Le Comunità Indiane di Asmara e Addis Abeba

(Conseguentemente, una riconsiderazione su Gandhi)

 

add1 Vivevano senza dare nell’occhio, non si sa: quanti fossero, da quanto erano presenti, i loro movimenti migratori. Forse le Autorità erano consapevoli ma l’uomo della strada no. La cosa più appariscente era che le loro donne, nei loro colorati ed eleganti abiti non uscissero mai da sole, né in compagnia dei loro uomini ma sempre in crocchi di tre, quattro persone.

Si sapeva poi che gli Indiani cremassero i loro defunti ed il Crematorio, all’aperto era dentro un recinto che si costeggiava andando verso Massaua, sul lato sinistro in zona Biet Ghe(o)rghis, immerso nel verde degli eucalipti. Questa pratica funeraria, ancora poco nota, era usata solo da loro e li avvolgeva di un alone di esotismo e di mistero oltre che provocare un certo orrore.

Si trattava di persone che da rotte storiche arrivavano via mare, coi “sambuchi”, quindi da zone meridionali e marittime del loro grande continente. Erano dediti esclusivamente alle importazioni ed al commercio delle merci come: profumi, spezie, stoffe tipiche del loro Paese; commerci che esercitavano in piccolo botteghe solo all’interno del mercato indigeno dove risiedevano.add2

Dall’interno delle botteghe ammiccava sempre un sorriso di Gandhi perché tenevano, tutti, in bella mostra un suo ritratto. Noi ragazzi “impegnati” lo consideravamo, a causa della guerra appena conclusa, un nemico: ma il più autorevole e credibile tra i nostri nemici e per questo lo abbiamo sempre rispettato.

I loro rapporti con la zona se non estesi erano però molto antichi, alcuni portoni scolpiti dei più antichi palazzi di Massaua erano di provenienza indiana.

Durante l’occupazione inglese altri Indiani giunsero, ma questi erano del nord, erano Sikh, avevano combattuto e pagato un alto tributo di sangue, contro di noi. Molto gli Inglesi devono, per la vittoria, a questa Gente. Ma i Sikh erano di religione e di etnia diversa da quelli residenti e di fatto costituirono un’altra Comunità, tra l’altro militare.

Soldati per vocazione e per missione religiosa godevano della stima incondizionata del Comando Inglese che li pose a guardia del denaro contante che costituiva la riserva del Tesoro ed era custodita in un magazzino in via Carrara (interno) tra il Pastificio S.A.P.P.A. ed una birreria dove invece i soldati inglesi bianchi bevevano birra e mangiavano arachidi in gran quantità.

Alcuni ragazzini italiani ricordano che i Sikh non mostravano alcun risentimento nei nostri riguardi e che trovassero soddisfazione a cedere loro la cioccolata delle loro razioni.

Anche ad Addis Abeba viveva una Comunità Indiana con analoghe caratteristiche di quella di Asmara ma con un spessore economico più considerevole perché trattavano anche prodotti siderurgici ed erano fornitori quindi di grandi imprese.

Ho abitato a fianco ad alcuni di loro in un villette a schiera e, nel mio piccolo, sono stato loro cliente quando ho operato come costruttore. Corretti i rapporti, grande la stima intercorsa.

Non condividevano che, anche se raramente, andassi a caccia e di domenica e nel tempo libero mi illustravano i vantaggi del vegetarianismo e la dottrina Indù. Io poi dovevo mediare con gli altri vicini Italiani ai quali dava fastidio che al mattino questi Indiani si lavassero rumorosamente anche l’interno dello stomaco, al che ribattevano che erano più puliti di noi che ci lavavamo solo di fuori!

Queste conoscenze, il privilegio di aver passato metà della vita in quelle che furono le nostre Colonie, cioè in un crogiuolo di razze, religioni e culture diverse ci ha reso diversi dagli altri Italiani e, all’epoca, per molti aspetti più aperti e preparati. Per questo motivo chiedo a Mai Taclì la pubblicazione di una riconsiderazione di Gandhi perché in Patria c’è stata la creazione di un mito diverso da parte di persone con le quali il Mahatma non sarebbe stato nemmeno sotto lo stesso tetto:

 Che mondo sarebbe… (Brevi riflessioni sul Gandhi-Pensiero)

In un recente passato la Telecom, con una assidua campagna pubblicitaria televisiva, sfruttando l’immagine di Gandhi, concludeva i filmati chiedendosi come sarebbe stato il mondo se il Mahatma avesse potuto usufruire dei mezzi di comunicazione di massa odierni.

Non solo è discutibile l’uso dell’immagine di questo grande Uomo a fini commerciali, ma la mercificazione dell’immagine e del pensiero è anche fuorviante.

Un Capo che godendo, tuttora, di ammirazione e stima universale, veniva trasformato in una discutibile icona, in un mito artefatto.

Ma una cosa sono gli uomini veri e un’altra le creature mediatiche. Nel caso specifico non è facile capirlo e si incorre in errore se si giudica l’Uomo con la Mentalità Occidentale.

Gli Indiani, in genere, non accettano volentieri di essere osservati e giudicati da chi non appartiene alla storia ed alla civiltà di quell’antichissimo Paese.

Il progetto e l’azione di Gandhi fu quello di liberare L’India, dal dominio britannico, sin dagli anni venti e prima ancora, di affermare i diritti e la dignità degli Indiani in Sudafrica. Ma fu Nehru: socialista, progressista, pragmatico e laico, il politico che poi gestì questo processo.

La guida spirituale di Gandhi non mise in discussione che la Società fosse divisa in Caste, perché ciò deriva dai meriti o demeriti, acquisiti da ciascun individuo nelle vite passate; non solo quindi un fattore sociale o economico ma spirituale: azione e manifestazione del “Karma”.

Il Mahatma più volte affermò che il suo concetto di Stato-ideale era l’ordinamento di un Paese profondamente religioso senza: fabbriche, ferrovie, esercito, con pochi ospedali ed il minor numero possibile di medici ed avvocati e quella di questi ultimi era stata anche la sua professione. Impose a sé stesso la castità ed insistette come un cocciuto dittatore che la praticassero anche i suoi seguaci, ancorché molti fossero felicemente sposati.

Gandhi avversò le droghe, giungendo a considerare tali anche: alcool, tabacco, caffè ed il the. All’ epoca, in India, vigeva e vige tuttora, la pena capitale, tant’è che il suo attentatore ed assassino ed il complice furono impiccati.

Egli, a suo tempo, espresse approvazione per le opere del Fascismo, in particolare l’incentivazione al riscatto e le organizzazioni sociali e la considerazione, del Regime, verso l’infanzia e la gioventù. Ammirò in particolare l’Opera Balilla come riportato, con foto, da “La Stampa” di Torino in occasione della sua visita in Italia.

Che mondo sarebbe? Si domanda la pubblicità: probabilmente un mondo di Stati confessionali, teocratici, basati su rigide leggi morali, divisi in caste, ad economia agricola con scarso interesse verso la salute (fatalista, perché non è la vita terrena quella che conta!). 

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Una Società di individui casti e sobri, nei cui ordinamenti ci sarebbe la pena di morte ed un regime moderato, tollerante, rivolto agli umili ma per quanto mitigato, orientato verso un Socialismo Nazionale.

A chi piacerebbe? Penso a pochi! Gandhi quindi non fu un profeta disarmato, evitò lo scontro violento con gli Inglesi colonialisti ancora temibili seppur già perdenti ed il bagno di sangue, che invece seguì e segue tuttora, con la divisione dell’India e la nascita del Pakistan.


Non fu quindi un profeta disarmato sebbene abbia fatto la fine che ha fatto, e neanche un pacifista paragonabile a quelli nostrani. Fu un profeta moralmente armato ed il riferimento costante di una Grande Nazione in armi che presto svilupperà ambizioni nucleari e di conquiste spaziali conservando da sempre le caratteristiche di una “civitas” di carattere “arya”.

 

Rivalta di Torino lì 15 giu. ’15, immagini pubbliche tratte dalla Rete.

Cristoforo Barberi