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CORRISPONDENZA 7 |
03/06/2013 10:40 #18186
da wania
[justify]No mai più! ciao [/justify]
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03/06/2013 10:29 #18185
da Agau-del-Semien
Cara Wania, non sono risentito, se lo fossi non sarei la persona che sono e credo di essere.
Come abbiamo avuto modo di dire, qui siamo prima tutti Amici Asmarini ( utilizzato come voleva il nostro Marcello), quindi non più argomenti che possono o potrebbero creare malintesi.
Agau
Come abbiamo avuto modo di dire, qui siamo prima tutti Amici Asmarini ( utilizzato come voleva il nostro Marcello), quindi non più argomenti che possono o potrebbero creare malintesi.
Agau
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03/06/2013 10:08 - 03/06/2013 10:34 #18183
da Narrante
Due punti non dovrebbero essere in discussione: la moderna tratta degli schiavi tra la Libia e l’isola di Lampedusa va interrotta; non per questo i naufraghi che sfuggono al pattugliamento, chiunque siano, possono essere lasciati morire in mare.
La storia della tragedia del Canale di Sicilia è ancora da scrivere; di certo emergono— e non per la prima volta— pesanti responsabilità della Marina Maltese.
C’è però un aspetto ineludibile, che ci riguarda. Se c’è un popolo che noi italiani abbiamo il dovere storico e morale di soccorrere, è il popolo eritreo.
Perché della storia e dell’identità italiana, di cui finalmente si discute senza pregiudizi, gli eritrei fanno parte da oltre un secolo; così come noi apparteniamo alla loro, al punto da averla plasmata.
Il nome stesso — Mar Eritreo era per i greci il Mar Rosso—fu suggerito a Francesco Crispi da Carlo Dossi, capofila della scapigliatura lombarda e collaboratore dello statista siciliano.
Ma l’Eritrea è se possibile qualcosa di più della prima colonia italiana; senza l’intervento del nostro esercito e della nostra amministrazione, forse non sarebbe mai esistita come unità politica e culturale, e le tribù che abitavano l’altopiano sarebbero rimaste per sempre alla mercé dell’impero abissino.
Proprio questo legame particolarissimo consentì agli eritrei di godere solo dell’aspetto positivo del colonialismo — il centro dell’Asmara è una vetrina dell’architettura italiana della prima metà del Novecento, mentre la ferrovia Massaua-Asmara fu distrutta dai bombardamenti etiopici durante la lunga guerra di liberazione —, e di evitare le pagine nere, dalla repressione in Libia ai bombardamenti sull’Etiopia.
Ma è soprattutto la fratellanza d’armi ad aver coniato tra i due popoli un vincolo di solidarietà, che in questi giorni dovrebbe morderci la coscienza.
I prigionieri di Adua, cui il negus fece tagliare il piede destro e la mano sinistra in quanto sudditi ribelli, rei di aver combattuto accanto agli italiani. I centinaia di militi ignoti sepolti nel cimitero di guerra di Cheren, dove avevano resistito agli attacchi britannici.
Il libro di Montanelli, intitolato appunto XX battaglione eritreo.
Il sacrificio di migliaia di ascari, da quelli del 1896 ai loro nipoti che ancora dopo la resa del Duca d’Aosta all’Amba Alagi continuarono a combattere nelle bande irregolari di Amedeo Guillet, l’ultimo eroe d’Africa.
E la traccia che di tutto questo è rimasta nella cultura collettiva: gli acquerelli di Caccia Dominioni, i fez rossi sulle copertine della Domenica del Corriere, le fotografie degli sciumbasci — gli ufficiali indigeni — in gita premio nella Roma del 1912, accolti alla stazione Termini dalla folla entusiasta (e rivisti nella recente mostra al Vittoriano).
Una memoria che non va confusa con le disavventure del regime fascista, ma affonda le sue radici nell’Italia risorgimentale e porta frutti ancora oggi.
Basta sbarcare all’Asmara per toccare con mano il profondo legame che ancora unisce gli eritrei all’Italia, dai caffè ai modi di dire, dall’urbanistica alla toponomastica, che celebra nomi in Italia dimenticati, i testimoni antichi del nostro mal d’Africa cui erano dedicati i battaglioni eritrei: il primo, contrassegnato dal colore rosso, intitolato a Turitto; il secondo, azzurro, a Hidalgo; il terzo, cremisi, a Galliano; il quarto, nero, a Toselli.
Da quasi vent’anni, come ha documentato sul Corriere Massimo A. Alberizzi, l’Eritrea è schiacciata dal tallone di Afeworki, l’uomo che parve un liberatore e si è rivelato un aguzzino del suo popolo, sfiancato da una guerra impari con l’Etiopia.
È normale che, alla ricerca di un Paese d’asilo, gli eritrei guardino all’Italia, dove già vive una comunità molto attiva.
L'ex colonia e i nostri doveri di dare asilo
Due punti non dovrebbero essere in discussione: la moderna tratta degli schiavi tra la Libia e l’isola di Lampedusa va interrotta; non per questo i naufraghi che sfuggono al pattugliamento, chiunque siano, possono essere lasciati morire in mare.
La storia della tragedia del Canale di Sicilia è ancora da scrivere; di certo emergono— e non per la prima volta— pesanti responsabilità della Marina Maltese.
C’è però un aspetto ineludibile, che ci riguarda. Se c’è un popolo che noi italiani abbiamo il dovere storico e morale di soccorrere, è il popolo eritreo.
Perché della storia e dell’identità italiana, di cui finalmente si discute senza pregiudizi, gli eritrei fanno parte da oltre un secolo; così come noi apparteniamo alla loro, al punto da averla plasmata.
Il nome stesso — Mar Eritreo era per i greci il Mar Rosso—fu suggerito a Francesco Crispi da Carlo Dossi, capofila della scapigliatura lombarda e collaboratore dello statista siciliano.
Ma l’Eritrea è se possibile qualcosa di più della prima colonia italiana; senza l’intervento del nostro esercito e della nostra amministrazione, forse non sarebbe mai esistita come unità politica e culturale, e le tribù che abitavano l’altopiano sarebbero rimaste per sempre alla mercé dell’impero abissino.
Proprio questo legame particolarissimo consentì agli eritrei di godere solo dell’aspetto positivo del colonialismo — il centro dell’Asmara è una vetrina dell’architettura italiana della prima metà del Novecento, mentre la ferrovia Massaua-Asmara fu distrutta dai bombardamenti etiopici durante la lunga guerra di liberazione —, e di evitare le pagine nere, dalla repressione in Libia ai bombardamenti sull’Etiopia.
Ma è soprattutto la fratellanza d’armi ad aver coniato tra i due popoli un vincolo di solidarietà, che in questi giorni dovrebbe morderci la coscienza.
I prigionieri di Adua, cui il negus fece tagliare il piede destro e la mano sinistra in quanto sudditi ribelli, rei di aver combattuto accanto agli italiani. I centinaia di militi ignoti sepolti nel cimitero di guerra di Cheren, dove avevano resistito agli attacchi britannici.
Il libro di Montanelli, intitolato appunto XX battaglione eritreo.
Il sacrificio di migliaia di ascari, da quelli del 1896 ai loro nipoti che ancora dopo la resa del Duca d’Aosta all’Amba Alagi continuarono a combattere nelle bande irregolari di Amedeo Guillet, l’ultimo eroe d’Africa.
E la traccia che di tutto questo è rimasta nella cultura collettiva: gli acquerelli di Caccia Dominioni, i fez rossi sulle copertine della Domenica del Corriere, le fotografie degli sciumbasci — gli ufficiali indigeni — in gita premio nella Roma del 1912, accolti alla stazione Termini dalla folla entusiasta (e rivisti nella recente mostra al Vittoriano).
Una memoria che non va confusa con le disavventure del regime fascista, ma affonda le sue radici nell’Italia risorgimentale e porta frutti ancora oggi.
Basta sbarcare all’Asmara per toccare con mano il profondo legame che ancora unisce gli eritrei all’Italia, dai caffè ai modi di dire, dall’urbanistica alla toponomastica, che celebra nomi in Italia dimenticati, i testimoni antichi del nostro mal d’Africa cui erano dedicati i battaglioni eritrei: il primo, contrassegnato dal colore rosso, intitolato a Turitto; il secondo, azzurro, a Hidalgo; il terzo, cremisi, a Galliano; il quarto, nero, a Toselli.
Da quasi vent’anni, come ha documentato sul Corriere Massimo A. Alberizzi, l’Eritrea è schiacciata dal tallone di Afeworki, l’uomo che parve un liberatore e si è rivelato un aguzzino del suo popolo, sfiancato da una guerra impari con l’Etiopia.
È normale che, alla ricerca di un Paese d’asilo, gli eritrei guardino all’Italia, dove già vive una comunità molto attiva.
Ultima Modifica: 03/06/2013 10:34 da Narrante.
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03/06/2013 09:52 #18182
da wania
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Riduci
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03/06/2013 09:36 #18181
da Agau-del-Semien
Caro Narrator Cortese,
avremo occasione di approfondire l'argomento in altra sede......qui, io, non tocco più l'argomento, non volermene.
un abbraccio asmarino.
agau
avremo occasione di approfondire l'argomento in altra sede......qui, io, non tocco più l'argomento, non volermene.
un abbraccio asmarino.
agau
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03/06/2013 09:05 - 03/06/2013 09:16 #18180
da Narrante
Wania l'onore e l'onere di dar vita alla prossima Corrispondenza8 spetta a te!
Per giusto diritto acquisito, per l'impegno e le energie che continui a profondere.
Inoltre, essendo la tua presenza più assidua, saresti pronta per l'inaugurazione allo...scattar della 500a pagina...
Che "Messer" Merlo sia tornato a frequentare la tua terrazza è senz'altro buon segno in quanto non si è dimenticato!
Vedrai che pian pianino, constatando che le grandi manovre sono terminate, riprenderà le sue frequentazioni e potrebbe tornare con una compagna per tessere insieme un bel...merletto
Caro Agau: Tornando all'argomento "Eritrea-Etiopia-Abissina" mi piace ricordare una sola cosa: Il nome Eritrea fu dato dagli italiani nel 1890 previ accordi con l'Etiopia che acconsentirono agli italiani di restare in quei determinati confini. Anche in virtù del fatto che quel territorio, in passato, fu sotto il dominio, ottomano, egiziano, portoghese...
Il nome Eritrea venne quindi accettato a livello internazionale e ripreso dopo la guerra di liberazione dall'Etiopia che l'aveva annessa a tutti gli effetti sia amministrativi che politici.
Quindi per noi Italiani, senza guardare all'antico, posiamo dire a giusta ragione di averla fondata noi e di averla attrezzata con strade, ferrovie, teleferiche, acquedotti, ospedali, scuole.
Quest'opera di fondazione operata dai nostri padri e infine da noi stessi è cosa che ci rende orgogliosi e che ha fatto nascere in noi quell'enorme affetto di cui ne dobbiamo andare fieri e che è giusto ricordare a...prescindere...
Riporto qui di seguito un link che riepiloga quanto detto sopra:-
Per giusto diritto acquisito, per l'impegno e le energie che continui a profondere.
Inoltre, essendo la tua presenza più assidua, saresti pronta per l'inaugurazione allo...scattar della 500a pagina...
Che "Messer" Merlo sia tornato a frequentare la tua terrazza è senz'altro buon segno in quanto non si è dimenticato!
Vedrai che pian pianino, constatando che le grandi manovre sono terminate, riprenderà le sue frequentazioni e potrebbe tornare con una compagna per tessere insieme un bel...merletto
Caro Agau: Tornando all'argomento "Eritrea-Etiopia-Abissina" mi piace ricordare una sola cosa: Il nome Eritrea fu dato dagli italiani nel 1890 previ accordi con l'Etiopia che acconsentirono agli italiani di restare in quei determinati confini. Anche in virtù del fatto che quel territorio, in passato, fu sotto il dominio, ottomano, egiziano, portoghese...
Il nome Eritrea venne quindi accettato a livello internazionale e ripreso dopo la guerra di liberazione dall'Etiopia che l'aveva annessa a tutti gli effetti sia amministrativi che politici.
Quindi per noi Italiani, senza guardare all'antico, posiamo dire a giusta ragione di averla fondata noi e di averla attrezzata con strade, ferrovie, teleferiche, acquedotti, ospedali, scuole.
Quest'opera di fondazione operata dai nostri padri e infine da noi stessi è cosa che ci rende orgogliosi e che ha fatto nascere in noi quell'enorme affetto di cui ne dobbiamo andare fieri e che è giusto ricordare a...prescindere...
Riporto qui di seguito un link che riepiloga quanto detto sopra:-
Ultima Modifica: 03/06/2013 09:16 da Narrante.
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