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I° ritorno in Eritrea dopo 46 anni.

  • Carlo Di Salvo
  • Autore della discussione
31/10/2012 17:49 #14540 da Carlo Di Salvo
Verso Nefasit continuiamo a seguire ancora per un pò la parte superiore della valle del Mai-Enzì con bellissime vedute dei monti che la circondano e dei villaggi che vi sono arroccati come quello di Arbaroba, ad un certo punto all'altezza dei ruderi di una casa cantoniera, già abitazione del nostro amico cantante "Nico Fidenco", la strada passa sul versante dei monti Lessà, di fronte a noi in alto si erge il massiccio del monte Bizen mentre dopo un tornante ci appare il lungo serpente della strada che costeggia i monti Lessà, prima di iniziare la discesa dei tornanti che ci porteranno a Nefasit.
Ci fermiamo un attimo perchè Nefasit sotto di noi si stende ai piedi del massiccio del Bizen, con un cannocchiale cerco di scorgere la lapide posta sulla parete del Bizen in cui andò a fracassarsi col suo biplano CR42 il nostro indimenticato Cap. Mario Visentini, ma la lontananza è tale che non riesco a scorgere la lapide di marmo.-
Proseguiamo, poco prima di entrare a Nefasit incrociamo il bivio per la piana d'Ala, Mai-Habar e quindi Decamerè, iniziamo l'attraversameno di Nefasit, superiamo la Moschea, la Chiesa Cattolica, passiamo di fianco alla stazione di Nefasit e naturalmente faccio fermare il tassì perchè voglio vedere la stazione che tanti ricordi accendeva nella mia memoria, mentre passeggio sul piazzale si avvicina un anziano eritreo e la mia domanda di prassi è: "tu sei di ferrovia?", "sì io di ferrovia" mi risponde, "tu ricordi signor Di Salvo?", mi risponde con un urlo: "UHAI lui mio capo", la conversazione sui ricordi andò avanti per un quarto d'ora, alla fine gli regalai 200 Birr che accettò con una infinità di inchini.-
Riprendemmo immediatamente la strada questa volta verso la conca di Embatkalla costeggiando dapprima le falde del Bizen e poi quelle del monte Ualìd, in questo tratto la camionabile e la ferrovia camminano quasi appaiate, si incrociano spesso appaiati anche i ponti, ricordi dell'ingegneria italiana, tutti questi manufatti li ho trovati in uno stato perfetto, sembravano appena costruiti invece avevano quasi 86 anni.
Costeggiando in seguito le falde del monte Addeleitò, dopo avere rallentato la marcia a causa del rifacimento di un viadotto ferroviario entriamo nella conca di Embatkalla, faccio fermare il tassì all'altezza del tucul di Ciro Costa, il vecchio infermiere che donò tutta la sua vita a queste popolazioni, la sua abitazione era una baracca in legno tra le cui tavole vi erano fessure di quasi mezzo centimetro, un angareb come letto, una vecchia poltrona, una bacinella come lavabo su un trepiedi e per cucina un vecchio primus, mi fece sedere su una sedia con corde di plastica intrecciate, alla parete qualche immagine sacra ed i suoi diplomi ed onorificenze, tutto questo era la sua proprietà, dopo circa mezz'ora in cui mi raccontò episodi della sua vita lo salutai promettendogli che sarei tornato a trovarlo.
Con tristezza nel cuore ripresi il viaggio verso Ghinda, infatti mancava poco che mi sarebbe apparsa nella sua vasta conca circondata da monti che la proteggono dalla forte calura del bassopiano orientale e dai freddi dell'altopiano, Ghinda è l'eterna primavera.
Attraversiamo il ponte ad un'arcata in cemento armato sul fiume Ghindà e subito entriamo nel villaggio, giunti ad un bivio svoltiamo a destra su una stradina in terra battuta, è la stessa che da bambino appena giunto in africa con i miei genitori facevo dalla stazione per andare al Buon Respiro, trovo che ancora le carovane di dromedari la percorrono perchè questa è la vecchia carovaniera per la piana di Saberguma che, vedi caso, passa sempre davanti alla villetta della nostra abitazione a 30 metri dalla stazione di Ghinda.
Giunti sul piazzale della stazione lo attraversiamo e faccio fermare il tassì davanti al cancello d'ingresso di quella che fu la nostra villetta di Ghinda, il cancello ed il recinto del giardino erano rimasti come li avevo lasciati, la villetta invece era scomparsa nelle sue forme originali come il tetto e le piante del giardino ormai scomparse, mi restavano i ricordi dei momenti forse più belli della mia infanzia nella natura incontaminata di Ghinda.- (continua).-

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  • Carlo Di Salvo
  • Autore della discussione
31/10/2012 13:54 - 31/10/2012 16:08 #14533 da Carlo Di Salvo
Prima di riprendere i miei ultimi racconti del mio II° viaggio in Eritrea vorrei rispondere a Francesco riguardo alle origini della storia dell'Etiopia e dell'Eritrea, non conosco il nome delle donne di questa antichissima terra, ma essa era nota per le sue ricchezze di aromi agli antichi egizi i quali andavano nella terra di "CUS" o di "PUNT" per rifornirsi di incenso, di aromi e di animali esotici, stò parlando di un periodo che risale al 2.000 a.C., ma mi riservo di entrare in questo argomento non appena terminerò il mio viaggio.
Sabato 9 novembre mentre passeggiavo per le strade di Asmara decisi che l'indomani domenica, con un tassì, che sarei andato a rivedere, dopo 48 anni, la mia villetta di Ghinda, la mia prima residenza africana dove ho vissuto un anno di esperienze indimenticabili che mi fecero amare l'africa in tutto il suo splendore.
Adocchiai così un buon tassì giallo e con il suo proprietario che parlava un buon italiano Tewolde-berham Bitsuamlak fissai l'appuntamento in via Sardegna alla pensione Malawi per le 7,30 dell'indomani domenica 10 novembre 1996.
All'indomani, sveglia al canto del Muezzin, mi preparai il necessario per una giornata per me particolarmente emozionante, alle 6,45 mi diressi intanto al bar in corso del Re all'angolo con Largo Campania di fronte alla Moschea, sapevo di trovare le calde briosce con uno squisito cappuccino, due mele divorai subito, mentre altre quattro per me e per Tewolde, messe in un cartoccio, ce le saremmo mangiate strada facendo.
Alle 7,25 in punto giunse il tassì, ma con mia sorpresa non vi era Tewolde, ma uno che non sapevo chi fosse il quale mi diede un biglietto di Tewolde il quale essendo malato si scusava con me e mi mandava suo cugino che purtroppo non parlava bene l'italiano, spero di mostrarvi il biglietto che mi scrisse Tewolde per farvi comprendere quale ricordo noi italiani abbiamo lasciato agli eritrei.
Partiamo immediatamente, da largo Campania imbocchiamo subito il Corso del Re, saliamo per via Duca degli Abbruzzi passando di fianco alla chiesa di Nda-Mariam, in piazza degli alpini imbocchiamo la camionabile per Massaua, il percorso che da bambino e da ragazzo facevo sempre per andare a scuola, passiamo all'altezza di via Bergamo dove rivedo l'utima dimora nostra di Asmara, superiamo il bivio per il circolo del tennis di Betgherghis spoglio adesso dei suoi eucaliptus, raggiungiamo la sella con il vecchio deposito dell'Agip e subito dopo la strada, seguendo i costoni delle montagne, inizia a precipitare.
Per lunghi tratti percorriamo la parte superiore della immensa valle del Mai-Enzì, incrociando spesso la ferrovia il cui tracciato è spoglio dei suoi binari, si notano le gallerie che penetrano le montagne per riapparire più a valle, l'alto ponte ferroviario di Ascigrigni, per un attimo all'altezza delle Porte del Diavolo intravediamo la valle del Dorfù, giungiamo all'altezza del ponte d'ingresso alla stazione di Arbaroba, faccio fermare la macchina, durante il periodo della battaglia di Cheren nel marzo del 1941, papà mandò me e mamma a soggiornare in questa stazione nascosta tra i monti per timore dei bombardamenti allla stazione di Asmara nei cui pressi abitavamo.
Con evidente emozione salgo la leggera salita verso la stazione, giunto all'altezza del tracciato dei binari vedo la stazione, tutto è abbandonato, rimane ancora qualche vagone semi distrutto mentre in alto pende ancora il tubo dell'acqua per le locomotive, mi avvio verso il piccolo fabricato della stazione ha ancora la vecchia scritta in lettere blu "ARBAROBA", una delle porte è aperta entro e domando se sono ferrovieri, no sono solo rappresentanti del villaggio di Arbaroba, mi guardo intorno su una parete vi è ancora il telefono, naturalmente fuori uso delle ferrovie, telefono con cui durante la guerra comunicavamo con papà alla stazione di Asmara, quanti ricordi ragazzi, sì possiamo dirlo: "che tempi ragazzi, che tempi!"
Dopo avere dato uno sguardo allo stupendo panorama che si gode sulla valle del Ghindà ritono sui miei passi e mi fermo qualche istante sul ponte da dove all'età di 8 anni stavo giornate intere a guardare i babbuini che si aggiravano tra le piante di Beles.
Ripartiamo adesso verso Nefasit.- (continua).-
Ultima Modifica: 31/10/2012 16:08 da Carlo Di Salvo.

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  • Carlo Di Salvo
  • Autore della discussione
26/10/2012 20:16 #14474 da Carlo Di Salvo
Giunto a Senafè lascio alla mia sinistra di visitare il paese perchè sono ai piedi dell'Amba Materà e dietro di essa si erge anche l'Amba Adennà. I ricordi dei racconti di papà durante i soggiorni ad Agat, (staziocina sulla linea Cheren-Agordat), quando mi parlava delle storia antica dell'Eritrea mi fecero alzare gli occhi sulla sommità dell'Amba Materà, scorsi subito la chiesa dei "Tsadqan" incastonata in alto in un anfratto dell'Amba.
Mi raccontava papà che questi Tsadqan erano nove santi rom cristiani, provenienti dall'allora cristiana Siria, che nel VII°Sec. d.C. giunsero in Etiopia del nord ad evangelizzare le popolazioni pagane ed ebraiche come i Falashà.
Essi si stabilirono soprattutto nello Scimezana, in grotte sul massiccio del Soira, nella valle Metarà a Barknaha, le popolazioni del Biru soprattutto li osteggiarono perchè secondo loro derubavano le loro piantagioni essendo questi missionari vegetariani tanto che arrivarono a martirizzarli.
La storia etiope racconta che il Re Caleb per punire le popolazioni del Biru di quanto avevano fatto, da Aksum attraverso una galleria sotterranea sbucò con il suo esercito nei pressi della città di Metarà ai piedi dell'Amba Saim e uccise tutti gli abitanti del Biru.
I Tsadqan furono i primi a tradurre i Vangeli dal greco alla antica lingua Gehez allora in uso, anticamente la lingua greca era molto usata in Etiopia a causa dei continui rapporti commerciali con Gerusalemme, con la Siria romana e cristiana ed addiririttura con Roma attraverso il porto di Adulis sul Mar Rosso, per mezzo di questo porto, attraverso Colohe nel Kohaito e Metara, il regno di Aksum aveva rapporti con paesi del Mediterraneo; voglio dirvi che nei fondali nei pressi dell'isola di Assarca nelle Dahlak sono state rinvenute anfore romane che trovansi nel museo di Asmara.-
Perchè ho voluto raccontarvi questa storia?
Procedendo verso il confine dopo Senafè si attraversano i luoghi che secoli fà furono partecipi di quegli avvenimenti, la strada percorre un altipiano circondato da profonde vallate, la prima delle quali la valle di Metarà è caratterizzata dall'Amba Saim che si erge solitaria al centro di essa, alle sue falde si notano i resti aksumiti dell'antica Matarà, questa valle dello Scimezana che si estende verso sud incorpora a sud il villaggio e la chiesa di Baharaknà, scendendo verso il confine ad un certo punto sopra un'amba appaiono le mura del vecchio forte Cadorna sentinella estrema una volta dei confini dell'Eritrea.
Incontriamo ogni tanto villaggi di hedmò mimetizzati
alle falde delle montagne riarse dal sole, alla nostra destra, mentre la strada procede su un alto costone, appaiono profondi valloni che degradano verso valli che riceveranno le acque che andranno poi ad affluire nel Mareb, la strada spesso costeggia questi valloni, in un punto in cui uno di questi valloni ha inizio faccio fermare la macchina perchè voglio fotografarne uno, per avvicinarmi dovrò scendere verso dove ha inizio il vallone, mi accorgo che il breve percorso che devo fare di circa 50 metri è costituito da lastroni di roccia che a gradino si interrompono solo sull'orlo del vallone, con emozione giungo sull'orlo del precipizio, sotto di me il vallone del Mai-Tzaglà degrada fino a perdersi nella valle, in fondo ad essa al di là dei monti si erge l'alta mole dell'Amba Kesciad.
Carissimi amici da quel punto in circa 15 minuti giungemmo al confine,purtroppo nella macchina fotografica era terminato l'ultimo rollino di diapostive e non ho potuto fare ulteriori foto per cui dovrete accontentarvi di quelle che vedrete perchè quì finisce il mio viaggio verso Senafè.- (Il prossimo ed ultimo viaggio sarà nuovamente verso Massaua e le isole Dahlak ).-

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  • Carlo Di Salvo
  • Autore della discussione
23/10/2012 20:26 #14415 da Carlo Di Salvo
Dopo la sosta nel pianoro la strada continua a salire, giungiamo finalmente al passo di Berhané, quì uno straordinario panorama sulla valle di Hasamò mi mostra i monti di Adua al di là di un ciglione.-
Una volta superato il passo la strada scende verso la Valle di Mandaferà, l'omonimo paese è arroccato con Hedmò sulla muraglia rocciosa del Cohaito che lo sovrasta, esso ci appare al di là dell'invaso di acqua che giace nel fondo valle.
La strada continua a salire fin quando al termine ci appare uno spettacolare panorama sulla valle dell'Haddàs, all'orizzonte il massiccio della vetta dell'Eritrea il Soira e più vicino l'Amba Tericà, finalmente giungiamo nella cittadina di Addi-Caieh, ci fermiamo presso una specie di bar-albergo per bere qualcosa di fresco, uscendo rivolgo lo sguardo verso il paese e noto sulla cima di un monte che sovrasta il paese la sagoma del vecchio forte.-
La fermata ad Addi-Caieh è breve non vediamo l'ora di arrivare a Senafè, iniziamo così una breve discesa perchè subito dopo iniziamo a salire, giungiamo in un pianoro, non posso fare a meno di fare fermare la toyota perchè alla nostra destra è apparso un panorama mozzafiato sulla piana di Hasamò la vista è spettacolare e di ampio respiro sino al ciglione di Adi-Quala, non riuscirei a descriverlo a parole, spero che le foto che allegherò siano loro a parlare.
Ripartiamo percorrendo la strada che si sviluppa sulla sommità che sovrasta la piana di Hasamò, continuiamo a salire finchè giungiamo al passo di Casasàt.
Adesso da qualsiasi punto della strada le dolomiti di Senafè ci accompagnano sempre ed alcune volte anche l'altopiano del Soira all'orizzonte fa capolino, la strada continua a salire siamo vicini alla cima dell'Amba Tericà, percorriamo appunto la sommità della valle Tericà da cui possiamo godere il panorama con l'Amba Matarà, il Cabessà e in lontananza l'Amba Chessàd, infine la strada sale verso sinistra, svolta poi subito a destra, superiamo come il passo di un promontorio che ci svela come un miracolo la valle su cui giace Senafè circondata dalle sue Ambe che andremo a scoprire nella nostra prossima escursione oltre Senafè, verso il confine con l'Etiopia.- (continua).-

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  • Carlo Di Salvo
  • Autore della discussione
22/10/2012 16:36 - 23/10/2012 15:12 #14399 da Carlo Di Salvo
Carissimi asmarini, scusatemi per il ritardo con cui riprendo il racconto del mio II° viaggio, una brutta influenza improvvisa per alcuni giorni mi ha messo K-O.-
Eravamo arrivati alla Valle di Deggherà Libé con i suoi fantastici sicomori, le cui foto il nostro Silvano ha inserito nel sito "Asmara e Dintorni".-
Superata la valle Deggherà Libé la strada con curve continue inizia a scendere, faccio rallentare la macchina perchè noto alla nostra destra un'ampia pianura al di là della quale, lontana, scorgo la cima dell'Amba Tericà che sovrasta Senafè, non posso non scattare una foto, tra migliaia di curve giungiamo al ponte del villaggio di Mai-Serau, purtoppo il villaggio che una volta esisteva in questo ameno sito non esiste più si notano solo rovine di mura abbandonate, era un villaggio dove vi erano molte colture, sul ciglio del fiume accanto al ponte si erge un albero di fichi con i frutti ancora verdi e le sue larghe foglie sembra dire "dove sono finiti i miei padroni"? Anche il vecchio pozzo sul bordo del fiume sembra attendere qualcuno che rimetta in funzione la pompa.-
Ripartiamo dopo circa 10 minuti, abbiamo ancora altre centinaia di curve davanti a noi, dopo il ponte di Mai-Serau procediamo in un breve tratto in pianura, dopo di chè iniziamo a salire, fiancheggiamo curva dopo curva una montagna che sembra non finire mai, finalmente si inzia una discesa che in verità non dura molto, perchè subito dopo riprendiamo a salire, sempre curve a non finire, quando notiamo che un'ampia curva in salita fa un ampio giro attorno ad un pianoro costellato da eucaliptus decidiamo di fermarci per sgranchirci le gambe e bere una tazzina di tè che Sara Cosentino in un termos aveva portato da Asmara.
Mi metto lentamente a passeggiare in questo pianoro ombreggiato dai pochi eucaliptus, il terreno tutto attorno era cosparso da sassolini di colore bruno caratteristico di qesta terra, uno in particolare attira la mia attenzione per la sua perfetta rotondità, lo raccolgo tolgo con le dita la terra che in parte lo ricopre e con somma meraviglia non credo ai miei occhi, non è una pietra ma una vecchia moneta, grattando sempre più la patina che la ricopre appare il profilo di Vittorio Emanuele II° con il suo pizzetto di barba. sul retro molto consumato dall'usura del tempo due rami uno di alloro ed uno di quercia racchiudono uno stemma, a quale ascaro o soldato è caduta questa moneta e quanti anni questa moneta era rimasta lì aspettando che io la ritrovassi?
(Sono andato a cercare le monete di Vittorio Emanuele II° e portano, quelle simili, la data del 1863.)
Riprendiamo dopo circa mezz'ora di sosta la strada tra non molto la prossima tappa sarà Addi-Caieh. (continua).-
Ultima Modifica: 23/10/2012 15:12 da Carlo Di Salvo.

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17/10/2012 16:57 #14317 da Francesco
Giacì , il mio cavallo !

EEA

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