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Massàia
Lorenzo Antonio Massaia di Giovanni, fratello minore di Guglielmo: sacerdote e parroco di Pralormo.
Poi Guglielmo, a sua volta, nome che prende quando viene consacrato sacerdote. Nato a Piova d’Asti (Frazione La Braja) l’8 giugno 1809, morto a S. Giovanni a Cremano (NA), ottantenne, il 6 agosto 1889. Vescovo dal1846, Cardinale dal 1884. Proposto per la beatificazione dal 1914. Conosciuto in Etiopia, terra della sua missione, come Abuna Messias (alla lettera: Vescovo Messia) per il grado che ricopriva e per l’assonanza al suo cognome.
Commemorato nel suo Paese natale con una Lapide, a ricordo, posta dall’A.N.R.A. nel 1975 all’ingresso dell’abitato, dove Marisa Novelli ne cura costantemente la memoria. Si raccomanda anche la visione del film “Abuna Messias”, capolavoro di Goffredo Alessandrini, principale interprete: Camillo Pilotto, premiato alla Mostra di Venezia nel 1939.
Dall’Enciclopedia Treccani leggiamo: Massàia, Guglielmo. - Missionario ed esploratore (Piovà d'Asti 1809 - S. Giorgio a Cremano 1889).
Cappuccino, nel 1846 fu consacrato vescovo e inviato in Etiopia fondare il vicariato apostolico dei Galla.
Il suo primo tentativo di entrare nel paese riuscì vano: espulso dal Tigrè, riparò ad Aden, dove fondò la missione cappuccina, oggi divenuta vicariato apostolico dell'Arabia. Solo più tardi (1852), passando attraverso l'Egitto e il Sudan, riuscì a raggiungere i paesi galla: cominciava allora il suo più intenso periodo di attività missionaria (1852-63), durante il quale fondò numerosissimi centri religiosi nel Gudrù, a Lagamara, ad Afallo, nel Ghera, nel Caffa; rafforzò i suoi risultati e completò le sue ricerche etnologiche e linguistiche in due non meno importanti viaggi successivi; guadagnò le simpatie di Menelik che lo trattenne a corte. In seguito, esiliato dallo Scioa per volere di re Giovanni IV, tornò in Italia, e venne nominato cardinale (1884).
Su istanza di Leone XIII redasse I miei trentacinque anni di missione nell'Alta Etiopia (12 voll., 1885-95). A Marsiglia, nel 1866, aveva fondato il Collegio galla; a Frascati, nel 1880, un notevole Museo etiopico. È stato aperto il processo di beatificazione nel 1914. Postumi sono stati pubblicati: Lettere e scritti minori (5 voll., 1978); Memorie storiche del vicariato apostolico dei Galla (1845-80) (6 voll., 1984).
L’UOMO - LE OPERE - IL CONTESTO - IL PENSIERO
Sempre difficile descrivere un Personaggio importante quando da egli stesso e su di Lui sono corsi fiumi d’inchiostro; per questo ci siamo riferiti ad una Conferenza-dibattito tenutasi ad Asti il 4 ottobre 1989.
Hanno dibattuto personaggi qualificati, così che dai loro interventi traiamo la presente sintesi. I partecipanti erano:
Il Dr. Feliciani Fernando, Presidente dell’A.N.R.A. (Associazione di Reduci d’Africa) in veste di promotore.
Il Sac. Antonino Rosso, studioso e biografo del Massaia.
Il Prof. Giorgio Roscià. Professore di Storia Moderna, prima a Pavia poi a Torino.
Il Sac. Calloni, Direttore della rivista “Il Camino” dei Missionari Cappuccini di via Piave di Torino.
Il Prof. Donelli, Primario cardiologo dell’Ospedale di Asti, nato e vissuto ad Addis Abeba negli anni trenta.
Suor Sandra Marta, Missionaria della Consolata, fondata dal Canonico G. Allamano (Torino).
Sac. Marino, Cappuccino di Torino (via Piave), che segue la Comunità degli Eritrei ed è una tra le figure più belle tra i Frati.
Sac. Novarese Parroco (protempore) di Piovà d’Asti, dal 1939 Piovà Massaia.
Sig.ra Marisa Novelli di Piovà, che ne cura attivamente la Memoria.
Dagli interventi:
(Dr. F. Feliciani) E’ opportuno ed attuale commemorare il Massaia? Egli non ancora Santo, ma Beato è quindi di per sé tra le figure che allietano l’anima. Nel suo aspetto poi, nel suo corso di vita, in tutto ciò che egli ha fatto, studiato, analizzato, da un senso di fiducia e mai come in questo momento storico noi tutti abbiamo bisogno di serenità, di avere fiducia.
Lo vogliamo anche ricordare anche perché fu una grande figura che delineò il cammino degli Italiani in Africa. Cercheremo quindi di indagare le componenti della sua vita: come uomo, missionario, mago se non medico. La sua figura si erge quindi come un vessillo di valore umano pur nell’umiltà ma nella completezza.
E’ cosa strana che questo uomo che partì da Piovà quindi dall’estrema provincia italiana, con la sua apparente pochezza, senza mezzi, ma che documenterà tutto. Al suo ritorno in Italia, il papa Leone XIII gli raccomandò di scrivere le sue memorie, il suo sapere; ed egli scrisse i suoi famosi tredici volumi.
E’ tra noi il Sac. Antonino Rosso, biografo del Massaia che ha passato maggior parte della sua vita allo studio di questo personaggio; ne ha approfondito, ha vivisezionato la sua esistenza con grande intelletto, al quale lasciamo la parola.
(Sac. A. Rosso) Quando morì il cardinal Massaia, il padre Davide da Pinerolo, suo segretario personale, si precipitò in Vaticano per comunicare personalmente al Pontefice (Leone XIII°) la morte del Cardinale che si trovava, casualmente, a S. Giorgio a Cremano a cinque chilometri da Napoli, ospite del signor Amirante. Presso questo ospite ebbe un attacco di angina-pectoris che lo portò a morte alle ore 4,30 del 6 agosto 1889. Il Papa, taciturno di carattere fece un solo commento: “E’ morto un Santo”.
Durante le celebrazioni per la beatificazione di frà Felice da Nicosia, un Fratello Laico, il Cardinale era presente e al temine del rito tutti i Cardinali si avvicinarono al Papa per omaggiarlo. Egli, anchilosato non poté avvicinarsi, il Pontefice sceso dalla Sedia Gestatoria volle abbracciarlo. Un Monsignore restò scandalizzato e disse al Papa: “ma questo è troppo”. Il Papa rispose, sussurrandolo all’orecchio del Monsignore: “Il cardinale Massaia può permettersi il lusso di stare seduto anche di fronte a Leone XIII°, perché non è la Porpora che onora il cardinale ma il cardinal Massaia che onora la Porpora”.
Questa è la cornice del quadro, veniamone sinteticamente alla vita: Il cardinale Massaia nacque nella Frazione “La Braja” di Piovà d’Asti, in casa della nonna materna mentre suo padre abitava nella Frazione “S. Pietro”: era l’8 giugno del 1809. Si trasferì poi bambino nella casa dove abitavano i genitori: Giovanni e Maria Domenica Lucrezia Bertorello.
La sua vocazione venne dalla religiosità della famiglia, il primogenito fu avviato al sacerdozio e quando fu nominato parroco di Pralormo prese con se il fratello minore Lorenzo Antonio avviandolo poi agli studi nel Seminario di Asti dove incontrò e stabilì rapporto con il suo confessore.
E’ a questa persona che egli pose la domanda: devo farmi prete o frate? Perché voglio essere un missionario. La risposta del confessore: don Angelo Longhi di Stradella, fu questa:”…allora dovete farvi Cappuccino”. E’ così fu.
Massaia, diciassettenne entrò nel convento di Madonna di Campagna (TO) il 6 settembre 1826 dando inizio così alla sua carriera. Fu sacerdote, poi per due anni (1834-1836) cappellano dell’Ospedale Mauriziano di Torino. In questo ambiente ebbe le prime nozioni di medicina e che nell’ambito della sua missione, esercitò per il resto della vita. Fu in seguito professore di filosofia e teologia per dieci anni, a Moncalieri rione Testona dove si educavano i Principi della Real Casa. Egli per questo frequentava il Castello di Moncalieri dove i figli del Re Vittorio Emanuele e Ferdinando abitavano, mentre il reggente Carlo Alberto e la moglie vivevano nel Palazzo reale di Torino.
La Messa, nel Castello di Moncalieri veniva celebrata dai Cappuccini tra i quali anche padre Guglielmo da Piovà perché, facendosi Frate, il Massaia aveva assunto il nome del fratello maggiore.
Questo soggiorno viene poi citato in una lettera che Massaia scrisse, per conto di Menelik, a Vittorio Emanuele II dove scrive di aver detto al Negus Neghesti, di aver appunto conosciuto il Re nel Castello di Moncalieri. Conoscenza peraltro superficiale perché altri avevano maggiori contatti con il Re; mentre egli era solo il Cappellano di Corte.
Ci vollero ben trentasette anni prima che si arrivi all’Africa, quindi da notare che buona parte della sua vita il Cardinale la passò in Piemonte. Infatti la Missione cattolica presso i Galla, a sud del Nilo, fu fondata nel 1846 su suggerimento dell’esploratore Antoine d’Abbadì e non si sapeva a chi affidarla perché da due secoli i Cattolici non potevano accedere all’Etiopia dopo il fallimento della missione dei Gesuiti che erano stati perseguitati ed espulsi.
Un grave problema di fondo perché il territorio dei Galla era ancora sconosciuto, il primo, fu appunto “d’Abbadì” che scrisse a Montalambert di Francia ed al Pontefice, che lì avrebbe visto l’opportunità per una missione cattolica.
Si poneva quindi il problema a chi affidare questa Missione. Il Papa chiamò quindi il Procuratore Generale dell’Ordine, all’epoca Venanzio da Torino, che per ben dieci anni era stato il precettore di Massaia. Alla richiesta di scegliere un Pastore: “maturo e provato” (parole che Massaia riporta nelle sue memorie), il Procuratore Generale dell’Ordine pensò subito al Massaia.
Padre Guglielmo quindi dovette lasciare la scuola e partire immediatamente. L’ordine (“obbedienza”) fu spedito il 1° marzo del 1846, appena ricevuto egli salutò i parenti, si recò a Roma, fu consacrato vescovo il 24 maggio nella chiesa di S. Carlo, e il 4 giugno, dello stesso anno partì da Civitavecchia.
Giunto in Africa trovò vie sbarrate: in un primo tempo pensò di risalire il corso del Nilo (Abbay) ma si accorse di avere alle costole un filibustiere, certo Felice Valdieri (spalleggiato dall’allora console italiano Paolo Cerruti di Alessandria), poi morto suicida; che pressato da sgherri della “polizia egiziana” cercavano di estorcergli denaro, ma che ne aveva ben poco.
Il Massaia, d’estrazione contadina, conosceva bene il valore del denaro e capite le intenzioni abbandonò quella via e quella compagnia. Veleggiò sul Mar Rosso per entrare nei territori dei Galla (fascia a sud ovest dei regni d’Abissinia) attraverso la parte settentrionale proprio dell’Abissinia: il Tigrè. Ma qui vi era un impedimento gravissimo: in Abissinia era presente il Metropolita cristiano-copto: Salamà, riconosciuto dal Patriarca di Alessandria; e la legislazione vigente impediva, a qualsiasi altro ecclesiastico d’altri riti o religioni, di entrare in quella Terra.
Entrò quindi in grandissimo segreto con l’intento di ordinare sacerdoti gli alunni che un altro grandissimo apostolo. Giustino De Iacobis aveva preparato al sacerdozio. Purtroppo una lettera intestata a “Mons. Massaia vescovo d’Abissinia” fu intercettata da un agente del metropolita Salamà che scomunicò il Missionario e costrinse il ras del Tigrè ad espellerlo seppur contro voglia, perché il Ras stimava molto De Iacobis e conseguentemente gli amici di questi.
Massaia, fortunatamente, due giorni prima del bando che lo esiliava si era già recato a Massaua, sulla costa allora sotto controllo egiziano e da lì rientrò temporaneamente in Europa. La tentazione di restarvi fu grande ma prevalse il suo spirito missionario. Infatti quando sbarcò a Lione l’arcivescovo di Torino Frausoni esule e residente a Lione perché espulso dalla sua sede di Torino, insieme al marchese De Sali cercarono di persuaderlo a rientrare in Piemonte, a Torino per fare, con tutta probabilità, il vescovo di questa città; fu una grossa tentazione!
Egli invece cosa fece? Si ritirò in ritiro spirituale a Marsiglia e dopo aver meditato chiese al confessore quale via avrebbe dovuto prendere. La risposta fu: “salvate la vostra vocazione”. Egli ripartì con il primo bastimento senza neanche passare per Roma e qui presero questa sua decisione come una fuga mentre egli invece adempiva ad un voto.
Raggiunse i Territori Galla, attraverso la via del Nilo sei anni, cinque mesi, diciassette giorni dopo. Fece quindi voto di non riattraversare più questo fiume rinunciando quindi agli onori, che come prelato, avrebbe avuto in Europa.
Il primo Centro Missionario fu Sandabo nel Gutru e lì cominciò la sua vita missionaria: proprio tra i Galla, instaurando rapporti di fiducia e vera amicizia. Lo apprezzarono perché arrivò travestito da mercante, per l’umiltà, per le difficoltà che dovette affrontare, per i coraggio, la fortuna. Ne intravvidero il destino quando, incontrando un animale feroce questo scappò. Sono queste stesse doti che noi oggi vogliamo onorare.
(Prof. G. Roscià) La figura del Massaia, come si conosce dalla letteratura del ‘900, è molto diversa dalla realtà perché viene presentata principalmente come quella di un esploratore, un rappresentante degli interessi dell’Italia un precursore del nostro colonialismo. Il Massaia aveva altri interessi prioritari. La letteratura corrente, anche quella per l’infanzia, lo presentava come un esploratore. Meno risalto veniva dato alla sua vocazione e missione. Negli anni trenta questa visione viene accentuata anche con l’approvazione del gen. Badoglio.
Massaia non aveva condiviso neanche la politica di Cavour e Vittorio Emanuele II contro la Chiesa Cattolica che perseguiva: la fine dello Stato Pontificio, Roma Capitale la laicità. La breccia di Porta Pia fu per lui uno scandalo;ma tutto questo viene occultato. Ma è innegabile che fosse sentimentalmente legato a Casa Savoia, partecipe di grandi eventi soggetto a grandi rinunce e ciò lo rende anche un politico ed accorto amministratore. Si sa d’altronde che la politica italiana in Africa è sempre stata fatta in condizioni d’ignoranza di quel Continente e dell’Etiopia in particolare.
Al contrario: tra tutti gli Italiani residenti in Etiopia, nell’800, egli è quello che conosce veramente tutto e meglio di chiunque altro e ciò gli veniva da essere principalmente un missionario.
(Dr. F. Feliciani) Ciò che colpisce, in questo uomo, la capacità di organizzare la propria vita: scrive molto ma si fa la carta con foglie speciali, non ha inchiostro ma se lo fa da radici, non ha possibilità di comunicare se non ad intervalli di uno/due anni, gli mancano rifornimenti ma egli vive, crea, aiutandosi con l’ironia l’ottimismo attivo. Si interessa degli usi e delle lingue locali, le riordina in grammatiche e dizionari opera quindi in vari campi.
(Sac. Calloni) Quando si pensa ad un Missionario si pensa ad uno che parta con la valigia piena di tutto ciò gli possa servire ma in realtà egli porta una realtà importantissima: la pace. Oggi non sappiamo più cosa sia la “pace”. Il primo desiderio, il più profondo del Missionario è quello di portare pace. E ciò e possibile solo se si ha la pace propria, intima; e che si possa quindi esercitare questa funzione esterna.
A questo punto è opportuno un chiarimento sui Missionari cattolici: i Cappuccini ai quali appartenne il Cardinale, sono una delle branche dei Francescani, si individuano solo dal 1525 ma a partire dal 1600 vi è già una loro ondata missionaria, da allora sono presenti in tutto il Mondo, non sono finanziati dalla Chiesa quindi devono rendersi autonomi con: l’aiuto dei fedeli, la coltivazione e l’allevamento e possono anche fare piccoli lavori in proprio:
Come vengono accolti dalle popolazioni locali? I Missionari cattolici vivono una tentazione: quella di imporre la propria cultura, regala quello che ha per abbreviare i tempi, perché quelli del Regno di Dio sono lunghissimi. Da parte dell’Africano invece c’è la tentazione di accettare la religione cristiana perché è quella dei Bianchi: Se Dio ha reso i Bianchi così potenti è per loro conveniente doverla accettare. Il Missionario poi ha il compito di comunicare che questa potenza, questo benessere non necessariamente danno la felicità.
Al Massaia dobbiamo anche la redazione di un Catechismo nella lingua dei Galla che non aveva l’approvazione formale della Chiesa e questo fu per lui un duro colpo.
(Dr. F. Feliciani) Ma il Massaia prevedeva questi strumenti nuovi di evangelizzazione da affiancare alla sua immaginazione e creatività per attirare l’attenzione degli indigeni anche attraverso sue posizioni apparentemente miracolistiche. Si fece quindi una fama anche di Mago.
Si racconta che stando a Lagamarà, presso una tribù quest’ultima era sottomessa ad altra tribù senza possibilità di riscatto. Chiesero allora al Massaia: “ma tu che puoi tanto, facci vincere per una volta contro questi nostri vicini nemici”. Egli mise delle Croci lungo tutto il confine che ossessionarono talmente i vicini nemici che vinsero le genti di Lagamarà.
Una figura che ricorreva anche ad espedienti particolari oltre che praticare la Medicina, ne venne fuori una fama tra il medico e il mago, egli che non era né l’uno né l’altro, ma che portò benefici indiscussi come ad esempio la lotta al vaiolo.
(Prof. Donelli) Ma per spiegare tutto ciò si devono focalizzare tre, quattro momenti della vita di questo Uomo. Prima Cappellano all’Ospedale Mauriziano di Torino dove ha accesso all’archivio ed “allo Stato Maggiore” dell’ospedale; ascolta le discussioni dei medici, assiste pregando agli interventi, trascrive le cause di morte. Una delle sue più grandi virtù è stata la curiosità scientifica e non solo nel campo medico.
Quindi pervaso da un senso moderno di concepire le cose. Sapeva di andare in un Paese completamente privo di strutture, di medici, dove operavano solo Stregoni, dove il novantanove per cento della popolazione era analfabeta e solo qualcuno che sapeva leggere e scrivere; è per questo degno di considerazione e può essere considerato anche medico.
Massaia arrivò a Khartoum ed acquistò per prima cosa delle dosi di vaccino contro il vaiolo avendo idee precise sulla profilassi e su cosa l’attendeva. Affrontò la “febbre gialla” egli spiegò di aerare le case, aprire finestre (i tucul ne erano sprovvisti). Spiegò che non si guariva dalle malattie in ambienti umidi carichi di fumo in promiscuità con gli animali. La prima necessità era quindi il ricambio d’aria. Non è questa cosa da poco nell’800 quando appena si parlava di malattie infettive.
Anche per la lebbra non si può fare molto di più di quanto fece Massaia: isolare gli infettati, raccomandava la pulizia personale, le cose cioè che fa un medico moderno.
Egli aveva solo una cassettina di medicinali. Curò la lue con talomelano e mercurio le cure più avanzate dell’epoca. Predicava la monogamia, spiegò che per le malattie veneree dovevano essere curate nel contempo anche le mogli o le concubine.
Ma la cosa più grande che egli fece fu la campagna di vaccinazione contro il vaiolo. Aveva con se le dosi di vaccino che si era portato ma che non poterono essere usate essendosi deteriorate a causa del tempo e del clima; va allora a trovare un amico e gli chiede di ispezionare il bestiame, guardandone le mammelle riesce a trovare le pustole della malattia; tenta, con il siero, di vaccinare ma non riesce.
Tentò allora un esperimento che fa rabbrividire un medico d’oggi: prelevò del siero dalle pustole dei malati e lo iniettò in sani a scopo preventivo. Lo scrisse nelle sue memorie e quello che passò nella notte in attesa dell’esito. Ma raccolse tanto siero e lo spedi alle altre Missioni dove vaccinavano tutti indipendentemente dalla loro religione. Quando vaccinava la gente usava dapprima una lancetta, poi un meno invasivo ago da materassaio opportunamente adattato, lo bagnava con la sua saliva e lo intingeva nel siero secco, tutti quindi si convincevano che uno spirito vitale, uno spirito magico fosse presente nella saliva di questo Uomo.
Ancora oggi la figura del medico è considerata in Africa con molto rispetto e un’aura di magia lo accompagna nel suo operare.
La figura del Missionario veniva accettata come quella di un Grande Padre, egli fece molto per quelle genti il suo operato considerato da molti miracolistico o opera di un Mago. Da quelle Genti prima che in Patria dove il suo valore, fu riconosciuto dopo la morte.
(Dr. F. Feliciani) Il Missionario, del quale trattiamo, era persona umile e serena. Anche al cospetto del Negus Neghesti Teodoro (Teodros), da tutti temuto, mantenne semplicità e forza d’animo sebbene avesse attraversato la strada, che al Sovrano; portava, fosse disseminata di cadaveri e gente che gemeva per le fustigazioni, era in atto una sorta di guerra interna.
Anche al cospetto di un altro negus neghesti Giovanni (Johannes, successore di Teodros, al quale Menelik contendeva il primato, quindi il Titolo), che lo cercava disse presentandosi a Corte ad Axum: “Chi mi cera, eccomi qui” aggiungendo nel corso del colloquio: “del mio corpo puoi fare quello che vuoi, ma lo Spirito è mio e quindi non puoi farmi niente”. Il Negus Neghesti parlò all’inizio del colloquio attraverso una tenda per non incontrare il suo sguardo in modo diretto. Massaia che godeva invece della stima del turbolento Menelik, godeva anche fama di essere uno stregone e il consiglio di questo espediente a Giovanni veniva dai Prelati della Chiesa di Axum, per evitare che ne subisse il fascino o la maledizione.
Così lui affrontava: violenza ferocia e la forza dei potenti, con questa sua naturalezza. Teodoro (il predecessore di Giovanni) fu talmente affascinato da questo Uomo che diceva: sono qui faccio solo il Vescovo; e riuscì addirittura a far liberare il galeotto con il quale era legato al momento della sua traduzione al suo cospetto e che in seguito addirittura sposò una nipote del Negus Neghesti.
(Suor Sandra Marta) Si ricorda che fondatore della Consolata è il venerabile Giuseppe Allamano che era profondamente devoto allo Spirito del Massaia e da questo illuminato anche a ciò si deve quanto il venerabile sia riuscito a realizzare.
E’ principalmente in Etiopia che abbiamo raccolto la sua preziosa eredità. Di fatto il fondatore della Consolata non fece un solo giorno di Missione mentre Massaia, grazie alla sua grande energia posta al servizio del suo zelo lo rese un venturoso viaggiatore. Raggiunse i Galla travestito da mercante superando difficoltà inenarrabili. Lo si può paragonare, per certi aspetti, a S. Paolo quando parte per convertire le Genti. Questo grande personaggio non ha quindi solo arricchito l’Africa ma anche l’Italia. Ha arricchito anche la Chiesa perché quanti Santi hanno saputo prendere l’esempio da Lui per forgiare altri Missionari.
(Sac. Marino) Il Massaia però ha operato come Missionario nei Territori dei Galla e dopo il contatto con Menelik anche nello Scioa ma è quasi sconosciuto al nord in particolare nei luoghi che diventeranno l’Eritrea, la prima Colonia italiana. Quindi per quelle popolazioni, questa figura quasi non esiste.
L’operato di questo Uomo è quindi da porsi in due momenti. Per quanto riguarda il periodo dei Galla, sia prima che dopo l’occupazione italiana la figura è ben accolta, considerata quella di un benefattore, uno che portava la voce di Dio, uno che curava i corpi e le anime. La sua Figura restò però un po’ offuscata quando dopo le prime occupazioni si è fatto apparire che fosse stato Lui a prepararle. Questo non è vero Egli conoscendo la situazione avrebbe forse preferito che ad occupare l’Etiopia fossero stati gli Inglesi o i Francesi.
Era la propaganda del tempo che assegnava al Massaia il ruolo di precursore del nostro colonialismo. Anche gli Storici ed Intellettuali etiopici sono stati da questo influenzati e tuttora è questa la tesi che permane pur non essendo assolutamente vera. Egli è stato un santo che ha svolto la sua Missione.
(Dr, F. Feliciani) Infatti quando il Governo italiano, al suo rientro, lo volle ricoprire di onorificenze non certo da Lui richieste o gradite. Ma la sua personalità veniva comunque percepita come quella di un grande Italiano che precedette le nostre occupazioni aprendo, senza dubbio, la strada a grandi conoscenze: di quelle Terre, di quelle Genti. E’ anche sotto questo aspetto che tanti Italiani d’Africa lo ricordano con stima oltre che con venerazione.
(Sac. A. Rosso) Ma per essere ancor più precisi, la Missione si divide in tre periodi: Quella Galla, quella del Kaffa e infine quella Scioana. Dopo la caduta di Teodros, Menelik si fece proclamare Negus dello Scioa territorio misto condiviso da Amara cristiani e Galla. E qui le cose andarono bene in quanto Menelik, data la sua giovane età, lo reputava un suo consigliere (“…non sempre però mi ascoltava…” dirà in seguito il Cardinale) si fece anche stendere un manuale sul modo migliore per reggere lo Stato, testo che conservò sempre tra le sue carte più preziose.
Ma un altro Negus però si proclamò Negus Neghesti (Re dei Re), titolo al quale ambiva anche Menelik, questi era Johannes (Giovanni IV) e i due si fecero guerra. Il vincitore dopo aspra battaglia fu Johannes che come condizione di resa impose allo sconfitto Menelik che il Missionario fosse espulso dall’Etiopia (cioè proprio dall’intera area). In queste persecuzioni c’era sempre la Chiesa locale che mal sopportava la presenza cattolica in quelle terre. Ciò avvenne il 3 ottobre 1879.E’ opportuno ricordare che il titolo di Re dei Re (Negus Neghesti) si giocava soprattutto sul campo dove prevaleva il più forte per capacità numero di armati ecc. al vincitore gli altri facevano atto di sottomissione. La Stirpe Salomonide e quindi la discendenza, sono un mito. Il destino volle che il Missionario fosse alla corte di Menelik trovandosi quindi suo malgrado al centro di una lotta intestina oltre all’inimicizia della Chiesa ufficiale alla quale invece era sottomesso Giovanni (Johannes).
Ciò fu il volere di Johannes, non voleva ucciderlo per non avere problemi con le Potenze Europee ma gli impose di prendere la strada del Sudan sapendo che gli avrebbe lasciato poche speranze. Ma il Massaia seppur allo stremo delle forze e febbricitante percorse questa via, si portò ad Akin dove lo accolse la Compagnia Rubattino, la stessa che aveva acquistato i primi possedimenti ad Assab e dintorni, lo imbarcò e lo portò in Italia. Sostò quindi per un breve periodo in Medioriente, ma Leone XIII lo richiamò a Roma e gli disse di tenersi a disposizione perché aveva progetti per lui.
Ma siccome l’Italia liberale e le Società filomassoniche avevano preso a strumentalizzare il Missionario e la sua opera, scontrandosi anche con il Vaticano, il soggiorno a Roma era come una sua vigilanza, il Papa pretendeva che il Vescovo dovesse chiedere il permesso per uscire da Roma. Infatti in una sua lettera scrive esplicitamente: “senti, non posso venire a trovarti perché sono andato dal mio Guardiano (il Superiore dei Cappuccini) per prendere il “ benedicit” e mi ha detto di no: Lui chiamava anche il Papa il” suo Guardiano”, lo stesso Papa che però lo fece Cardinale.
(Sac. Novarese) Il Paese originario del Prelato, di cui abbiamo trattato, è Piovà d’Asti, dal 1939 denominato Piovà Massaia, proprio in suo onore; non sono in molti a visitare, per questo, il Paese ma tra essi spesso vengono qui i Reduci ed i Rimpatriati dall’Africa, dove hanno risieduto mostrando impegno e sacrificio. La loro Associazione ha infatti apposto una lapide marmorea all’ingresso del Paese in onore e a ricordo di questa bella figura. Ci siamo quindi ritrovati giusto il centenario dalla sua morte, per comporre il presente ricordo di questo Missionario: una tra le più belle figure italiane e piemontesi.