Confini Eritrea Etiopia, dove finisce l'una e comincia l'altra?
La questione confinaria fra Eritrea ed Etiopia trae le sue origini dalle attività del governo italiano nel periodo coloniale. In quel periodo si succedettero vari trattati fra la Colonia Eritrea e l’Etiopia: il trattato del 1900, il trattato del 1902 e il trattato del 1908. Va detto che l’amministrazione coloniale italiana pur avendo pubblicato dettagliatissime carte della Colonia aveva la tendenza a interpretare i trattati a proprio favore profittando della lontananza e della scarsa influenza del governo centrale etiopico nelle aree periferiche.
Comunque tutta la documentazione relativa ai confini era di volta in volta registrata presso La Società delle Nazioni dove assumeva valore legale.
L’Eritrea ebbe un primo confronto relativo ai confini quando nel 1993 apri una controversia con lo Yemen per il possesso delle isole Hanish che pure risultavano facenti parte dei possedimenti coloniali italiani. In quel caso però la Commissione Arbitrale dell’Aia chiamata a dirimere la questione non ritenne sufficientemente regolari i documenti italiani e nel 1998 assegnò i diritti di possesso delle isole allo Yemen. L’Eritrea accettò il verdetto e restituì le Hanish.
Nel 2000, dopo una disastrosa guerra durata due anni, in osservanza dei Patti di Algeri viene nominata la Boundary Commission deputata ad emettere un verdetto finale e immodificabile sui confini con l’Etiopia. La commissione prese nuovamente in considerazione i documenti di epoca coloniale e dopo aver esaminato le istanze presentate da Eritrea ed Etiopia accolse sostanzialmente le richieste eritree concedendogli le aree di Badme, Zalambesa e altre, limitandosi a correggere a favore dell’Etiopia errori cartografici presenti principalmente nell’area della Dankalia.
Gli accordi di Algeri prevedevano anche la deposizione fisica di pilastrini di riferimento lungo il confine così come determinato dalla Commissione Confini, ma l’opposizione dell’Etiopia che non ha mai accettato il verdetto ancorche finale e immodificabile, ha costretto la Commissione a delimitare i confini con capisaldi satellitari dello stesso tipo di quelli in uso per i confini sui mari, sui laghi o su montagne impervie. Le mappe contenenti tutti dati necessari all’individuazione dei limiti confinari, furono poi recapitate ai governi di Eritrea ed Etiopia, alle Nazioni Unite e a quegli organismi internazionali legalmente titolati. Fatto questo, ritenendo concluso il mandato, la Commissione Confini si sciolse.
Questa azione ha definitivamente chiuso legalmente la controversia confinaria che era alla base del conflitto 1998-2000, lasciando però inalterata la questione del mancato ritiro da parte dell’Etiopia delle truppe che continuano a occupare territori assegnati all’Eritrea e quindi sovrani. Risulta anche sconcertante la mancata applicazione nel confronti dell’Etiopia delle pene previste dagli accordi di Algeri a carico degli inadempienti.
L’Eritrea fermamente decisa a rimanere entro i limiti della legalità avendo aderito al meccanismo democratico dell’arbitrato internazionale convinta che solo in questo ambito si possano risolvere i problemi evitando inutili ecatombe umane, ancora oggi attende giustizia e sopporta gli oneri enormi di un servizio militare tanto estenuante quanto indispensabile alla luce della sua condizione precaria di “Non guerra, non pace”.
E singolare anche che nessuno dei firmatari dei Patti di Algeri come testimone e garante, abbia preso posizione a favore dell’Eritrea che nella questione è parte lesa, arrivando addirittura a votare ingiuste sanzioni economiche a carico di un paese che è vittima sacrificale di un sistema che delega alle superpotenze mondiali il compito di giudice.
feb. '16 Stefano Pettini