1939: mercato del pesce, mattina

 Abbassa la tua radio per favore... se vuoi sentire i palpiti del mio cuoreee...” dice così una bellissima canzone dalla musica che rimane subito nella testa e la sanno tutti: la suonano alla radio e a casa abbiamo anche il disco: bisogna caricare il grammofono con la manovella (però il nostro non ha il trombone giallo e luccicante come quello che sta in casa di nonno ) che fa arrotolare una molla che fa girare, srotolandosi, il grande piatto di velluto blu sul quale, chi di manovra, ha appoggiato il disco che, graffiato dalla puntina che…che che! Che non capisco niente, sento solo che da quel mobile esce questa meravigliosa melodia e la voce di un signore che mi sembra si chiami  Alberto Rabagliati…. Poi la cantano tutti. La fischiano… ecco, ora la sta proprio fischiando qualcuno….

  I battiti del mio cuore li sento alti e confusi in questo momento, mano stretta nella mano di mamma mentre, lucidi e colorati, gli occhi spalancati, le bocche aperte come cantassero in coro tutti la stessa nota, decine di pesci allineati sul marmo bianco dell’alto bancone del mercato del pesce, mi guardano, ma forse non stanno cantando, forse chiamano aiuto, mi chiedono di aiutarli a tornare a Massaua, nel mare dove avevano la loro casa, o solo di infilarli alla svelta in questi bassi catini di alluminio grigiastro ricolmi di acqua dove gli uomini dal camice bianco ( si, è proprio uno di loro che sta fischiando), li sciacquano prima di cominciare a pulirli delle lische, per poi “smontarli” nel modo richiesto dalla signora che li ha scelti, chiedendo immancabilmente: “Sono freschi?”, e lui, l’uomo con il grembiule macchiato di sangue e la papalina in testa o il turbante, la rassicura che si, sono appena arrivati da Massaua: è venerdì oggi, no? Sono tante signore che parlano, che chiedono, che additano gli uomini in camice candido al dilà di questi banchi pronti a servirle. E’ un grande vociare, domande e risposte a voce quasi strillata perché ci si capisca, alza il tono anche chi non è presso i banconi, che sta solo scambiando chiacchiere ( e pettegolezzi? ) nell’attesa.

 

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2003: L’ufficio postale è sempre uguale...

 

  C’è un ragazzo con un grembiule bianco sopra la giallabia e un voluminoso turbante che in continuazione riempie un  secchio di acqua e la distribuisce sui secchi in bella mostra che fanno quasi un tappeto tanti sono, sui banchi; e l’acqua scivola su di loro e li fa più colorati e brillanti, poi scende sul marmo bianco dei banchi appena in discesa verso di noi dove, proprio sul bordo, un piccolo incavo che corre lungo tutta la superficie, la raccoglie e la rimanda, forse per una minuscola grondaia, giù nelle fogne. Oh! Mi sembra che le bestie abbiano un guizzo, un piccolissimo palpito di vita, come il cuore della canzone…. ma lo so che sono morti anche se il sole che prepotente trafigge i vetri delle importanti finestre che corrono lassù tutte intorno appena giù dal soffitto e ancora infila i raggi come fossero frecce appuntite a bucare gli oblò sopra le porte d’ingresso, li fa proprio sembrare vivissimi, splendono le lische sfumate di teneri colori come i lustrini dei vestiti delle ballerine di Totò, quelle che ballano come fate al cinema teatro Augustus… ma lì ci si diverte e qui è una grande tristezza. Non voglio più guardare.

E anche all’ufficio postale dove andiamo a impostare le cartoline di auguri per Natale a parenti e amici che sono in Italia, il sole gioca attraverso gli oblò in alto vicino al soffitto: sembrano le rotelle che stanno sui telefoni per fare il numero e chiamare chi vuoi perché intorno al vetro centrale ci sono tanti tondini, tanti, non riesco mai a contarli perché con la faccia alzata mi gira un po’ la testa e mi abbaglia il sole che anche qui accende il lucernario che forma l’intero soffitto illuminando tutto l’ambiente come si fosse all’aperto. I buchi sono…. dieci, undici, dodici!  Oggi sono riuscita a contarli: sono dodici!

Ora mi piacerebbe infilarmi sotto il tavolo nel mezzo della grande sala per passare attraverso i cerchi che gli fanno da gambe, ma non si può fare, sul piano inclinato dai due lati lunghi, all’altezza dei gomiti di uomini e donne che, in piedi, stanno scrivendo le loro cartoline o i telegrammi o le lettere a Gesù Bambino, a Babbo Natale e non si possono proprio disturbare…… Però c’è un signore elegante, baffi

fini e neri, cappello, gemelli d’oro alle maniche della camicia che spuntano da quelle della giacca marrone, che fischia la canzone di abbassare la radio, fischia piano certo, e forse lo sento solo io che lo sto osservando; se ne accorge, senza alzare neppure la testa, che io sono più bassa del tavolo, mi fa l’occhietto. Oh!  Forse arrossisco: è gentile oltre che intonato. E’ simpatico, chissà chi è.

   E’ proprio un amico di papà e si chiama Enrico. Lo troviamo stasera al Ristorante-Bar Croce del Sud quando andiamo a prendere un gelato perché oggi è domenica ed è un’abitudine. La domenica non si balla qui né ci sono i concerti jazz e neppure il comico che si chiama Guglielmi: c’è solo l’orchestra che suona nella sala e che si sente anche dalla strada e…. proprio adesso stanno cantando la stessa canzone “…..se vuoi sentire i palpiti del mio cuore…”

  

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2003 Venerdì - Mercato del pesce: ci sono gli uomini

con i grembiuli bianchi, i turbannti... e raggi del sole

e i catini... non ci sono più i pesci e le signore...

 

  Enrico è ancora più elegante di venerdì alla posta, elegante come papà, come mamma, come tutti i signori e le signore che riempiono il locale: mi strizza ancora l’occhio quando mi vede, mi ha riconosciuta! Scegliamo il gelato e usciamo in strada con i nostri coni dolcissimi: la luna è immensa anche se a momenti gioca nascondendosi dietro delle nuvole che paiono veli, i lampioni sulla strada l’aiutano, semmai non bastasse la sua incredibile luce,, a schiarire la notte. Le macchine, poche e ordinate, sono parcheggiate diligentemente. Si va a piedi ( noi siamo vicini, abitiamo accanto alla scuola Principe di Piemonte) perché tutta la città è un salotto: l’aria è fresca, profuma di eucalipti e di spezie, sarebbe un peccato fare in fretta. Le mie due sorelle più grandi ed io facciamo strada leccando in silenzio il nostro gelato, la più piccola (ha appena quattro anni), passa dalle braccia di papà a quelle di mamma che ci seguono chiacchierando con gli amici ( c’è anche Enrico ) diretti dalla nostra parte. E l’orologio del Campanile della cattedrale si mette a battere dieci colpi… ”Sono i palpiti del suo cuore…..” penso. E ancora penso che domani non si va a scuola (sono le vacanze di Natale) per questo stasera possiamo trasgredire le regole.

    I lampioni accesi, la luna che ci ha appiccicato ai piedi una piccola ombra che ci segue, il gelato alla fragola che cola appena dal cono croccante… gente che c’incrocia e ci augura buone feste… E nella mia testa c’è sempre quella canzone”… abbassa la tua radio per favore…”  Quando mai potrò dimenticare questo momento? ( Infatti, 65 anni lontana , quella sera è sempre qui. Buone Feste a tutti, con affetto buon 2005! n.d.oggi)

Marisa Baratti

 (Mai Taclì N. 6 - 2004)