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All'ombra dei 'calipti. Una voce fuori dal coro

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20/08/2014 07:23 #22987 da Francesco
A sessant'anni dalla morte di Alcide De Gasperi la sinistra vuole scipparlo: uno sfregio al primo liberale anti Pci.

Beppe Fioroni, che proviene dalla Balena bianca e noto cattocomunista dossettiano, ha proposto una festa dell’Unità dedicata ad Alcide De Gasperi.
E’ assurdo ed inconcepibile che si possa dedicare la festa dell'Unità di Bologna ad Alcide De Gasperi che fu il bersaglio storico dell' Unità , dei comunisti e della rossa Bologna, e che fu per anni il principale impresario della Diga anticomunista e dello Scudo crociato.
De Gasperi è stato certamente il più grande statista italiano della storia repubblicana. Ricordo benissimo la battaglia della DC di De Gasperi contro il Fronte Popolare di Nenni e Togliatti che ci avrebbe portato nell'orbita dell'Unione Sovietica!! Lo lasci in pace Fioroni e tutti gl'ipocriti e falsi ex DC di sinistra, complici dei comunisti! De Gasperi MAI avrebbe stipulato accordi con la falce e martello, di cui era acerrimo e irriducibile nemico!!

E la cosidetta dotta Bologna non si vergogna , a 25 anni dalla caduta del muro di Berlino, di mantenere ancora il vergognoso toponimo di “Via Stalingrado”?Persino i sovietici tolsero quello squallido nome alla città sostituendola con Volgograd!

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19/08/2014 17:01 #22984 da Agau-del-Semien
(continua 9) Voglio soltanto ricordare, con qualche sporadico episodio, gli ultimi mesi del 1941 che segnarono l'annientamento e la resa delle ultime unità di ascari che, insieme agli italiani, combatterono fino allo stremo prima di cedere le armi o essere uccisi a volte anche barbaramente.
A fronte della diserzione del CLXXXVIII battaglione coloniale, si registrò la distruzione totale di una compagnia del battaglione Turitto dalla fascia rossa che a Maghillà non si arrese e sparò fino all'ultima cartuccia e il massacro degli ascari nel Caffa.
Intanto le truppe a difesa dell'Uolchefit furono costrette a razionare i viveri, le munizioni e anche l'acqua. Mancavano indumenti, medicinali e bende. Ormai quasi disperati, le bande e le camicie nere fecero una sortita e, nella notte, sorpresero un accampamento etiopico. Ancora una volta la banda Bastiani si distinse per l'audacia e l'eroismo. Gli etiopici fuggirono lasciando sul terreno, oltre ai morti e ai feriti, armi, munizioni, materiali vari e scarse dosi di cibo. In quell'occasione, Bastiani catturò il ras Aieleu Burrù.
L'Uolchefit resistette per ben cinque mesi sotto i bombardamenti dell'aviazione e dell'artiglieria inglesi e agli assalti degli abissini: in questo periodo morirono oltre 700 ascari. A Bastiani, quando sciolse la sua banda, furono tributati dai suoi gli onori che vengono riservati ai ras.
Anche a Culquaber e a Fercaber, le truppe comandate da Ugolini si trovarono circondate da forze etiopiche mentre venivano bombardate dagli inglesi. La resistenza si protrasse per oltre due mesi. L'ultima battaglia vide gli ascari insieme ai carabinieri e ai legionari senza ormai comandanti tutti morti, attaccare alla baionetta gli abissini. Il massacro finale fu evitato dagli inglesi che tributarono ai vinti l'onore delle armi.
Poi fu la volta di Gondar che fu costretta a arrendersi dopo che in un solo giorno ebbe oltre 700 perdite tra italiani e ascari.
Si può dire, senza tema di esagerare, che l'acrocoro etiopico fu disseminato da molte migliaia di militari italiani e di ascari e che l'eroismo di questi caduti sopravanza abbondantemente le defezioni che si verificarono quando la situazione stava diventando disperata per le truppe italiane.
E l'elenco di episodi in cui gli italiani e gli ascari destarono l'ammirazione nel nemico per il coraggio indomito, la capacità di resistenza e l'abnegazione con cui combatterono, potrebbe continuare a lungo. Inferiori di numero, in equipaggiamento, in armamenti e tagliate fuori da qualsiasi possibilità di rifornimenti, le truppe italiane e quelle coloniali scrissero memorabili pagine di
Angra

(continua9)

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19/08/2014 16:57 - 19/08/2014 16:58 #22983 da Agau-del-Semien
(CONTINUA (8)


Nel dicembre del 1934, in Eritrea venne chiamata la mobilitazione generale e gli ascari, anche questa volta, accorsero prontamente. Furono così costituiti 28 battaglioni, alcune bande di fanteria, bande a cavallo e batterie.
Verso la fine del 1935, l'inizio della guerra d'Abissinia, c'erano sotto le armi cinquantacinquemila ascari. Nell'ottobre di quello stesso anno, le nostre truppe, guidate dalla banda del Seraè, varcarono il Mareb e diedero inizio alle ostilità. Il primo scontro a Darò Taclé fu subito molto cruento e morì il primo ufficiale italiano della guerra d'Etiopia insieme a un centinaio dei suoi ascari.
Altri 300 ascari furono uccisi e 700 feriti nella cruenta battaglia del lago Ascianghi del marzo 1936. Nell'aprile dello stesso anno, la I brigata eritrea, rinforzata dagli squadroni Penne di Falco sotto il comando del generale Gallina e con una impressionante marcia di circa 45 chilometri al giorno, raggiunge nella notte tra il tre e il quattro maggio, le colline di Entotto che dominano Addis Abeba. Qui gli ascari furono fermati per cedere al generale Badoglio il privilegio dell'in-gresso nella capitale etiopica.
La stessa cosa si verificò quando la III brigata eritrea e il gruppo bande dell'altopiano comandate dal generale Cubeddu giunsero nelle vicinanze di Gondare precedendo la colonna comandata da Achille Starace.
Gli ascari, disciplinati e ubbidienti, eseguirono gli ordini lasciando che altri cogliessero gli onori a loro dovuti.
aNGRA

(CONTINUA8)
Ultima Modifica: 19/08/2014 16:58 da Agau-del-Semien.

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19/08/2014 10:31 #22978 da Francesco
OPS, scusate non ho colpa è stato l'indice della mano destra...

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19/08/2014 10:26 #22977 da Francesco
ITALIA INGRATA!

GHEBRESLASIE BERAKI, PENSIONATO AL MINIMO, SOLO, OSPITE IN UNA CASA DI RIPOSO DEL COMUNE DI ROMA. CIRCA 560 EURO MENSILI DI PENSIONE. UNA RETTA DA PAGARE DI CIRCA 400 EURO MENSILI. IPOVEDENTE. CON PROBLEMI DI DIETA ALIMENTARE. GLI ULTIMI ASCARI RESIDENTI IN ERITREA PERCEPISCONO UN PICCOLO SUSSIDIO VITALIZIO DAL GOVERNO ITALIANO. MA ALL'ASCARO BERAKI CHE HA DEDICATO GLI ANNI MIGLIORI DELLA SUA VITA A COMBATTERE E SERVIRE L'ITALIA, CHE PER 15 ANNI HA LAVORATO "IN NERO" PRESSO UN ISTITUTO PARASTATALE ITALIANO, NIENTE CONTRIBUTI INPS, NE' LIQUIDAZIONE, NIENTE PENSIONE MILITARE, NIENTE MEDAGLIA AL VALORE, NIENTE SUSSIDIO SIMBOLICO NE' ONORIFICENZE.
NON MERITEREBBE QUALCOSA DI PIU' ?

AD ESEMPIO, UN'ASSOCIAZIONE DI VOLONTARI DI SETTORE NON POTREBBE PRENDERSI CARICO, CON MAGGIORE ASSIDUITA' E CURA DEI SUOI PROBLEMI DI SALUTE, DI SOLITUDINE, DI DISAGIO SOCIALE ED ECONOMICO ?
STORIA PIU' COMPLETA PUBBLICATA SUL CORRIERE DELLA SERA DEL 13 LUGLIO 2007
Da "RIVISTA MILITARE" marzo -aprile 2007 Bimestrale dell'Esercito Italiano
I racconti dell' Ascaro Beraki
Dalla guerra italo-abissina alla difesa di Gondar. L'incredibile epopea di un anziano reduce che, con la nostra uniforme, seppe servire con fierezza e orgoglio la nostra e... la sua Patria.
Beraki Ghebreslasie è un anziano cittadino di novantadue anni. Lo incontro i una casa di riposo per anziani del comune di Roma in cui è ospite da molto tempo. Il colore scuro della pelle ricorda la sue origini etiopi, ma stringendomi la mano si affretta presentarsi come "fedele soldato italiano". Nato ad Adinebri, ma vissuto in Eritrea si arruolò nel 1933 nel Regio Esercito e combattè a fianco dei nostri sodati nella seconda guerra italo-abissina del 1935 -1936e nell'ultima resistenza a Gondar contro gli Inglesi nel 1941, sotto il comando del Generale di Corpo d'armata Guglielmo Nasi. Ghebreslasie è un Ascaro che giurò fedeltà alla bandiera italiana e combattè per essa fino alla resa dell'Africa Orientale Italiana. Gli ascari erano soldati indigeni volontari inquadrati nelle formazioni regolari del Regio Corpo Truppe Colonia italiano. le loro origini risalivano al 1889, con la costituzione dei primi quattro battaglioni eritrei, i cui componenti ricevettero l'appellativo di "Ascari", dall'arabo "Ascar", soldato. Indossavano una divisa i cui caratteri distintivi erano un copricapo denominato "tarbusc" e una fascia avvolta in vita, denominata "etagà", con i colori dell'arma o dell'unità. Ghebreslasie combattè dapprima come semplice ascaro, partecipando alla conquista dell'Etiopia e successivamente con il grado di Sciumbasci, l'equivalente del nostro maresciallo, nel 1941 alla difesa del ridotto di Gondar, capoluogo della regione dell'Asmara. Ho ripercorso con lui le vicende belliche di quegli anni di cui serba un ricordo vivido ed emozionale, quasi come se da allora il tempo per lui si fosse fermato.
Io ero fiero di essere un soldato italiano. Lo sono stato sempre. Sia nella vittoria sia nella sconfitta. Mi sono arruolato per rendere onore alla mia bandiera, quel tricolore sotto cui sono nato e fu proprio quando gli inglesi lo minacciarono che io mi sentii offeso nell'orgoglio e lottai oltre le possibilità fisiche e mentali, oltre anche all'umana paura, pur di compiere il mio dovere di soldato. Per il mio re Vittorio Emanuele III ho sofferto la fame, perso il sonno e provate dolore. Però ho sempre avuto la convinzione che servire l'Itlia sarebbe stata la missione più nobile della mia vita. Avevo ragione.
Infatti lei, come molti altri, rimase in armi al servizio dell'esercito italiano anche negli anni che seguirono alla proclamazione dell'impero. Il Negus era stato costretto ad abbandonare l'Etiopia e ad Addis Abeba sventolava la bandiera italiana anche se parte del paese doveva ancora essere pacificata. La decisione di rimanere sotto le armi fu sua o imposta dai comandanti?
Era mio volere restare. Io sono un soldato. Un soldato italiano. Il comandante non chiese a noi coloniali se volevamo essere congedati, non lo chiese neanche agli italiani. Non ricordo nessun compagno andare via. Restammo tutti e volevamo restare tutti.
Lo stato di ribellione in effetti continuò in tutte le regioni etiopiche anche dopo il 1936 alimentato dalla Gran Bretagna e dalla Francia, presenti nel Corno d'Africa con i loro possedimenti, e che non vedevano di buon occhio il rafforzamento delle posizioni italiane. nelle cosiddette operazioni di grande polizia coloniale contro la guerriglia etiope svolte fino al 1940 furono impiegate per lo più truppe coloniali e bande irregolari al servizio degli italiani, più idonee ad operare contro le formazioni di guerriglieri estremamente mobili ed a loro agio in terreni aspri, inospitali e privi di vie di comunicazione. I problemi aumentarono dopo l'intervento dell'Italia nel secondo conflitto mondiale. L'Africa orientale italiana rimase tagliata fuori dalla madrepatria ed impossibilitata ad essere rifornita di armi, equipaggiamenti e munizioni.
Ricordo che da Roma arrivarono nei primi mesi del 1940 dei mezzi e degli uomini. Tutti Ufficiali, ma avevamo pochi autocarri. Le gomme e le scorte di carburante erano sufficienti per qualche mese, due o tre al massimo. Il vestiario e il vettovagliamento però non erano un problema, per fortuna.
Minacciata dal'invasione tedesca sul proprio territorio, la Gran Bretagna lasciò, nell'estate-autunno 1940, l'iniziativa delle operazioni delle forze italiane, che svolsero limitate azioni offensive contro la Somalia britannica, che venne integralmente conquistata, e puntate in direzione del Sudan e del Kenia.
Quando noi avanzammo verso Cassala -ricorda Ghebleslasie- nel Sudan sudorientale, l'obbiettivo fu raggiunto con facilità, senza perdite. Occupammo solo Cassala perchè era un centro importante, a 20 km dalla frontiera eritrea e poi poco dopo anche Moyale, in kenia.
Gli inglesi passarono al contrattacco nel gennaio del 1941 stringendo da ogni lato in una gigantesca morsa possedimenti italiani dell'Africa Orientale. Dopo aver tentato inutilmente di difendere le posizioni di frontiera, gli Italiani, agli ordini di Amedeo Duca d'Aosta, ripiegarono verso linee arretrate all'intero del vasto territorio compreso tra Eritrea. Etiopia e Somalia. Lo squilibrio delle forze in campo,che vedeva i Britannici prevalere nettamente in mezzi tecnici quali carri armati, autoblindo aeroplani e artigliere, non lasciava nessuna possibilità di vittoria alle truppe italiane. Rimaste ben presto a corto di rifornimenti e pressate fortemente anche dai guerriglieri etiopi, rincuorati dall'arrivo degli Inglesi, le residue forze del Duca d'Aosta si attestarono a difesa di ridotti con l'intenzione di resistere il più a lungo possibile alle preponderanti unità avversarie. Il 19 Maggio 1941 si arrendeva, dopo due settimane di eroica resistenza, il caposaldo dell'Amba Alagi, ch ottenne l'onore delle armi da parte degli Inglesi. Rimanevano ancora 80 000 Italiani in armi, al comando del generale Gazzena, nel settore sud occidentale, e del generali Nasi, in quello nord occidentale.
Io ero inquadrato con il contingente del generale Guglielmo Nasi a Gondar, in Etiopia. Ci divise da subito in più punti: Culquaber, Uolchefit e Debra Tabor. Io stavo a Culquaber, a circa 40 km da Gondar. Eravamo isolati, senza possibilità di ricevere rinforzi, però ci sentivamo protetti dalle montagne. Era un lungo strategico a 2 000 m di altezza. Una formidabile fortezza naturale.
Gondar era stata scelta quale ultima difesa dell'impero perché torreggiava l'altopiano etiope circostante. Per raggiungerla gli attaccanti erano costretti ad arrampicarsi per ripidi pendii rocciosi e i rifornimenti vi potevano giungere soltanto attraverso malagevoli mulattiere. Su queste posizioni gareggiavano in eroismo le truppe italiane e gli Ascari, che a lungo tennero testa ad un nemico soverchiante.
L'artiglieria e l'aviazione Inglese ci stavano decimando, giorno dopo giorno. Avevo perso tutti i miei compagni più cari ed ero certo che non sarei sopravvissuto neanche io. il Generale Nasi è un eroe, se oggi sono vivo lo devo solo a lui. Siamo stati noi, i suoi uomini, gli ultimi ad ammainare la bandiera italiana. abbiamo resistito, senza mangiare né dormire per cinque lungi giorni. Eravamo rimasti in pochi ma eravamo diventati tutti fratelli. Tutti. Non li dimenticherò mai. Sono trascorsi 65 anni d'allora, eppure ho davanti agli occhi i loro visi, come se li potessi ancora vedere sorridere. Le esperienze come questa non si possono dimenticare e il ricordo è sempre presente nelle mie giornate.
L'assedio del sistema difensivo dell'Amara, incentrato sulle posizioni di Gondar, si protrasse per vari mesi. Alla fine gli italiani dovettero capitolare perchè rimasti senza viveri e munizioni. L'ultimo tricolore dell'impero fu ammainato il 28 Novembre 1941. Perirono nella battaglia di Gondar oltre 500 militari nazionali e 248 Coloniali.
Dopo un periodo di prigionia sono riuscito a fuggire e ho riparato in Sudan. Sono arrivato dopo venti giorni di cammino, a piedi e lì sono rimasto per due anni, ospite di un sacerdote. Successivamente sono tornato in Eritrea e nel '47 sono stato congedato. Ero un pò triste e disorientato. E' difficile per chi ha indossato una divisa per così tanti anni doversi trovare un posto nella società civile e rassegnarsi ad una vita più tranquilla, alla vita che fanno tutti. Per questo decisi, nel 1972, di venire qui a Roma. Ho lavorato presso l'Istituto italiano di Studi africani per oltre trenta anni. Adesso che sono finalmente a riposo e la vecchiaia a darmi qualche problema di salute, ringrazio quanti, come lei, mi chiedono di raccontare della guerra d'Africa. Mi rendono felice, perchè la mia mente a dire il vero è ancora lì, tra le montagne a nord del lago Tana, lì a Gondar con i miei compagni perduti. Parlare della mia storia è come parlare di loro, onorare la loro memoria e il loro coraggio. Sento questo dovere, perchè anche le nuove generazioni sappiano degli eroi d'Africa che si sono sacrificati per la loro e per la nostra patria. Io sono stato tra i più fortunati, forse proprio per poterlo raccontare.

A cura di M. J. Secci Caporal Maggiore in servizio presso il reparto Affari Generali dello Stato Maggiore dell'Esercito.

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19/08/2014 10:24 #22976 da Francesco
ITALIA INGRATA!

GHEBRESLASIE BERAKI, PENSIONATO AL MINIMO, SOLO, OSPITE IN UNA CASA DI RIPOSO DEL COMUNE DI ROMA. CIRCA 560 EURO MENSILI DI PENSIONE. UNA RETTA DA PAGARE DI CIRCA 400 EURO MENSILI. IPOVEDENTE. CON PROBLEMI DI DIETA ALIMENTARE. GLI ULTIMI ASCARI RESIDENTI IN ERITREA PERCEPISCONO UN PICCOLO SUSSIDIO VITALIZIO DAL GOVERNO ITALIANO. MA ALL'ASCARO BERAKI CHE HA DEDICATO GLI ANNI MIGLIORI DELLA SUA VITA A COMBATTERE E SERVIRE L'ITALIA, CHE PER 15 ANNI HA LAVORATO "IN NERO" PRESSO UN ISTITUTO PARASTATALE ITALIANO, NIENTE CONTRIBUTI INPS, NE' LIQUIDAZIONE, NIENTE PENSIONE MILITARE, NIENTE MEDAGLIA AL VALORE, NIENTE SUSSIDIO SIMBOLICO NE' ONORIFICENZE.
NON MERITEREBBE QUALCOSA DI PIU' ?

AD ESEMPIO, UN'ASSOCIAZIONE DI VOLONTARI DI SETTORE NON POTREBBE PRENDERSI CARICO, CON MAGGIORE ASSIDUITA' E CURA DEI SUOI PROBLEMI DI SALUTE, DI SOLITUDINE, DI DISAGIO SOCIALE ED ECONOMICO ?
STORIA PIU' COMPLETA PUBBLICATA SUL CORRIERE DELLA SERA DEL 13 LUGLIO 2007
Da "RIVISTA MILITARE" marzo -aprile 2007 Bimestrale dell'Esercito Italiano
I racconti dell' Ascaro Beraki
Dalla guerra italo-abissina alla difesa di Gondar. L'incredibile epopea di un anziano reduce che, con la nostra uniforme, seppe servire con fierezza e orgoglio la nostra e... la sua Patria.
Beraki Ghebreslasie è un anziano cittadino di novantadue anni. Lo incontro i una casa di riposo per anziani del comune di Roma in cui è ospite da molto tempo. Il colore scuro della pelle ricorda la sue origini etiopi, ma stringendomi la mano si affretta presentarsi come "fedele soldato italiano". Nato ad Adinebri, ma vissuto in Eritrea si arruolò nel 1933 nel Regio Esercito e combattè a fianco dei nostri sodati nella seconda guerra italo-abissina del 1935 -1936e nell'ultima resistenza a Gondar contro gli Inglesi nel 1941, sotto il comando del Generale di Corpo d'armata Guglielmo Nasi. Ghebreslasie è un Ascaro che giurò fedeltà alla bandiera italiana e combattè per essa fino alla resa dell'Africa Orientale Italiana. Gli ascari erano soldati indigeni volontari inquadrati nelle formazioni regolari del Regio Corpo Truppe Colonia italiano. le loro origini risalivano al 1889, con la costituzione dei primi quattro battaglioni eritrei, i cui componenti ricevettero l'appellativo di "Ascari", dall'arabo "Ascar", soldato. Indossavano una divisa i cui caratteri distintivi erano un copricapo denominato "tarbusc" e una fascia avvolta in vita, denominata "etagà", con i colori dell'arma o dell'unità. Ghebreslasie combattè dapprima come semplice ascaro, partecipando alla conquista dell'Etiopia e successivamente con il grado di Sciumbasci, l'equivalente del nostro maresciallo, nel 1941 alla difesa del ridotto di Gondar, capoluogo della regione dell'Asmara. Ho ripercorso con lui le vicende belliche di quegli anni di cui serba un ricordo vivido ed emozionale, quasi come se da allora il tempo per lui si fosse fermato.
Io ero fiero di essere un soldato italiano. Lo sono stato sempre. Sia nella vittoria sia nella sconfitta. Mi sono arruolato per rendere onore alla mia bandiera, quel tricolore sotto cui sono nato e fu proprio quando gli inglesi lo minacciarono che io mi sentii offeso nell'orgoglio e lottai oltre le possibilità fisiche e mentali, oltre anche all'umana paura, pur di compiere il mio dovere di soldato. Per il mio re Vittorio Emanuele III ho sofferto la fame, perso il sonno e provate dolore. Però ho sempre avuto la convinzione che servire l'Itlia sarebbe stata la missione più nobile della mia vita. Avevo ragione.
Infatti lei, come molti altri, rimase in armi al servizio dell'esercito italiano anche negli anni che seguirono alla proclamazione dell'impero. Il Negus era stato costretto ad abbandonare l'Etiopia e ad Addis Abeba sventolava la bandiera italiana anche se parte del paese doveva ancora essere pacificata. La decisione di rimanere sotto le armi fu sua o imposta dai comandanti?
Era mio volere restare. Io sono un soldato. Un soldato italiano. Il comandante non chiese a noi coloniali se volevamo essere congedati, non lo chiese neanche agli italiani. Non ricordo nessun compagno andare via. Restammo tutti e volevamo restare tutti.
Lo stato di ribellione in effetti continuò in tutte le regioni etiopiche anche dopo il 1936 alimentato dalla Gran Bretagna e dalla Francia, presenti nel Corno d'Africa con i loro possedimenti, e che non vedevano di buon occhio il rafforzamento delle posizioni italiane. nelle cosiddette operazioni di grande polizia coloniale contro la guerriglia etiope svolte fino al 1940 furono impiegate per lo più truppe coloniali e bande irregolari al servizio degli italiani, più idonee ad operare contro le formazioni di guerriglieri estremamente mobili ed a loro agio in terreni aspri, inospitali e privi di vie di comunicazione. I problemi aumentarono dopo l'intervento dell'Italia nel secondo conflitto mondiale. L'Africa orientale italiana rimase tagliata fuori dalla madrepatria ed impossibilitata ad essere rifornita di armi, equipaggiamenti e munizioni.
Ricordo che da Roma arrivarono nei primi mesi del 1940 dei mezzi e degli uomini. Tutti Ufficiali, ma avevamo pochi autocarri. Le gomme e le scorte di carburante erano sufficienti per qualche mese, due o tre al massimo. Il vestiario e il vettovagliamento però non erano un problema, per fortuna.
Minacciata dal'invasione tedesca sul proprio territorio, la Gran Bretagna lasciò, nell'estate-autunno 1940, l'iniziativa delle operazioni delle forze italiane, che svolsero limitate azioni offensive contro la Somalia britannica, che venne integralmente conquistata, e puntate in direzione del Sudan e del Kenia.
Quando noi avanzammo verso Cassala -ricorda Ghebleslasie- nel Sudan sudorientale, l'obbiettivo fu raggiunto con facilità, senza perdite. Occupammo solo Cassala perchè era un centro importante, a 20 km dalla frontiera eritrea e poi poco dopo anche Moyale, in kenia.
Gli inglesi passarono al contrattacco nel gennaio del 1941 stringendo da ogni lato in una gigantesca morsa possedimenti italiani dell'Africa Orientale. Dopo aver tentato inutilmente di difendere le posizioni di frontiera, gli Italiani, agli ordini di Amedeo Duca d'Aosta, ripiegarono verso linee arretrate all'intero del vasto territorio compreso tra Eritrea. Etiopia e Somalia. Lo squilibrio delle forze in campo,che vedeva i Britannici prevalere nettamente in mezzi tecnici quali carri armati, autoblindo aeroplani e artigliere, non lasciava nessuna possibilità di vittoria alle truppe italiane. Rimaste ben presto a corto di rifornimenti e pressate fortemente anche dai guerriglieri etiopi, rincuorati dall'arrivo degli Inglesi, le residue forze del Duca d'Aosta si attestarono a difesa di ridotti con l'intenzione di resistere il più a lungo possibile alle preponderanti unità avversarie. Il 19 Maggio 1941 si arrendeva, dopo due settimane di eroica resistenza, il caposaldo dell'Amba Alagi, ch ottenne l'onore delle armi da parte degli Inglesi. Rimanevano ancora 80 000 Italiani in armi, al comando del generale Gazzena, nel settore sud occidentale, e del generali Nasi, in quello nord occidentale.
Io ero inquadrato con il contingente del generale Guglielmo Nasi a Gondar, in Etiopia. Ci divise da subito in più punti: Culquaber, Uolchefit e Debra Tabor. Io stavo a Culquaber, a circa 40 km da Gondar. Eravamo isolati, senza possibilità di ricevere rinforzi, però ci sentivamo protetti dalle montagne. Era un lungo strategico a 2 000 m di altezza. Una formidabile fortezza naturale.
Gondar era stata scelta quale ultima difesa dell'impero perché torreggiava l'altopiano etiope circostante. Per raggiungerla gli attaccanti erano costretti ad arrampicarsi per ripidi pendii rocciosi e i rifornimenti vi potevano giungere soltanto attraverso malagevoli mulattiere. Su queste posizioni gareggiavano in eroismo le truppe italiane e gli Ascari, che a lungo tennero testa ad un nemico soverchiante.
L'artiglieria e l'aviazione Inglese ci stavano decimando, giorno dopo giorno. Avevo perso tutti i miei compagni più cari ed ero certo che non sarei sopravvissuto neanche io. il Generale Nasi è un eroe, se oggi sono vivo lo devo solo a lui. Siamo stati noi, i suoi uomini, gli ultimi ad ammainare la bandiera italiana. abbiamo resistito, senza mangiare né dormire per cinque lungi giorni. Eravamo rimasti in pochi ma eravamo diventati tutti fratelli. Tutti. Non li dimenticherò mai. Sono trascorsi 65 anni d'allora, eppure ho davanti agli occhi i loro visi, come se li potessi ancora vedere sorridere. Le esperienze come questa non si possono dimenticare e il ricordo è sempre presente nelle mie giornate.
L'assedio del sistema difensivo dell'Amara, incentrato sulle posizioni di Gondar, si protrasse per vari mesi. Alla fine gli italiani dovettero capitolare perchè rimasti senza viveri e munizioni. L'ultimo tricolore dell'impero fu ammainato il 28 Novembre 1941. Perirono nella battaglia di Gondar oltre 500 militari nazionali e 248 Coloniali.
Dopo un periodo di prigionia sono riuscito a fuggire e ho riparato in Sudan. Sono arrivato dopo venti giorni di cammino, a piedi e lì sono rimasto per due anni, ospite di un sacerdote. Successivamente sono tornato in Eritrea e nel '47 sono stato congedato. Ero un pò triste e disorientato. E' difficile per chi ha indossato una divisa per così tanti anni doversi trovare un posto nella società civile e rassegnarsi ad una vita più tranquilla, alla vita che fanno tutti. Per questo decisi, nel 1972, di venire qui a Roma. Ho lavorato presso l'Istituto italiano di Studi africani per oltre trenta anni. Adesso che sono finalmente a riposo e la vecchiaia a darmi qualche problema di salute, ringrazio quanti, come lei, mi chiedono di raccontare della guerra d'Africa. Mi rendono felice, perchè la mia mente a dire il vero è ancora lì, tra le montagne a nord del lago Tana, lì a Gondar con i miei compagni perduti. Parlare della mia storia è come parlare di loro, onorare la loro memoria e il loro coraggio. Sento questo dovere, perchè anche le nuove generazioni sappiano degli eroi d'Africa che si sono sacrificati per la loro e per la nostra patria. Io sono stato tra i più fortunati, forse proprio per poterlo raccontare.

A cura di M. J. Secci Caporal Maggiore in servizio presso il reparto Affari Generali dello Stato Maggiore dell'Esercito

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