Per Del Boca siamo “orchi”
Di Nadia Cucchi
La piacevole sensazione che provo ogniqualvolta inizio a sfogliare il MAI TACLI’, si è smorzata quando ho letto l’articolo del numero di ottobre relativamente a Del Boca. A quanto pare quest’uomo continua a mantenere vivido e intatto nel tempo il vizio di “vomitare” veleno sul colonialismo italiano e a sostenere reiteratamente che noi, in quel contesto storico, ci siamo distinti per i massacri, le violenze, il razzismo. Inaudito!
Siamo stati colpevoli di aver conquistato una terra che apparteneva ad altri, è vero, ma è un’onta che abbiamo ampiamente riscattato con le superbe opere che siamo riusciti a realizzare attraverso una massiccia profusione di beni nazionali e duro lavoro. Altro che colonialismo straccione, come lo definisce lui. Noi non abbiamo allungato la mano per chiedere o portar via, come hanno fatto altri Paesi colonialisti, noi ci siamo presentati a mani piene, abbiamo donato il nostro ingegno, la nostra fatica, il nostro sudore, la nostra abnegazione per creare condizioni di vita migliori, più accettabili. (Ed anche una valanga di denaro che lo Stato italiano ha speso. n.d.d.)
Che ne sanno Del Boca e gli altri come lui quanto abbiamo amato quella terra, quante attenzioni le abbiamo riservato, quanto l’abbiamo resa bella, quanto l’abbiamo arricchita, quale bene prezioso sia stata per noi e quanta sofferenza proviamo oggi sapendo che tutto ciò che abbiamo lasciato alle spalle è andato distrutto.
Perché egli non pone l’accento su aspetti come la solidarietà e la stima, se non addirittura la fratellanza, che instaurammo con quegli indigeni con cui condividemmo l’ambiente familiare e i luoghi di lavoro? Perché non enuncia gli insegnamenti che hanno tratto da noi? Perché non esalta le ragioni per cui essi si sentirono fieri di combattere e morire per la bandiera italiana? Perché non spiega i motivi per cui nella guerra del ’41, presso molte popolazioni locali non ebbero presa le sobillazioni inglesi contro di noi? Perché oggi ancora ci rimpiangono e noi siamo addolorati sapendo che sono afflitti da guerre e miseria?
Del Boca non sa che i nostri cuori sono tuttora pervasi dall’amarezza per il distacco da quella terra e non sa che per ciò che scrive e ciò che dice quell’amarezza diventa ancora più acre.
Quando lessi i quattro volumi che trattavano l’argomento rimasi costernata. Più leggevo e più intravedevo uno scenario dissomigliante a quanto avevo vissuto nell’infanzia e a quanto mio padre raccontava. Emergeva tra le righe un affresco mortificante di tutto l’eterogeneo mondo umano che, a partire dall’800, caratterizzò quella storia e che pare essersi contraddistinto soltanto per pressappochismo, dilettantismo, arrivismo, falsità, goffaggini, errori, crudeltà, fallimenti.
Del Boca tra i Caini pone tutti, a cominciare dai missionari. Punta il dito su ogni categoria, perfino su quella folta schiera di uomini che sulle strade di quel territorio lavorò duramente per emergere dalla miseria. Per lui e per gli altri, dei quali riporta i giudizi, i guadagni erano troppo elevati. Quelle paghe, seppure elevate come egli dice, non avrebbero potuto ripagare mai abbastanza l’immane fatica e i duri sacrifici di quella gente!
1954 - Difficoltà sulla pista Addis Abeba-Gore
1954 - Guado del fiume Gabba.
Si trattava di un territorio pressoché inaccessibile, ostile, impervio; non per nulla il cardinal Massaja affermò che era più semplice andare in paradiso che raggiungere quei paesi… Perché non correlare allora i costi della manodopera a tali aspetti? Fu una passeggiata, secondo lui, costruire la ferrovia Massaua-Asmara su quelle pendenze paurose?
Lo fu, forse per realizzare i chilometri e chilometri di teleferica in quell’arditissimo tracciato? E che dire per la costruzione delle vie di comunicazione? Non fu certo uno scherzo scavare le pareti dell’Uolchefit, del Termaber, aprirsi un varco nelle ripide gole del Mai Amara, dell’Amba Alagi, dell’Amba Madre o penetrare nell’infuocato deserto dancalo.
Ma c’è un’altra categoria di lavoratori su cui Del Boca orienta ancora l’attenzione, è la specie eroica di cui faceva parte mio padre: i camionisti. Anche in questo caso egli reputa che i guadagni fossero esagerati, anzi li definisce favolosi e con mirata negatività, afferma che per qualcuno si trattava di “pescecanismo che permetteva di vivere di rendita”.
Non mi risulta che mio padre, col 634 acquistato con grossi sacrifici, sia vissuto da nababbo! Mi risulta, invece, che egli logorò il fisico, la mente e il cuore per le angosce e le fatiche immani derivanti da quei viaggi. Peripezie inimmaginabili, situazioni incredibili, imprese disperate, incertezze, paure, solitudine, perenni lotte contro il tempo, pericoli, rischi….. le mani strette a quel volante comportavano tutto questo: un logorio estenuante che non aveva prezzo!
Del Boca definisce i camionisti personaggi da “western africano” e ai lettori li descrive così: “Battono le strade imperiali, il frusto cappellaccio di feltro calcato in testa, il fiasco di vino a portata di mano insieme alla pistola per difendersi dagli shifta…” Li fa apparire come una sorta di avventurieri ubriaconi.
Egli non sa che per condurre gli enormi 634 stracarichi di materiali su quelle strade infami, con le ruote a filo sui precipizi non era possibile bere neppure una goccia del vino di quei fiaschi! Permettetemi di affermare che i camionisti erano uomini speciali. Uomini liberi, forti e coraggiosi. Uomini che conoscevano il vero senso della vita, dell’amicizia, della fratellanza.
Ho letto recentemente su un giornale che Del Boca da tempo cerca di proporre una giornata della memoria per ricordare le vittime del colonialismo italiano.
Vogliamo anche noi proporre una giornata in memoria dei nostri caduti di Cheren, Amba Alagi, Dessiè, Gondar…… ? Non credo che potremmo riuscirci perché in questa nostra cara Italia ci sono i morti in guerra di serie A da ricordare e quelli di serie B da dimenticare!
I caduti in Africa orientale fanno parte di quest’ultima categoria!
Volete aggiornarvi sulle nostre nefandezze in terra africana? In libreria è apparso l’ultimo “parto” di Del Boca sull’argomento. Io non l’ho letto, né lo farò.
Nadia Cucchi