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All'ombra dei 'calipti. Una voce fuori dal coro

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24/06/2014 08:08 #22446 da Francesco
AGAU,
stamani, ho riscoperto questa stanza dimenticata. Anzi, uno stanzino, essendo stata sempre di due paginette ingiallite e polverose.
Un peccato abbandonarla in un immeritato oblio, proprio per i temi trattati, che meriterebbero di essere di essere rispolverati...ed attualizzati.
Ordunque, cavaliero,che ne dici?
A te la penna...

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06/12/2013 10:28 #20495 da Agau-del-Semien
Decima voce

Ciò che mi meravigliava sempre di più era che voi italiani, non so se di proposito o meno, non so se per stupidità o sicumera, non notavate i segni dei quotidiano cambiamento del mio paese. Facevate la classi-ca figura del marito che è sempre l'ultimo a scoprire la verità malgra-do le allusioni e le battute di amici e conoscenti.
Non notavate che l'Eritrea era come un adolescente in via di sviluppo: ogni giorno la voce si faceva più baritonale, le guance meno tonde, gli occhi assumevano una luce diversa mentre la prima peluria spuntava sul mento. Erano i segni esteriori di un mutamento interiore.
Ogni giorno il mio paese diventava sempre più insofferente alla discipli¬na ed alle condizioni impostegli, proprio come un ragazzo che comincia a contestare i genitori e vuole le chiavi di casa. Anche l'Eritrea voleva finalmente le chiavi di casa e non voleva più sentirsi dire cosa doveva e cosa non doveva fare e urgeva sempre più pressante in lei la volontà di gestirsi a modo proprio anche a costo di litigare con tutti.
La mia terra baciata dal Mar Rosso intensificava i segnali per far capi¬re a tutti che non si sarebbe tirata indietro davanti a niente e che QUE¬STA VOLTA tutti i suoi abitanti sarebbero stati coinvolti nel cambia¬mento. Anche gli stranieri, anche gli italiani. Nessuno doveva illuder¬si che si sarebbe trattato di un affare interno che avrebbe investito soltanto gli indigeni.
E così è stato. L'Eritrea ha avuto non soltanto le chiavi ma tutta la casa e tutti gli inquilini hanno dovuto pagare lo scotto: il mio paese aveva ottenuto quello che da molto tempo voleva e se per farlo aveva dovuto usare anche i modi bruschi e sgarbati la cosa risultava del tutto trascurabile se raffrontata al risultato.
Angra

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06/12/2013 10:23 #20494 da Agau-del-Semien
Nona Voce

Le ombre lunghe dei ricordi eritrei proiettano zone scure nella mia mente e le memorie degli slanci, degli impeti, degli entusiasmi e dei mille, progetti giovanili svaniti nel nulla lasciano l’amaro in bocca.
Chi ha lasciato l'Eritrea negli anni cinquanta, ha portato con sé una bella valigia quasi intatta. Chi, come me, si è intestardito a restare è andato via con un fagotto appeso alla punta di un bastone.
La iattanza degli eritrei divenuti dirigenti, il sadismo degli addetti ai
visti d'uscita, la maligna pignoleria dei doganieri, gli astrusi cavilli
degli uffici fiscali tutto diventava pretesto per complicarvi la vita.
Prima di lasciarvi andare per l'ultima volta, volevano togliersi qualche soddisfazione e dovevate sottostare a queste nuove forche caudine attraverso le quali vi costringevano a passare.
A volte, l'ultima pagina del libro, rovina l'intero contenuto così come un cattivo tappo rovina anche il vino migliore. E gli ultimi avvenimenti sono sempre quelli che più rimangono impressi nella memoria.

Angra

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04/12/2013 12:16 #20472 da Agau-del-Semien
Ottava voce

Ti ricordi, cara Asmara, quando lasciai l'Eritrea non so più quanti anni fa? Eravamo nella tarda mattinata di una bellissima giornata di cielo terso ed aria frizzantina e tu insistesti per accompagnarmi fino all'ae-roporto. Quella tua premura mi commosse e fui incapace, di profferire parole, tanto che facemmo tutta la strada in silenzio,
Nel momento dell'addio, prima di salire sull'aereo, riuscii a dirti, con un groppo in gola, abbi cura dite, io ti voglio bene e ti ricorderò sem-pre. Tu mi guardasti un pò stupita e poi, con voce assolutamente aset-tica, mi rispondesti: non fraintendermi, ti ho accompagnato per essere certa che tu partissi.
Durante il volo riflettei a lungo sull'accaduto e sulla cantonata che avevo preso. Per tanti anni mi ero illuso che tra me ed Asmara vi fosse stato qualcosa di più di un semplice rapporto di convivenza nello stes-so condominio. Mi ero autoconvinto che la questione colonialismo fosse stata ormai superata dagli eventi, che l'alternarsi di nuovi padro-ni avesse fatto capire agli eritrei chi era il meno peggio tra italiani, inglesi, etiopici. Avevo vissuto tanti anni nella convinzione che tra ita-liani ed eritrei, oltre ai rapporti di lavoro, si fosse instaurata anche una sorta di amicizia. Che abbaglio.
Tra italiani ed eritrei c'era, e c'era sempre stato, un mero rapporto loca-tore-locatario e quando i padroni di casa ebbero bisogno dei locali non esitarono un solo momento a mettere in atto la politica degli sfratti. Scoprii così, quasi di botto, che l'Eritrea non era mai stata casa mia e che i padroni di casa non erano mai stati amici miei, ma avevano sol¬tanto intrattenuti gli indispensabili rapporti sociali. Lo sfratto fu il damerà che bruciò le mie illusioni ed i miei sentimenti per Asmara e dintorni.

Angra

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04/12/2013 12:09 #20470 da Agau-del-Semien
Settima voce

Mi chiamo Tesfai e ho voglia di dire qualcosa perché vorrei che anche la mia voce fosse ascoltata, anche se avrei dovuto parlare, anzi urlare, a tempo debito per tentare di cambiare qualcosa.
Voi italiani siete stati qui tanti anni e la parte che più avete approfondito è stata senza dubbio quella paesaggistica. Guadagnavate bene e potevate compravi anche i fuoristrada e percorrere tutta l'Eritrea recandovi anche nei posti più reconditi. Avete visitato parti dei mio paese ignote alla maggior parte degli eritrei che, per la stragrande maggioranza, non potevano permettersi il lusso di praticare turismo.
Per diletto cacciavate gratuitamente, o quasi, tutti gli animali che vole¬vate e così univate l'utile al dilettevole mangiando selvaggina ed adornando le vostre case di trofei, per non parlare della pesca d'altura e subacquea con l'esibizione di potenti natanti e costose attrezzature.
Poi, avete dedicato parte dei vostro tempo alla gastronomia locale imparando a preparare scirò, zighinì e via dicendo meglio di quanto facessimo noi stessi. Tutto il resto Io avete ignorato a meno che non interessasse direttamente le vostre attività. Non avete mai studiato cultura, religioni, usanze, costumi e tradizioni delle genti eritree. Non avete mai ritenuto opportuno che nelle vostre scuole si studiasse il tigrignà e l'arabo, la geografia e la storia dell'Eritrea.
Non vi siete mai soffermati a pensare su come sarebbe stata diversa la nostra convivenza se ci fossimo conosciuti più profondamente fin dalle scuole elementari. Immaginate bambini italiani ed eritrei che parlava¬no indifferentemente le tre lingue scambiandosi, favole, racconti ed episodi di vita quotidiana e familiare. Quei bambini avrebbero scoperto come vivevano, come giocavano, cosa mangiavano i loro coetanei di razze diverse creando le premesse di una reale integrazione.
Ma i padroni eravate voi ed eravamo noi eritrei a dover imparare la vostra lingua per poter lavorare nelle vostre aziende, nei vostri uffici, nei vostri negozi, perché a voi non passava neppure lontanamente per la lesta di imparare gli idiomi locali. Perché sprecare tempo che pote-va essere più utilmente impiegato negli affari o più piacevolmente negli svaghi?
Siete stati, in questo campo, incredibilmente superficiali e, nella vostra presunzione di superiorità, non avete ritenuto necessario approfondire la conoscenza degli indigeni. D'altronde, finché avete potuto, ci avete tenuti fuori dai vostri circoli e dalla vostra vita sociale confinando i rapporti nell'ambito lavorativo. Continuavate a dire di amare l'Eritrea, ma dovreste spiegarmi come si fa ad amare chi non si conosce, L'Eritrea era per voi una concubina: sempre a vostra disposizione ma senza permettere confidenze.
Ho parlato tanto per parlare perché non serve più a niente.

Angra

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04/12/2013 11:34 #20469 da Agau-del-Semien
Sesta voce
Nella mia gioventù eritrea non nutrivo mai dubbi e tiravo diritto per la mia strada, un poco come il Frank Sinatra di "My way". Se perdevo un lavoro non mi crucciavo troppo perché ero certo di trovarne un altro; sr litigavo con la ragazza ero sicuro di ritrovarla perché frequentava¬mo sempre gli stessi ambienti; se perdevo al gioco avevo la possibilità di rifarmi perché eravamo sempre gli stessi; se avevo bisogno di un umico lo avevo sempre a portata di mano. I vantaggi discreti di una piccola comunità in una piccola città.
In Italia, invece, sono stato sempre pieno di dubbi sul tipo di quelli che vi assalgono quando, dopo esservi seduti sulla poltroncina dei barbie-it\ non siete più sicuri di avere le orecchie pulite. Sono momenti scon¬volgenti che mettono a repentaglio anche il più ferreo self control men¬tir siete dibattuti tra la voglia di andarvene con una scusa qualsiasi o affrontare il destino e non rimettere mai più piede in quella bottega.
Che succede in Italia se perdete il lavoro? Vi iscrivono alle liste di mobilità che rappresentano l'elenco degli ex lavoratori senza più spe-ranze. Se perdete la ragazza? Andate dal barbiere vi fate un taglio alla lincia, indossate il vestito bello con una cravatta sgargiante ed andate In televisione a raccontare urbi et orbi i vostri tormenti amorosi. E non vedete l’ora di ritrovarvi al bar con gli amici per chiedere come siete venuto in tv.

Se perdete al gioco potere ricorrere ad un usuraio o dedicarvi a sane economie conducendo vita ascetica. Se vi serve un amico, la faccenda si fa maledettamente complicata perché i vostri amici asmarini sono dispersi per tutta l'Italia. D'altronde non vi sono programmi per inine i smarriti a meno che non vogliate rivolgervi a "Chi l'ha visto?"
oppure mettere un annuncio sul Mai Taclì. Ma la faccenda va per le
lunghe e nel frattempo siete soli.


Com’era bello camminare senza esitazioni con lo sguardo diritto che SPAZIAVA LONTANO e la testa fieramente alta. Oggi si ha quasi paura guardare attraverso la finestra pensando a cosa succede li fuori. Per la strada, poi, dovete camminare a testa bassa per evitare buche, escrementi, siringhe e catene di motorini ancorati ai pali della luce.
Che pena.

Angra

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