Le acqueforti africane
di Laurenzio Laurenzi
di Raffaele Laurenzi
Vai all'articolo originale del 1938 Altre opere
Nacque ad Assisi nel 1878 e frequentò l’Accademia delle Belle Arti di Roma, ma fondamentalmente Laurenzio Laurenzi, pittore paesaggista e incisore, era un autodidatta. Forte del suo talento naturale, viaggiò in lungo e in largo in Europa, in Africa del nord e in Medio Oriente per fissare su 80 lastre di rame altrettante vestigia dell’Impero Romano.
Viaggiò anche in Somalia e in Eritrea, ove ritrasse paesaggi, animali e luoghi storici, seguendo quella tendenza artistica, diffusa all’epoca, che prediligeva i soggetti esotici.
Lo scrittore e giornalista Eugenio Giovannetti (1883-1951) gli dedicò alcune pagine del periodico «Annali dell’Africa Italiana», pubblicato nell’agosto del 1938. L’articolo, intitolato «Le acqueforti africane di Laurenzio Laurenzi», è accompagnato dalla riproduzione di sei opere: lo riportiamo integralmente.
L’artista Laurenzi emerse a livello nazionale nel febbraio 1920, in seguito a una mostra personale presso l’autorevole Galleria La Vinciana di Milano, tuttora in attività, dove espose opere che ritraevano per lo più vedute di Assisi e della campagna umbra. Alcuni giornali ne parlarono e a Laurenzio si aprirono le porte di altre gallerie in Italia e all’estero, in particolare a Parigi, Praga e Roma.
Nel corso del 1934, il Corriere di Milano pubblicò sette sue acqueforti nelle pagine delle arti e delle scienze. Tra queste, due belle vedute di Venezia.
Il 7 giugno del 1938, Laurenzi varcò il maestoso ingresso del Quirinale e fu ricevuto in udienza privata dal re Vittorio Emanuele III. Scopo della visita: fare omaggio al re di un album contenente le acqueforti in cui aveva ritratto le vestigia dell'impero romano. Probabilmente l’artista sperava che il re o Mussolini, riconoscenti della sua opera, gli conferissero una onorificenza e una pensione... Con la caduta del fascismo, cadde anche la sua speranza.
Stanco della vita nomade, alla fine degli anni Trenta si ritirò nel suo appartamento-studio di Roma, dove visse gli anni difficili della guerra. Il 20 dicembre 1946 i vicini lo trovarono morto nel suo appartamento-studio, ucciso dal gas assieme al suo gatto. Nessuno appurò se si fosse trattato di incidente o suicidio.
Se si guardano da vicino le acqueforti di Laurenzio Laurenzi, si scopre un suo vezzo: là dove i tratti dell’incisione sono più fitti e confusi, per esempio per rappresentare una zona d’ombra o un selciato, egli disegnava piccolo piccolo, con tratto svelto, una topolina e un uccellino e tra i due un fiore, allegoria un po’ goliardica di argomento sessuale. Oppure scriveva, in modo che risultasse altrettanto ben mimetizzato, quello che gli passava per la testa in quel momento. Ma poiché lo incideva sulla lastra scrivendo da sinistra a destra, sulla stampa risultava scritto al contrario, perciò leggibile solo con l’aiuto di uno specchio. Cito due frasi che mi sono rimaste impresse: «Oggi compio 56 anni e ancora tira bene»; «30 settembre 1938, conferenza di Monaco. Il Duce salva la pace. Viva il Duce». Anche lui, come tutti gli italiani, aveva creduto, ingenuamente, che Mussolini non volesse la guerra.
Chi conosceva bene Laurenzi sosteneva che avesse anche un altro vezzo: quello di «tirare» più copie di quante ne dichiarasse. Lo conferma il fatto che non distruggeva le lastre, ma le conservava per eventuali ristampe, che eseguiva lui stesso, perché sosteneva che solo l’autore sapeva come inchiostrare e quanta pressione esercitare sotto il torchio per ottenere il risultato migliore.
Una nota personale: Laurenzio era zio di Aurelio Laurenzi, il funzionario coloniale, padre dello scrivente, di cui si racconta la lunga esperienza in Oltregiuba e in Somalia nel libro «Indagine su mio padre», che può essere liberamente «scaricato» dal nostro sito Mai Taclì / Somalia / Testimonianze.