2003: novembre, mattina, centro.

 Anche se il sole è un po’ velato c’è tanta luce, c’è troppa luce ma questo è logico all’equatore, con un’altitudine di 2400 metri; lo avevo solo dimenticato dopo 35 annidi assenza; del resto sono solo io che mi riparo gli occhi con la mano, non lo fa mia sorella che mi accompagna (ma lei è qui da sempre) e non lo fanno tutti quelli che girano indaffarati (molto poco indaffarati) per le strade del centro; indigeni certo, come me. Si vede raramente qualche estraneo, e quei pochi vanno a due a due, li si riconosce per la divisa mimetizzata e i capelli biondi, la pelle chiarissima arrossata sugli zigomi, il basco blu in testa, spesso piegato e infilato sotto la spallina della camicia. Sul braccio sinistro i colori di una bandiera. Tante bandiere. Salutano con la mano quando passano in macchina, un fuoristrada bianco, sugli sportelli, in nero, visibile all’infinito, due grandi lettere nere: UN. Se ci incrociano a piedi riveriscono con grandi sorrisi, alcuni quasi s’inchinano, dicono qualcosa in tante lingue. Siamo proprio  due mosche bianche  in questo paesaggio e poi sono tutti ragazzi e incontrare due… (stavo per dire nonne!) mamme rosa e bionde come noi forse li fa sentire un po’ a casa. Certi indovinano che siamo italiane e dicono persino buongiorno o ciao.

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Uno scorcio della biblioteca Pavoni Social Center e Fratel Ezio Tonini.

 

I diavoletti invece, quelli che domandano il bacshish, ci corrono dietro e dicono “tiliano”! (anche questo è cambiato, una volta dicevano “taliano” n.d.oggi) ma non sanno dire più di tanto, solo qualcuno dice “dai nakfa” o “mangiare” o “fame”. Anche nei bar (decine di bar in Asmara!) le ragazze (tutte ragazze a servire e al bancone) non sanno dire neppure buongiorno  o non vogliono dirlo, capiscono solo “cappuccino” o “macchiato” perché è la stessa cosa che dicono gli altri avventori, tutti eritrei. E sono il 99% uomini, e occupano i tavolini esterni e interni consumando birra e coca cola e caffè e cappuccini e aperitivi e sigarette…. Tutti seduti, il caffè non si serve al bancone, in piedi, ci si deve seder: è la regola. Così viene da domandarsi: e a lavorare? C’è questa usanza perché nessuno ha impegni o avanza tutto il tempo per prendersela con calma? E le donne, le mogli e le sorelle e le madri… dopo le belle cameriere (belle le ragazze eritree e si assomigliano tutte, come fossero fatte con la stessa impronta) che li servono, ci saranno pure altre donne… Si, le donne ci sono e lavorano forse per pagare agli uomini le soste al bar e le sigarette; e sono un esercito, bellissime con un camice azzurro e una piccola futa bianca arrotolata in testa che scende appena a coprire il collo, a volte ciondola dalla nuca come una coda di cavallo, altre da un lato del capo come fosse una raffinata acconciatura; il corredo necessario a svolgere il lavoro è una cariola per trasportare tutto quello che raccolgono nelle strade con un paio di scope di diversa misura e una pala, a volte una foglia di palma per arrivare più lontano. E le strade (come allora) sono perfettamente pulite. Queste bellissime figure che hanno sostituito gli spazzini sono tutte anziane: certo le mamme e le nonne di quei giovani che allegri consumano bevande (e sedie) nei cento bar. E altre donne presidiano i parcheggi auto per ricevere la tariffa stabilita: un nakfa solo per quella sosta, due nakfa per poter poi posteggiare in altri parcheggi per tutta la giornata.

Le macchine sono molte e anche qui, a volte, è veramente difficile potersi fermare. I taxi, sorprendentemente tanti, tutti uguali e tutti gialli, hanno i loro posteggi ma è una sospresa anche vederli in circolazione a tutte le ore. Occupati certo.

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É sera: le operatrici ecologiche hanno finito il lavoro e tornano

concedendosi una chiacchierata.

 (Caro Guido che scrivi lettere dall’estero….. vuoi sapere se si passeggia la domenica… per incontrare chi? Il massimo puoi incontrare “Trillo” Reffo (ma lui lo trovi tutti i giorni a tutte le ore!) o Lillo Mingolla  in qualche spaccio a fare la spesa o… chi? E i cinema ci sono sempre e si chiamano ancora Impero e Roma e Odeon e… i films in italiano? Per chi? Gli italiani sono invisibili e gli eritrei non lo capiscono…. i circoli? Il Quotidiano Eritreo? La littorina, la pallacanestro… ma di che stai parlando? Capisci ora perché gli “Asmarini” che vivono all’Asmara tacciono? N.d.oggi).

Bevuto il “macchiato” sedute a un tavolino trovato miracolosamente libero in uno dei cento bar, scopriamo che non c’è nulla da fare. E si torna a casa ma nel pomeriggio si, (la mattina è chiusa) una cosa interessantissima c’è: La Biblioteca di Fratel Ezio Tonini. Sono le diciassette quando suoniamo il clacson davanti al cancello grigio a un certo punto della strada per l’aereoporto, a Godaif: è un lungo capannone che una volta ospitava le stalle di Tagliero e che ora, fratel Ezio Tonini dell’ordine dei Pavoniani, in anni di fatiche e di passione, senza risparmio ha trasformato in dozzine di scaffali – non un centimetro libero – carichi di libri di ogni misura e spessore, tanti colori e tante diverse rilegature ma…. perfettamente catalogati per argomento, per date, per nazione. E lui, fratel Ezio, è il “segnalibro” vivente: sorriso contagioso, gentilissimo, orgoglioso, soddisfatto, prestigioso, silenzioso come fosse un’ombra, la voce bassa per non disturbare, instancabile e paziente accorre ad ogni cenno di tutti i ragazzi seduti ai numerosissimi tavoli, non un posto libero, e di studiosi e  ricercatori e appassionati che saltuariamente si accomodano nei grandissimi tavoli a loro disposizione, parla con noi, ci fa sedere nel suo piccolo ufficio, ci fa morire d’invidia mostrandoci libri preziosi e ormai unici, libri  vecchissimi dalle pagine ingiallite, consunte per le tante e tante dita che le hanno sfogliate, a volte in fretta a volte studiate a lungo, imparate a memoria da tanti e tanti occhi, vicende umane, storia nella storia… pagine lise e odorose di antico, il tipico profumo della carta invecchiata per decenni e che ora si mischia con quello d’inchiostro fresco di tipografia. Perché ci sono anche queste pubblicazioni fresche di stampa e subito accaparrate perché non manchi nulla e perché fra decine e decine di anni anche loro ingialliscano e cambino odore, per la gioia e l’ammirazione di coloro che, come me, un lontanissimo giorno potranno respiralo. E mi piace pensare che sia sempre lui, fratel Ezio, a mostrarli, sempre lui attento e silenzioso, disponibile, gentile, sorridente come si fosse tutti vecchi amici.

Marisa Baratti

 (Mai Taclì N. 3 - 2004)