L’Abuna Petros
(Il Vescovo Pietro, Addis Abeba 30 Luglio 1937)
Per Noi, all’epoca, un ribelle e sobillatore, per gli Etiopici un patriota: eroe e martire. Ricordiamo una piazza ed un monumento dedicato all’Abuna, nella Capitale. L’atteggiamento e la figura della statua non lasciano indifferenti, colpiscono l’atteggiamento ed il volto ieratico, dignitoso, suscita ammirazione e rispetto. La mitragliatrice che campeggia ai suoi piedi, vedremo che, non c’entra nulla con la sua triste storia, che finì dinnanzi ad un plotone composto da otto Carabinieri.
Ma l’Abuna, più che Santo, fu uomo di grande coraggio e più che la Fede prevalse in lui l’amore per la Patria e per la Libertà. Più che Pastore e pacificatore fu uomo d’azione, scelta che lo portò alla morte; dimentico dell’insegnamento cristiano che ci viene da San Paolo:.
Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c’è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. 2Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono attireranno su di sé la condanna. 3I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver paura dell’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, 4poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora devi temere, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi fa il male. 5Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. 6Per questo infatti voi pagate anche le tasse: quelli che svolgono questo compito sono a servizio di Dio. 7Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto. 8Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. 9Infatti: Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai, e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 10La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.>
Egli preferì l’azione, all’insegnamento che avrebbe dovuto rispettare come Pastore, anche a guerra “formalmente” conclusa e in una Capitale ancora governata con la Legge Marziale.
Rileggiamo la sua storia tratta da, Franco Bandini “Gli Italiani in Africa” (Longanesi 1971 MI):
<Il 28 luglio (1037), con il primo grande e pericoloso attacco a Addis Abeba: all’alba di quel giorno, circa seimila armati etiopici vennero giù dalle colline che circondano la città e si infiltrarono nell’immenso agglomerato come un coltello nel burro. Si combatté per delle ore attorno all’ospedale, mentre le crocerossine imperterrite operavano sotto il fischiare delle pallottole, e attorno alla chiesa di San Giorgio, cioè nel cuore stesso della capitale. Qui un gruppo di etiopici sorprese il caporale del genio Gramigna col suo camion, lo strappò dal posto di guida e lo ferì in mille punti. Lo salvò il cappotto nuovo, che gli assalitori cominciarono a contendersi: non visto, Gramigna salì sull’autocarro e se la squagliò, arrivando più morto che vivo fino all’ospedale. I combattimenti finirono a sera,
perché gli etiopici, come loro solito, si ritirarono, incalzati dai nostri.
Ci fu una terribile conseguenza, che probabilmente innescò una reazione a catena micidiale: l'attacco alla città era stato guidato dall’ottantenne « deggiacc » Balcià, eunuco della corte imperiale, ma era stato possibile per l’autorità morale conferitagli dalla presenza dell’abuna Petròs, la più alta autorità religiosa d’Etiopia. Sopra di lui c’era soltanto l’abuna Cirillo, ma esso era di nomina alessandrina, mentre Petròs era vescovo etiopico puro sangue. Con il suo ampio manto di mussolina rossa, brandendo la grande croce d’oro, Petròs aveva cavalcato sino a Addis Abeba alla testa degli armati. Al finire dell’attacco, invece di ritirarsi nell’ovest aveva cercato rifugio da ras Hailù, nostro amico, il quale, senza por tempo in mezzo, l’aveva denunziato a Graziani.
Il 30 luglio, sulla piazza del mercato, ci fu il processo, giudice militare il colonnello Damiani, avvocato militare il generale Olivieri. Processo pubblico, seguito con un impressionante silenzio da parte di una moltitudine nera. L’abuna Petròs, un grande vecchio alto un metro e novanta, con un volto ascetico incorniciato da una barbetta biblica, tenne un atteggiamento di incredibile dignità e dette risposte lente e nobili. Il traduttore rivolto ai giudici, le attenuò in italiano, ma gli astanti amarici non ne persero naturalmente una sillaba. Quando fu pronunziata la sentenza, egli rimase un istante immobile, in meditazione, poi estrasse dal petto la croce, la protese verso il tribunale e lo benedisse, ieraticamente.
La scena, terribile e alta, divenne confusa: i giudici persero il controllo e la misura, chiesero ai giornalisti presenti dove si dovesse fucilare il colpevole, poi si rivolsero ai carabinieri. In una baraonda piena di tensione, l’abuna venne fatto girare un po’ finché non si trovò un muro che reggesse la scarica. Poi fu fucilato nella schiena, mentre levava la testa a guardare il suo cielo d’Etiopia, un’ultima volta.>
Mai Taclì, la Redazione Marzo 2022.