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"A proposito delle classificazioni dei terreni agricoli e dei metodi tradizionali di assegnazione così come sono stati descritti daAgau del Semien, anche su f-b. riprendiamo gli stessi argomenti a suo tempo trattati da Cristoforo Barberi. Si può fare così un confronto o integrare l'argomento altrimenti poco conosciuto.
Eritrea nostra: Del regime dei suoli.
(1889-1949)
L’atavico Catasto indigeno di tradizione abissina divideva il territorio, di questa area geografica,in quattro classi:A) Samhar,B) Quolla,C) Voina Degà,D)Degà.
Si trattava di un Catasto “di fatto”, basato non sulla conservazione di atti o mappe ma basato sulla tradizione, sui ricordi, che sanciva vincoli indiscutibili ed era controllato dal Capo Paese(Ciccà) e dal Consiglio degli Anziani (Sciumagallè); era stato accettato e rispettato, in ogni epoca, dalle Autorità Superiori e dalla Chiesa.
Il criterio della suddivisione era quello riferito alla densità della popolazione, alle caratteristiche etnografiche: stabili o nomadi, alla religioni: cristiani, musulmani, ma sostanzialmente oggi capiamo che gli stanziamenti e le caratteristiche delle popolazioni erano determinate dall’orografia dei terreni e dall’altitudine di questi rispetto al livello del mare, quindi dal clima, che consentivano una agricoltura stabile o solo varie forme di pastorizia.
Infatti i terreni Samhar andavano dal livello del mare ai seicento metri circa di altitudine,i terreni Quollà dai seicento ai mille settecento circa, i Voinà Degà dai mille settecento ai duemila quattrocento circa ed infine, i terreni Degà oltre la quota dei duemila quattrocento. Naturalmente anche le caratteristiche della vegetazione spontanea erano diverse e caratterizzavano chiaramente questa classificazione, così come, le precipitazioni e la struttura fisica del terreno
A) I terreni Samhar erano costituiti dalle coste, dalle isole del Mar Rosso erano di scarso o nullo valore per l’agricoltura ma sopravvivevano forme di pastorizia o di allevamento allo stato brado. Sono inclusi in questa classe anche la pianura della Dancalia, desertica ed i Bassopiani eritrei: quello Orientale e quello Occidentale.
Queste terre caratterizzate da un clima molto caldo non suscitavano allora nessun interesse per gli Abissini, li chiamo ancora così perché parliamo di epoche sino a Menelik, da un punto di vista di insediamenti stabili agricoli. Erano terreni aridi, spesso malarici e servivano solo per le loro razzie perché abitati da gente più umile ma che comunque praticava la pastorizia anche se allo stato brado, numerosi i dromedari e gli ovini.
Le zone poi al confine con il Sudan fornivano, all’epoca, anche gli schiavi. Le popolazioni, nomadi, erano di religione islamica ad est ed islamica ed animista ad ovest, delle Pendici che le separavano.
Gli Italiani invece capirono che le terre dei Bassopiani erano molto fertili, perché vergini e che il problema era solo quello di irrigarle e prendere precauzioni, per quanto possibile contro la malaria. Iniziarono così le opere per irrigare le zone ad est delle pendici di: Uachiro, Emberemi e Zula ciascuna di tremila ettari e gli studi per ampliarle. Ma altre centinaia di ettari sono stati resi coltivabili durante e subito dopa la Seconda Guerra e con capitali privati da Chiarli, Ziino e Fava, tanto per citare i maggiori.
I principali studi per irrigare quelle terre furono eseguiti dagli ingegneri: Cavagnari, Omodeo, Gioli e Bruna il cui sogno era di riutilizzare le acque impiegate dalle centrali elettriche dell’Altopiano.
Nel Bassopiano Occidentale sorse sin dal 1923, il grande comprensorio di Tessenei, su terreni disabitati irrigati da un bacino creato nel letto del fiume Gasc capace di produrre, a pieno sviluppo, raggiunto a partire dal 1935,oltre trecento tonnellate di cotone all’anno di cui oltre quaranta prodotti da indigeni compartecipi a mezzadria nella zona del Setit ed oltre ottocento tonnellate di durra oltre ad ottanta di gomma.
Si sperimentò, in zona, la coltura di varie essenze ricavandone ogni anno qualche quintale, tra le principali l’andropogono.
A questa grande iniziativa si deve anche il coinvolgimento dei nativi, l’aver fornito loro competenze e tecnologie altrimenti sconosciute; aver fornito loro un lavoro ordinato e sicuro. Si eliminò in breve l’istinto, la tradizione e la necessità della razzia cui quelle terre erano soggette; rendendo i Nativi partecipi quali mezzadri si è andato consolidando quell’ agglomerato sociale nel quale è possibile ravvisare il primo nucleo di una vera e propria popolazione di Tessenei.
Anche la Concessione De Ponti che si trovava poco prima di giungere ad Agordat è un esempio di splendida colonizzazione alla quale molte altre a capitale privato, seguirono creando sempre un miglior tenore di vita per tutti.
B) Quollà: in questa classe erano inclusi i terreni delle pendici: orientali e occidentali. Queste ultime meno considerate perché la terra è povera, le precipitazioni scarse, non esistono torrenti sui quali poter fare affidamento erano e restavano una splendida riserva di animali selvatici tra i quali primeggiava la rara e splendida “agazien” (cudù maggiore).
Le Pendici Orientali erano invece ricoperte da zone boscose, zone fertili in avvallamenti più praticabili e coltivate dagli Abissini solo nelle zone più alte perché più salubri per l’uomo e per il bestiame. Godevano di buone precipitazioni invernali e non erano rari i posti d’acqua e le fonti perenni (ad una delle quali si ispira il nome del nostro Giornale).
In questa zona il nostro Governo intravide una possibilità di sviluppo ed inaugurò tre stazioni sperimentali a Fil-Fil, Merara e Faghenà Le caratteristiche sub-tropicali ci spinsero a coltivare: caffè, gomma, agrumi, cincona, kapoc ecc. Migliaia e migliaia furono le piantine distribuite a tutti i coltivatori dando le stesse possibilità ad Italiani e Nativi che intendevano insediarsi.
Venne costruita la strada, opere di raccolta ed irrigazione, incentivato l’insediamento stabile di edifici in muratura. Nel 1940 erano centodieci le Concessioni dei Nativi di circa venti ettari l’una ed un numero minore quelle degli Italiani dai quali però spesso i primi traevano benefici per la collaborazione che si era instaurata.
C) Voina Degà, la zona delle terre più coltivate dell’altopiano, zona densamente abitata da Cristiani dell’antico ceppo degli Abissini, posseduta e protetta secondo le loro antiche tradizioni e secondo queste suddivisa nelle sotto-classi: 1)”Restì” 2)”Medri Uorkì” 3)”Dessà o Schehenà” 4)“Medrì Negus” 5)”Gultì”.
Queste terre costituivano la vera ossatura di una economia locale tradizionale, seppur povera. Non esistevano colture arboree né opere di irrigazione ma il clima mite e le precipitazioni, anche se scarse, consentivano due raccolti all’anno di vari cereali e legumi. I pascoli ed il clima salubre consentivano un allevamento stabile.
1) Restì, venivano così classificati i terreni di proprietà privata di una singola persona, di una famiglia o di una collettività. Veniva acquisita per occupazione pacifica o per conquista o per assegnazione per merito, da parte del Negus. Appartenevano a questa classificazione ma erano sempre di proprietà collettiva: le chiese, i sagrati, il piazzale per le riunioni e per la giustizia, i depositi per la paglia ed i foraggi, i mercati.
2) Medri Uorkì,venivano così classificati i terreni già in proprietà Restì a seguito di passaggio per compra-vendita in moneta.
3) Dessà o Schehenà,appartenevano a questa classe i terreni comuni o di godimento collettivo costituito anche per volontà privata che potevano anche esser assegnati,per sorteggio, in lotti a singoli, per la durata di cinque,sette anni ma consentendo così il riposo delle terre, la formazione dei pascoli o la salvaguardia dei boschi.
4) Medri Negus,vere e proprie terre demaniali a carattere di latifondo alle quali venivano aggregate quelle confiscate dall’Autorità per ribellione o fellonia degli abitanti, per insolvenza fiscale, per abbandono da parte degli aventi diritto o quei pascoli necessari alle truppe. Ma anche queste potevano essere assegnate a singoli o famiglie su parere degli Anziani e dietro la corresponsione di un tributo.
5) Gultì, terre in assegnazione per meriti e trasmissibile agli eredi, e da parte del Negus, di grandi dimensioni costituivano di fatto l’instaurazione di un feudo ove l’assegnatario “Gultegnà” pagava in blocco i tributi all’au- torità costituita rifacendosi poi sulla popolazione soggetta imponendo: tasse, tributi o corvè. La sotto-classe Gultì era definita “gultì zadcan” o “medri felassì” quando l’assegnazione era data alla Chiesa: un esempio a noi tutti noto la proprietà al Convento del Bizen, del massiccio montuoso sul quale si trova.
Il catasto che gli Italiani instaurarono aveva caratteristiche europee ed era di origine napoleonica, ma al riguardo della proprietà mai sostituì o si sovrappose a quello, atavico, abissino né ha regolamento nulla, in quelle zone ove questo era vigente.
Mi piace concludere con le testuali parole di G. De Ponti vergate in calce alla sua relazione sull’agricoltura, nero su bianco, in epoca molto travagliata ed a noi avversa, ma mai e da alcuno smentite:
“Il Governo Italiano che intendeva lasciare ai Nativi le terre che coltivavano e non farne oggetto di conquista rispettò essenzialmente le forme di godimento collettivo,… specialmente nelle zone popolose dell’Altopiano.
Poiché però la ripartizione periodica… dà luogo a non lievi inconvenienti… perché la proprietà assoluta del terreno non è sua (dell’assegnatario), mentre è suo il bestiame sul terreno, che viene in tal modo più sfruttato e impoverito.”
Inoltre mi permetto di aggiungere che le assegnazioni del Capo Paese o l’operato degli Anziani era anche discrezionale quindi discutibile e fonte di contestazioni, per questo in passato, sul nostro Giornale ho descritto la funzione del Commissariato dell’Hamasien, il più importante tra quelli da noi Italiani costituito, per regolare le norme rurali e degli Zaptiè per farle rispettare; ordinamento che nemmeno gli Inglesi osarono mettere in discussione durante il periodo della loro occupazione.
D) Infine le terre classificate Dega quelle di alta montagna collocate, abbiamo visto, sopra quota duemila e quattrocento, che si collocano nella regione Akeleguzay. Questi terreni non avevano valore ai fini dell’agricoltura perché il clima è freddo, il terreno arido e roccioso e la zona disabitata.
Rivalta di Torino lì 2 dicembre 2011
Cristoforo Barberi
Dati fondamentali desunti dalla relazione:” L’Agricoltura in Eritrea” di G. De Ponti, pubblicata sulla rivista: Eritrea 1949 (numero unico). Edita dalla Tipografia Francescana Asmara,22 Set. 1949.
Si ringrazia la Fam. Mazzoleni di Seriate depositaria del Testo.