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All'ombra dei 'calipti. Una voce fuori dal coro

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14/04/2015 10:35 #24870 da Francesco
Clandestini a go go

Ieri , a Palermo, dieci nigeriani appena sbarcati, non hanno gradito la sistemazione in un Hotel distante circa 600 mt. da un paese dell’entroterra palermitano perché isolato.
Si sono rifiutati - sicuri di essere accontentati, di scendere dal pulmann e pretendendo di restare in città-. Ovviamente, dopo che gli” operatori culturali”! hanno cercato di convincerli, sono stati accontentati! E te pareva!
Sono notizie che fanno rabbia, in particolare, ai nostri connazionali che non hanno casa, che si servono anche loro dei pasti della Caritas e che sanno di- non potere contare sull’aiuto dello Stato- di quello Stato ( scusate il bisticcio) che si fa in quattro per questi avventurieri e nulla fa per i propri figli!
Questa gente il cui passato ci “sfugge”, munita di smartphon ed auricolare vengono da paesi, ove con 40 euro al mese, si può campare bene. Per traversare il Canale di Sicilia spendono dai 2mmila ai 3mila euro. Con queste cifre potrebbero fare i nababbi per anni. Mi chiedo allora da cosa fuggono?
-Sfuggono dalla guerra….. sfuggono dalla fame……. - è il refrain che gli “sciacalli” della Caritas e delle varie Coop continuamente ripetono quasi a giustificarsi!
In verità, andando spesso nella vicina rada, assisto al loro sbarco e li vedo tutti pimpanti e paffutelli.
- …tacci vostri - ripeto, allora venite per sfruttarci facendovi mantenere!
- …tacci vostri- siete giovani, baldanzosi, ma invece di scappare vilmente,
perchè non affrontate chi vi sfrtutta e vi ha tolto la libertà e dignità?

EEA

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10/03/2015 11:09 #24643 da Francesco
E' strano questo "paese"(1)dove un ministro della Pubblica Istruzione si mostra ( con i suoi 55 anni suonati) in spiaggia in topless!
E' altrettanto strano che una "presidenta della camera"( così ama farsi chiamare rivoluzionando il lessico)abbia partecipato, l'anno scorso a Palermo, al Gay Pride, pessima e discutibile manifestazione carnascelesca....


(1) è la prima volta che uso questo termine (caro alla vulgata sinistrata) in luogo della più approiata "nazione"

EEA

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10/03/2015 10:53 #24642 da Francesco
“ La follia dei "giochi gender" bimbi travestiti da bimbe

Da Il Giornale 10 marzo 2015

“Il gioco del "gender" approda negli asili di Trieste con un finanziamento della Regione e la benedizione del Comune governati dal centro sinistra scatenando un putiferio.
Ho letto i testi di questo gioco del rispetto, come viene chiamato e sono aberranti» spiega a il Giornale, Amedeo Rossetti, il primo genitore insorto. «Negano che ci siano discorsi sull'ideologia gender però fanno travestire i maschietti da femmine e viceversa e poi filmano brevi interviste per farli dire come si sentono» sostiene il papà che ha denunciato il caso.
Sempre più genitori cominciano a preoccuparsi ed il settimanale cattolico del capoluogo giuliano, Vita nuova da voce alla protesta. Fabiana Martini, che si firma come «Vicesindaca» risponde difendendo a spada tratta «il gioco del rispetto», che è stato pure presentato al ministro dell'Istruzione Stefania Giannini. Però non fa parte del Piano formativo ufficiale.
«Il gioco del rispetto - scrive Rossetti su Vita nuova - viene presentato con finta trasparenza ai genitori, mediante generici avvisi affissi nelle bacheche, che introducono il tutto parlando di «sensibilizzazione contro la violenza sulle donne», come se un bambino di 4 o 5 anni potesse essere un mostro, picchiatore o stupratore».
Nell'opuscolo informativo si legge che il «gioco» serve «a verificare le conoscenze e le credenze di bambini e bambine su cosa significa essere maschi o femmine, a rilevare la presenza di stereotipi di genere e ad attuare un primo intervento che permetta loro di esplicitare e riorganizzare i loro pensieri, offrendo ai bambini anche un punto di vista alternativo rispetto a quello tradizionale».
I genitori hanno cominciato a preoccuparsi quando è saltato fuori lo sdoganamento del gioco del dottore negli orari di asilo. «Ovviamente i bambini/e possono riconoscere che ci sono delle differenze fisiche che li caratterizzano, in particolare nell'area genitale - recita il gioco del rispetto - È importante confermare loro che maschi e femmine sono effettivamente diversi in questo aspetto e nominare senza timore i genitali maschili e femminili ma che tali differenze non condizionano il loro modo di sentire, provare emozioni, comportarsi con gli altri/e».
Sul sito che presenta il «gioco» adottato dal 2013 in 4 asili del Friuli-Venezia Giulia in maniera sperimentale si legge che «il rispetto di genere ha senso insegnarlo già ai bambini di 3 anni e che gli stereotipi si possono combattere, anzi, si DEVONO combattere proprio a quell'età. Oggi i bambini e le bambine di quelle scuole parlano di “pompieri e pompiere” di “piloti e pilote” di “calciatori e calciatrici”, al punto da domandare, in occasione della trasmissione dei mondiali di calcio, per quale ragione non stesse giocando nessuna femmina».
La Vicesindaca Martini ha ribattuto alle critiche con un biblico comunicato stampa sostenendo, al contrario, che «il Gioco del rispetto è un progetto completamente estraneo al recente e controverso dibattito sul gender». Settanta maestre hanno adottato la contestata iniziativa ludico-didattica ed i genitori dovranno autorizzare i propri figli per iscritto. Silvio Brachetta, sul settimanale della Diocesi, ha commentato senza giri di parole, che «c'è il tentativo, occultato ma evidente non tanto di insegnare il rispetto tra le persone, ma d'indurre la nota “ideologia del gender”, che prevede l'assoluta libertà di scegliersi il sesso a capriccio.”

Commento mio

Purtroppo, una lobby minoritaria (che si richiama all'acronimo LGBT), combattiva in ogni dove, anche nel parlamento, ha ormai preso il sopravvento in tutti i campi del vivere civile.
Sta strumentalizzando anche i nostri figli, nipoti, ancora in tenera età, per farli crescere in una “sottocultura” dove l'aberrazione sarà normalità!
Non mi meraviglirei se, in un prossimo futuro, a qualcuno venisse la voglia di -congiungersi- con gli animali e rendere tale pratica naturale e legale!!!

EEA

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27/02/2015 01:29 #24579 da Francesco
Siamo il paese di bengodi, ove- TUTTO SI HA e TUTTO SI PUO-’!
Ovviamente, è un trattamento riservato alle “risorse” provenienti dai quattro punti cardinali del globo terracqueo, ovvero ad una moltitudine di etnie ( razza non si può dire più perché per la Sinistra non è politically correct) con idiomi diversificati, tanto da ricordare la biblica torre di Babele!
Raccatati dalla nostra Marina militare ( che ha mutato radicalmente il proprio compito istituzionale, ovvero quello di difendere le nostre coste! ) nel sottocosta i quella che fu, per noi, la Quarta Sponda, ovvero la Libia ( Tripolitania, Cirenaica e Fezzan ), ripuliti, curati, vestiti e ospitati in centri di accoglienza oppure in strutture alberghiere. Viene loro erogato, oltre all’alloggio, i pasti tre volte al dì ed una diaria di 2,50 euro al giorno per le piccole spese giornaliere.Il tutto, tradotto in soldoni ( estorti a noi contribuenti da questo stato di m….), ammonta ad euro 1.050 mendili ! Si, proprio 1.050 nette, che se le dessero ai nostri sfortunati concittadini , ridotti ad una pensioncina da fame, molti di questi si asterrebbero da cercare qualcosa nei cassonetti della nettezza urbana!
Accade, spesso e volentieri che, gruppi di questi profittatori, magari istruiti da gentaglia di nullafacenti , (come quelli, senza ne arte e ne parte, possibilmente pargoli di famiglie rosse “radical scic” e con i portafogli a destra, pur essendo sinistronzi) “domiciliati” nei cosidetti “centri sociali”, provino ad inscenare una protesta, okkupando alla bisogna strutture pubbliche atte ad impedire lo svolgimento di un normale vivere civile. Cui prodest? A chiedere a questo pavido stato anche l’impossbile! Tranquilli, gente, che se proprio la richiesta rientrerebbe nei termini di quest’aggettivo, lo stato, al fine di accontentare i suoi pargoli, spesso si PRONA ad angolo retto, ovvero a 90 gradi, e concede quanto richiesto dagli “angelitos negros” .
Numerose sono state le rivolte e le dimostrazioni inscenate da queste “risorse”, ripeto, per i motivi più disparati. All’uopo, leggete la seguente cronaca del quotidiano “Il Giornale” di oggi e buona lettura.
<< La protesta dei profughi: "Dateci soldi, non cibo e vestiti vecchi"
La rivolta alla Caritas di Crema: "I 35 euro al giorno dello Stato dateli direttamente a noi"
Giovanni Masini - Gio, 26/02/2015 - 13:41

È scoppiata una rivolta, al centro Caritas di Crema. Una ventina di profughi ha dato vita a una protesta che si è conclusa solo con l'arrivo della polizia.
Ieri mattina per circa quaranta minuti alcuni dei rifugiati ospitati nella struttura della città lombarda hanno inscenato una protesta per chiedere che venissero loro distribuite pietanze diverse da quelle previste dal menu e vestiti nuovi al posto di quelli usati, spesso provenienti dalla raccolta degli abiti tra i cittadini. In particolare, i profughi avrebbero chiesto che venisse servito loro più pollo e più riso, rispetto a quanto dato loro normalmente.
Inoltre, racconta Il Giorno, hanno chiesto che i 35 euro stanziati dallo Stato giornalmente per ciascuno di loro venissero assegnati direttamente a loro, piuttosto che utilizzati secondo le direttive del centro di aiuto. I rifugiati preferirebbero insomma avere la possibilità di gestire autonomamente le somme destinate alla loro accoglienza: una richiesta che però, allo stato attuale delle cose, non può essere accolta.
Dopo circa tre quarti d'ora, grazie anche all'intervento degli agenti delle forze dell'ordine, la protesta è rientrata e gli immigrati sono potuti rientrare nelle aule dove stavano facendo lezione di italiano.
Non è la prima volta che simili episodi vengono segnalati nei centri d'accoglienza per profughi. Non è raro che le esigenze degli ospiti albergati nelle strutture dello Stato o delle associazioni caritative sfocino in contestazioni anche violente. A gennaio, in una coop di Vittorio Veneto alcuni immigrati avevano dato vita a una protesta violenta perché non riuscivano a vedere una partita della Coppa d'Africa in televisione. Altre volte, per fortuna, le richieste vengono espresse in modo più pacato.>>
Letto? Capito tutto?
L’Itaglia si configura, sempre più, come l’Eldorado per tutta la feccia raccattata sotto la libica costa ex ottomana ed ex italiana.Ed è per questa ragione che è meta preferita da questa gente. Essi sanno che coloro che delinquono, in particolare per gli stranieri, esiste fra i giudici un passaparola, che a prescindere della gravità del reato, esiste un codice ( scellerato) di comportamento (attenuante) che tiene conto dello status di “migrante”.
A questo punto, perchè non dar loro piatti da gourmet e albergo a 5 stelle, abiti griffati e sale con cinema e divertimenti oltre, ovviamente, ai 35 euro (ben 1050 euro al mese....), negati ai ns connazionali pensionati ridotti sul lastrico, ai quali tocca rovistare nei cassonetti della N.U.
E’ un vero schifo: gli italiani poveri non li considera nessuno, nemmeno le associazioni di carità; esistono solo questi clandestini che hanno capito benissimo come stanno le cose e pretendono pure......
Grazie Kompagni!!!

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25/02/2015 16:42 #24572 da Narrante
Hai fatto bene Francesco a rivelarci avvenimenti e imprese eroiche verificatesi in altri località al di fuori dell'Eritrea.
In effetti, l'Eritrea è sata la nostra colonia primigenia, (1882-1941) ma seguirono altre colonie: la Somalia italiana (1890-1941), il Dodecaneso (1912-1943), l'Anatolia(1919-1922), Tientsn (Cina) 1901-1944) la Libia (1911-1943), L'Albania, (1939-1943) , e solo per ultima l'Etiopia (Abissinia - 1936-1941).
In ognuna di queste colonie ci furono guerre a volte lunghe e cruente, a volte brevi e quasi senza colpo ferire.
Ovunque i nostri soldati combatterono, si verificarono atti di eroismo che riusciamo a conoscere solo ora. Finita la 2a guerra mondiale, con l'onta di aver voltato le spalle all'alleato tedesco, e la vergogna subita, fece cancellare dai libri di storia fatti e avvenimenti di cui ne siamo stati tenuti all'oscuro.
Ricordare ora, seppur a distanza di anni, l'andamento di tali avvenimenti, ritengo sia nostro alto dovere nei confronti di quanti, morirono, soffrirono rimanendo magari invalidi, feriti e dimenticati da tutti.
Silvano

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25/02/2015 01:40 #24571 da Francesco
IL CAPITAO AGRIGENTINO ANTONIO BONSIGNORE, UNA DELLE MEDAGLIE D’ORO DELLA GUERRA PER LA CONQUISTA DELL’ ABISSINIA 1935/36.

Antonio, Simone, Biagio Bonsignore era l’unico figlio maschio di Angelo, avvocato, dirigente della Conservatoria immobiliare di Girgenti ( l’attuale Agrigento) e di Giuseppina Filì, figlia a sua volta di Ignazio, senatore del regno d’Italia. Dunque discendente di una famiglia abbastanza in vista, nacque nella città dei templi 3 febbraio 1896 nella casa di via Neve dove la famiglia Bonsignore abitava. Le cronache tramandano un giovane dall’indole molto mite, che soleva parlare poco di se, ma che – dopo l’esperienza di guerra – si accendeva di un insolito fervore quando si accennava alla sua vita militare ed in modo particolare alle battaglie cui egli prese parte e dalle quali gli erano venuti i riconoscimenti al valore che egli portava senza ostentazione ma dei quali andava molto fiero.
Terminate le scuole, venne chiamato alle armi alla fine del 1915 all’età di 19 anni: volle fare l’ufficiale e così fu ammesso alla Scuola militare di Modena (l’odierna Accademia). Venne immesso in servizio nel novembre 1916, quale aspirante allievo ufficiale, nel 10° reggimento bersaglieri a Palermo. Con quest’ultimo reparto si imbarcò a Brindisi e raggiunse l’Albania. Passò rapidamente il 25 marzo 1917 al grado di sottotenente e dal successivo 25 dicembre a quello di tenente. Nell’estate del 1918 partecipò al combattimento di Besciova. In quest’ultima località, mentre il XXXV battaglione era impegnato ad accamparsi, si registrò un improvviso attacco nemico. Gli austriaci si impadronirono delle posizioni ad occidente di Besciova e di due pezzi della 116a batteria. I reparti italiani in zona non si diedero per vinti e mossero con veemenza al contrattacco, ricacciando il nemico e recuperando i cannoni che erano andati perduti. In occasione di questo fatto d’arme, Antonio Bonsignore si distinse in modo particolare, tanto da meritare la medaglia di bronzo al valor militare.. Pochi giorni prima si era meritato anche la croce di guerra nello scontro che le truppe italiane ebbero con la retroguardia di una colonna nemica, nelle vicinanze del ponte Kuci che poi venne anche fatto saltare.
Terminata la guerra, il tenente Bonsignore rimase rimase a Sebenico e Zara, a presidiare le zone conquistate, con il 15° reggimento fanteria fino al 1920. Tornò in Patria il 6 giugno di quell’anno e transitò subito nell’Arma dei carabinieri. Venne destinato alla tenenza di Reggio Calabria da dove, nell’agosto del 1921, venne trasferito a quella di Acireale. Il 26 novembre del 1922 fu destinato al Battaglione mobile di Treviso e poi a Trieste. Il 7 dicembre 1924 venne in Sicilia, a disposizione della compagnia interna di Caltanissetta. Nel 1929 tornò nell’Italia settentrionale per andare alla tenenza di Fossano (Alessandria). Il 16 gennaio 1932 ebbe il grado di Primo tenente e dopo due mesi andò alla Legione allievi carabinieri di Roma. Il 9 febbraio 1933, promosso capitano, venne destinato a comandare la compagnia di Ozieri a Cagliari, mentre nel 1935 venne trasferito a Camerino. In quello stesso periodo collaborò con la III sezione controspionaggio del Sim (Servizio informazioni militari), diretto dal generale Mario Roatta.
Durante la sua permanenza ai reparti mobili in Sicilia diede un valido contributo nella lotta contro le bande di malviventi che operavano nell’Isola. In particolare nel 1927 prestò servizio a Cianciana e Campobello di Licata partecipando alle operazioni che portarono a sgominare due bande ed all’arresto di 121 fuorilegge e meritandosi due encomio. Durante la sua permanenza in Sicilia, esattamente nel periodo in cui prestò servizio nel trapanese, contrasse anche la malaria.
Tre mesi dopo l’arrivo a Camerino tuttavia l’ufficiale agrigentino partì volontario per l’Africa Orientale: andò in Somalia con i reparti in autocarro dell’Arma, mobilitati per partecipare alla campagna di Etiopia. Una scelta consapevole e convinta, come si evince dalla lettera che, alla vigilia della sua partenza per l’Africa, scrisse ad un tenente suo dipendente: <<… come le espressi a voce, oggi le rinnovo con la presente i sensi del mio rammarico per il distacco da tutti loro che in breve tempo avevano saputo accattivarsi la mia stima e la mia benevolenza. Un solo orgoglio può mitigare questo rammarico ed è quello di far parte di una schiera di volontari che, al di sopra di ogni interesse personale ed affettivo, ha fatto prevalere l’entusiasmo che alimenta il culto della Patria ed è pronto per essa al sacrificio supremo della propria vita>>. Egli poi aggiunse che <<oggi abbiamo avuto l’onore di essere passati in rivista da S.E. Baistrocchi prima e da S.M. il Re dopo, e le assicuro che queste cerimonie, svoltesi in un’atmosfera di delirante entusiasmo, resteranno profondamente scolpite nel mio cuore di soldato e di carabiniere. Ormai che ho la gioia di avere a me vicine le persone che più delle altre mi stanno a cuore, sono felice ed orgoglioso di poter contribuire con le mie modeste forze al raggiungimento di quelle mete che il nostro Duce volle additare alla Nazione. Questo orgoglio è anche giustificato dal fatto che nessun reparto dell’Esercito ha fin qui ottenuta la concessione di poter prendere parte attiva alle operazioni belliche appena giunto in Africa e cioè senza attendere il consueto acclimatamento. Contiamo di raggiungere la Somalia verso il 10 o l’11 marzo e di partecipare alle operazioni che daranno nuova gloria e lustro alla nostra Istituzione>>.
. L’ex bersagliere agrigentino era un buon ufficiale, amato dai suoi dipendenti. Viene descritto come un ottimo comandante, sempre sorridente. Umano e rispettoso anche verso i nemici esprimeva profondi sentimenti di lealtà verso lo Stato e verso il prossimo. Era in Somalia da soli due mesi quando avvenne il fatto d’arme che lo portò al sacrificio estremo.
Il contesto operativo



Sostanzialmente stiamo parlando della battaglia dell’Ogaden, svoltasi appunto nella primavera del 1936. Fu nel corso di essa che le truppe abissine di quella regione, comandate dal degiac[6] Nassibù, opposero le ultime disperate resistenze all’avanzata del Regio Esercito italiano. Nassibù riuscì ad organizzare un sistema difensivo di tutto rispetto, avvalendosi anche della consulenza di consiglieri militari belgi e soprattutto del generale turco Wehib Pascià che svolse le funzioni di capo di stato maggiore del degiac.
Il generale Rodolfo Graziani, che aveva il comando delle truppe italiane nella regione meridionale, decise di attaccare con tre colonne che presero il via da tre località parecchio distanti degli obbiettivi su cui dovevano convergere e che erano le posizioni fortificate di Sassabaneh e di Dagahbur. La colonna di sinistra, comandata dal generale Guglielmo Nasi (composta dalla Divisione di faneria coloniale libica, aliquote di artiglieria, carri armati e reparti del Genio, oltre ad una colonna aggiunta agli ordini del console generale della Milizia Navarra, composta da bande di dub at e dalla banda irregolare del sultano Olol Dinle e da quella di Huseein Ailé) partì da Danane; la colonna centrale era agli ordini del generale Luigi Frusci ed era composta dai raggruppamenti arabo-somali dei colonnelli Pietro Maletti e Carnevali, aliquote di artiglieria e carri armati, reparti del Genio, la 221° legione Camicie Nere dei Fasci Italiani all’estero, comandata dal ministro Parini, console della Milizia (a questi reparti si aggiunse successivamente la colonna Navarra, trasferita agli ordini di Frusci): essa partì da Gorrahei e Gabredarre. Infine la terza colonna, che ci riguarda più da vicino, era quella di destra ed era comandata dal luogotenente generale della Milizia forestale Augusto Agostini; essa era tutta autotrasportata ed era composta dal reparto della Milizia Forestale, da Bande di Reali Carabinieri[8], dal raggruppamento di bande di dubat comandato dal colonnello Camillo Bechis e dal battaglione “Curtatone e Montanara” dei volontari universitari. Essa partì da Gherlogubi ed il 23, 24 e 25 aprile affrontò il nemico a Gonu Gadu.

Quest’ultimo era un importante nodo carovaniero a 25 chilometri da Sssabaneh, perno importantissimo della difesa abissina. Era tuttavia un villaggio di contadini e pastori nel Gerrer, formato da tukul[10]ma che era stato abbandonato dagli abitanti.. Ad ogni modo il nemico aveva realizzato anche in quella località delle ottime difese ..

L’assalto

Fu proprio lì che Bonsignore ed i carabinieri della sua centuria ebbero il compito di andare all’attacco, dopo un pesante bombardamento aereo che avrebbe dovuto in demolire le difese avversarie.Con altre quattro centurie dipendevano dalla I Banda comandata dal tenente colonnello Citerni. A lui ed alla sua centuria venne affidato il compito di conquistare delle posizioni nemiche scavate proprio tra le radici degli alberi. Bonsignore dispose i suoi uomini la mattina del 26 aprile 1936 ed impartì l’ordine di avanzare. Ovviamente egli si mise in testa ai suoi uomini e con il suo sorriso sereno li incoraggiava ad avanzare verso le posizioni nemiche. Gli etiopi erano ben appostati e potevano facilmente farf fuoco contro gli italiani con colpi di moschetto e mitragliatrici.
Ma a questo punto lasciamo il racconto ad uno dei più fedeli dipendenti del capitano Bonsignore, il vicebrigadiere Ghiazza, che scrisse una lettera piena di sentimenti alla famiglia dell’ufficiale siciliano.



<<Gli fui sempre accanto: anche nel giorno triste della sanguinosa lotta, irrisi con lui al nemico nascosto, ne intesi con gioia le ironiche frasi. Tutti i suoi Carabinieri, che lo adoravano per la sua bontà, egli aveva attorno fusi con un unico pensiero: in un unico scopo essere degni del capitano! Si guardava solo a lui! Allorché il micidiale fuoco avversario ci accolse nella nuova pianura fronteggiante la boscaglia di Gunu Gadu, la sua parola ci galvanizzò. Ci un momento in cui, dopo aver fissato a lungo col binocolo un albero, mi disse: “Dammi il moschetto, ti voglio far vedere come si colpisce!” Sparò a lungo, e l’albero si spogliò di insidiosi abitanti. Piegammo a sbalzi verso sinistra. Tutta la centuria era in perfetta formazione di combattimento, da lui ottenuta con spostamenti da un’ala all’altra, in piedi, incurante delle pallottole che fischiavano tremendamente sopra le nostre teste. Venne accanto a me, sorridente come sempre, e pareva che il fuoco nemico, rabbioso e intenso, non lo interessasse. Si volse, intesi il signor capitano Fragola parlare con lui, e subito dopo ordinò di innestare le baionette. Disse ancora: “Andiamo, è l’ora” e si alzò. Abbracciando con l’occhio ardente di volontà tutti i suoi uomini, con la pistola in pugno e le braccia protese a indicare la meta sublime, gridò: “Avanti, all’assalto, prima Centuria, Savoia, Savoia!” Ci levammo di scatto, e l’urlo nostro di fede, nella furiosa corsa verso l’ignoto, forse impaurì il nemico che ebbe un attimo di smarrimento. Correvo accanto a lui. Mi guardò, sorrise e gridò ancora: “Coraggio, miei bravi, ci siamo, Savoia!” Giungemmo alla boscaglia, un piccolo torrente asciutto che la percorreva lungo l’orlo, il Gerrer, ci vide piombare col nostro slancio travolgente. “Nessuno”, ebbi appena il tempo di mormorare al signor capitano questa parola ed una scarica terribile di proiettili si rovesciò su di noi. In quel punto il terreno si sollevava in ripido pendio, insieme al quale un albero spoglio di rami, e di foglie mi parve in quell’istante una croce. Intanto i nemici, annidati in profonde ed invisibili caverne scavate sotto gli innumerevoli tronchi, sparavano rabbiosamente da tutte le parti, mentre le mitragliatrici sgranavano il loro infuocato rosario. Caddero i carabinieri a destra e a sinistra in quell’inferno di fuoco e di urla, ma egli avan zò ancora con la sua pistola fumante in pugno, bello e generoso come il Dio della guerra, ed in cima al ponticello ove l’albero componeva una nota triste, voltosi a noi tutti, la sua voce chiara e sicura scandì ancora le parole sacre di purissima fede: “Avanti Prima Centuria, Savoia, Savoia!” Ero ad un metro da lui. Lo vide stringere i denti, portarsi una mano al petto e cadere. Il grido fatidico uscì ancora dalle sue labbra con tratte dal martirio; le mani si tesero ancora ad indicare: “Avanti, avanti”, ma un istante dopo, mentre gli giungevo accanto, un proiettile assassino lo colpì alla fronte. Mi guardò (e quello sguardo sofferente, cosciente del compiuto sublime sacrificio, è e sarà sempre nel mio cuore), mormorò come in un soffio: “Ah, m….” ma non compì la parola. La terra si arrossò attorno a lui, mentre la voce di un carabiniere si levava alta facendo vibrare di onore e desiderio di vendetta i suoi soldati: “Hanno ucciso il capitano, quanto sangue, quanto sangue!” Vicino a lui mi misi a piangere come un bambino, dimentico anche della battaglia che infuriava terribile e negli occhi di tutti brillavano le lacrime, ma la vendetta si compì poiché nessuno degli assassini vide più scendere la sera a Gunu Gadu>>.


Antonio Bonsignore guida all'attacco i suoi carabinieri (stampa di Clemente Tafuri, Museo storico
dell'Arma dei carabinieri)
Fu lo stesso Ghiazza a portare il suo corpo in infermeria, insieme ad altri commilitoni nella speranza che potesse essere ancora vivo, ma il medico purtroppo dovette spegnere ogni speranza. Il suo corpo fui vegliato per tutta la notte ed il mattino seguente venne sepolto, insieme a quello degli altri Caduti, nel piccolo cimitero di guerra ricavato in quella località.
Al capitano Bonsignore e ad altri due carabinieri Caduti nello scontro, il barese Vittoriano Cimarrusti ed il bergamasco Mario Ghisleni, venne concessa la medaglia d’oro al valor militare.
In particolare la motivazione per l’ufficiale agrigentino così recita: <<Per due volte, con la pistola in pugno, al grido di « Savoia », si slanciava, primo fra tutti, all'assalto di fortissimi trinceramenti, infliggendo notevoli perdite al nemico e costringendolo a ripiegare. Ferito gravemente ad un fianco, raccoglieva tutte le sue forze per sostenersi, trascinarsi e non cadere e, rifiutando ogni soccorso, continuava a guidare e ad incitare i suoi carabinieri finché, colpito in fronte, rimaneva fulminato mentre la sua centuria invadeva le posizioni nemiche. Primo nell'assalto e primo nella morte, esponendosi volontariamente all'estremo sacrificio, dette col suo mirabile esempio, eroico impulso a tutti i carabinieri della banda, determinando in essi una gara di eroismi individuali. Raro e mirabile esempio di alte virtù militari. Gunu Gadu . 24 aprile 1936>>.
Caduta Gonu Gadu, la colonna Agostini raggiunse Sassabaneh e da lì Dagahbur dove si ricongiunse con le altre due colonne, anch’esse vittoriose sul nemico. La conquista dell’Ogaden era ormai cosa fatta!
In provincia di Agrigento Antonio Bonsignore non è stato dimenticato: a lui è stata intitolata una borgata balneare nelle vicinanze di Ribera mentre una scuola gli è stata intitolata a Licata. Numerose le caserme che portano il suo nome, tra cui il comando Interregionale dei carabinieri di Messina, quello dell’Esercito in via Vittorio Emanuele a Paleremo, la scuola allievo carabinieri a Roma e la sezione dell’Anc di Patti. Nel capoluogo agrigentino invece non si trova alcuna traccia di lui. Niente intitolazioni e niente ricordi: nessuno ha pensato mai di inserirlo in una toponomastica che peraltro è assai ricca di nomi sconosciuti e che nulla hanno fatto per essere tramandati ai posteri.

segue Il canto dei Volontari

www.youtube.com/watch?v=HEkiNT-GFa8

Fonte: Da una rivista storica di Agrigento

EEA

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