nel 1908 in Somalia e nel 1913 in Libia, il IV (nero) nel 1913 in Libia, il V (scozzese) nel 1897-98 in Somalia e nel 1912-13 in Libia, il VI (verde) nel 1912 in Libia, il VII (rosso-nero) in Libia nel 1912-13,1 ' VIII e il IX (rosso azzurro e rosso-bianco) in Libia nel 1913.
Nel dicembre del 1896, per fronteggiare la pericolosa situazione verificatasi nella colonia somala, fu necessario mandare truppe dall'Eritrea. Furono inviate due compagnie di ascari le quali, con una spedizione all'interno della colonia sconfissero e sottomisero gli insorti.
Nel 1908, altri 600 ascari furono inviati in Somalia per procedere all'occupazione e pacificazione del basso Uebi Scebeli e sedare i focolai di rivolta. In tutte queste occasioni, gli ascari diedero ancora una volta prova di essere ottimi soldati, coraggiosi e bene addestrati.
Anche in Libia, i magnifici battaglioni eritrei si dimostrarono superiori a ogni elogio destando l'ammirazione dell'Italia intera.
Il V battaglione eritreo giunse in Libia nel 1912 e fu subito impegnato in duri scontri a fuoco nelle zone di Gargares, Zanzur e nella conquista di Misurata. Al termine delle operazioni, il battaglione, per i meriti acquisiti fu portato a Roma e passato in rivista dal Re.
Nel 1913, il V fu nuovamente richiamato in Libia dove già il VI era impegnato in operazioni belliche in Tripolitania. Mentre questi due battaglioni combattevano in Libia, in Eritrea si procedeva all'allestimento del VII battaglione da inviare anch'esso in Libia nelle zone di Sidi Said e Zelten. Proseguì, poi, per la Cirenaica dove si distinse per valore nella battaglia cosiddetta del "vallone della morte". Anche a questo battaglione toccò l'onore di essere portato a Roma per essere passato in rivista dal Re.
Ma non era finita per i nostri ascari: anche 1 VIII battaglione fu inviato in Libia e si ditinse subito a Misurata, Zanzur e Derna con pesanti perdite.
E' indubbio che gli ascari eritrei si sono formati, in anni di battaglie, di valore e di eroismo, una tradizione gloriosa meritandosi l'incondizionato riconoscimento dell'Italia.
Angra
(Continua 6)
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Allegati:
Ultima Modifica: 19/08/2014 07:42 da Agau-del-Semien.

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19/08/2014 04:14 #22966 da Francesco
Caro CARLO,anzitutto ti assicuro che- uno dei motivi -della decisione di rientrare in Italia fu l’episodio che ho descritto. Inoltre, preciso che non sono mai stato avvezzo a raccontare panzane o cose simili; ti faccio presente, altresì, che il mio non è un sentimento di odio nei confronti di chi –realmente soffre ed ha sofferto-ma una percezione di rabbia nei confronti di coloro che vorrebbero approfittare di questa scellerata operazione suicida che chiamo “Mare mostrum”!
Provo pietà per gli eritrei costretti a fuggire da un regime dispotico, ma nel contempo li biasimo aspramente perché non hanno fatto quello che i loro padri fecero in trent’anni per riscattarsi dall’oppressione etiopica.
Non trovo giusto, da italiano e da cristiano, la presenza di circa 102 mila persone di tutte le latitudini africane ed asiatiche in maggioranza islamiche ( e sai il pericolo che corriamo).
Non trovo giusto che costoro , in avvenire e per sempre, dovrebbero pesare sulle nostre spalle, mentre quell’inutilità chiamata UE se ne frega e non li vuole. A tal proposito, ieri l’Austria ne ha rimandate indietro 48!
Non trovo giusto che il governo si stia facendo in quattro per assicurare loro un alloggio decoroso, mentre migliaia di italiani vengono sfrattati ( all’uopo, leggiti l’articolo che segue).
Non trovo giusto che, in tempi di vacche magre, il governo si stia facendo carico di un dispendio enorme di risorse, negate agli italiani meno abbienti.
Non trovo giusto che organizzazioni “non profit” ( ma invece profittano…. è come) in nome di un falso buonismo abbiano fatto un bisiniss in queste disgrazie.
E poi, caro amico, l’arroganza che traspira da tutti i loro pori: vogliono tutto ed a tamburo battente altrimenti si ribellano.
Non credo che Marcello mi avrebbe dato torto…
Se poi do fastidio a qualcuno basta avere il coraggio di dirlo ….lasciando in pace Marcello!
Carlo, sempre amici.
Francesco



Il governo dà casa ai profughi con i soldi dei contribuenti
Il ministero dell'Interno chiede bi e trilocali possibilmente arredati. Pagano i servizi sociali comunali
Di Giannino della Frattina - Lun, 18/08/2014 - 15:40da Il Giornale.

E adesso, dopo che il ministro Angelino Alfano ha scoperto che con l'operazione Mare nostrum solo dall'inizio dell'anno sono già sbarcati oltre 101mila clandestini, il governo forse ha deciso di correre ai ripari trasformandosi in agenzia immobiliare per cercare casa ai «migranti».
E lo fa con la penna dei prefetti, come quello di Monza e Brianza Giovanna Vilasi che ha scritto a tutti i sindaci del territorio per invitarli a sollecitare i residenti a mettere a disposizione le loro case sfitte.
Basta Cie, i centri di identificazione ed espulsione, adesso il target di riferimento, si specifica per garantire evidentemente un'adeguata accoglienza, «è costituito da unità immobiliari bi e trilocali, possibilmente arredate». Ma, bontà loro, «possono essere valutate anche soluzioni diverse».
Ma il cuore dell'operazione immobiliare è che a pagare l'affitto saranno le cooperative convenzionate con il ministero dell'Interno. Quindi lo Stato. E dunque tutti noi. Tanto che la Lega, con il deputato Paolo Grimoldi, punta il dito e si oppone. «Finalmente svelato il bluff immigrazione - accusa Grimoldi -. Il Pd dice di aver abolito il finanziamento pubblico ai partiti, ma gli italiani in difficoltà sono sfrattati mentre gli immigrati hanno casa tramite le cooperative sociali del Pd e di Cl. Case pagate con i soldi pubblici di disoccupati e pensionati».
Un'operazione in due tempi quella organizzata dal prefetto Vilasi e documentata dal Cittadino mb e Monza Today , per «garantire un'ordinata gestione dell'emergenza “sbarchi”» per «contenere effetti negativi, quali ripercussioni sui Servizi sociali comunali». E quindi dal prefetto di Monza arriva prima la richiesta ai sindaci di «avviare una ricognizione sui territori per individuare strutture con capienza minima di venti persone che fungano da hub per la prima accoglienza dei migranti in arrivo finalizzata allo screening sanitario, all'espletamento delle principali formalità amministrative e al successivo smistamento presso unità abitative». E qui sta il punto. Perché è lo stesso rappresentante del governo a chiedere ai sindaci di «sensibilizzare i Cittadini (si noti che per l'occasione sono indicati con la C maiuscola, ndr ) a offrire in locazione appartamenti sfitti». Una richiesta fatta a nome del ministero dell'Interno che «alla luce del significativo incrementarsi degli sbarchi», ha attivato «una collaborazione con il terzo settore per l'accoglienza». E così i contratti di locazione (transitori o 4+4) vengono sottoscritti dalle cooperative e «i relativi canoni di affitto sono pattuiti direttamente con i proprietari a prezzo di mercato». Garanzie che non sembra abbiano comunque convinto i proprietari a mettere a disposizione degli extracomunitari i propri appartamenti. Nessuna corsa all'affitto, tanto che la sollecitazione ai sindaci è stata più volte ripetuta. Aggiungendo che ai migranti saranno garantiti, oltre a vitto e alloggio, anche attività collaterali quali corsi di lingua, assistenza legale per la richiesta di protezione internazionale e la «costruzione di percorsi di autonomia individuali finalizzati a una tempestiva emancipazione dal sistema di accoglienza».
Di una «vicenda surreale» parla anche il capogruppo della Lega in Regione Lombardia Massimiliano Romeo. Che punta il dito su «associazioni, cooperative e professionisti che vivono e guadagnano, seppur lecitamente, dall'arrivo di tutte queste persone». Non solo. «Offuscati dalle nobili parole dei pensatori progressisti e dei buonisti ad oltranza, molti spesso dimenticano che dietro l'immigrazione clandestina si cela un vero e proprio business criminale che, secondo dati Onu, nella sola Europa ogni anno fattura 150 milioni di dollari».
E gli italiani senza lavoro vivono in tenda.

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