Mal d’Africa

 

     Mal d'Africa è un male assai antico. Credo che i primi a soffrirne siano stati quei cinque Nasamoni che visitarono le solitudini del continente e si spinsero quanto più oltre poterono, cosicché pervennero al bacino del Congo, là dove nessuno era mai peregrinando arrivato; ne parla nelle sue "storie" Erodoto, basandosi su notizie attinte dai Cirenei che a loro volta le avevano sapute dagli Ammoni. Nella narrazione rapida dello storico dell'Alicarnasso appariscono la terra delle fiere, aridissime arene, grandi paludi, città d'omiciattoli, fiumi con coccodrilli, in una evocazione stupita che rivela lo scrittore preso non meno dei suoi cinque eroi dal fascino dei luoghi inusitati.

Il male antico diventò addirittura epidemia nel secolo scorso e specialmente nel trentennio dal '50 all'80, quando in Africa si susseguirono, e spesso tra loro si incontrarono, il Campbell, il Barrow, il Livingstone, il Richardson, il Barth, il Grant, il Gordon, lo Stanley, il Gessi, il Casati e il Bottego; alcuni vi morirono di fatica o in insidie, conclusero con la morte le loro avventure dense d'amore e d'ardimento.

Come uno s'ammali è difficile a dirsi. Può darsi che il bacillo uno se lo prenda da un libro d'avventure, letto di straforo sui banchi del Ginnasio, da un francobollo che presenta un leone nella vasta savana, dalla viva voce di un reduce e può anche darsi che uno l'abbia in sé dalla nascita come senso d'avventura, di sacrificio, di poesia o come necessità di conoscenza.

Così nascono gli esploratori, i missionari, i pionieri. Ché il bacillo lavora e viene il momento che uno in Africa ci deve andare e ci sta anche se gli affetti familiari e la salute ne han danno e qualora se ne allontani e non ci possa ritornare, sente con tristezza che una parte del suo cuore c'è rimasta. Da dove si vede che il mal d'Africa ha ben poco a che fare con le passeggere aspirazioni di certuni a soste in ozio fra dune dorate, su tappeti di sabbia ricamata dal ghibli, in foreste vergini e imbalsamate..., in un'Africa di cartone, alla Benoit e alla Da Verona; il male allora non è male ma qualcosa che richiama alla mente, mutatis mutandis, la colite delle signore di Axel Munthe. Un mio amico che in Africa era stato più volte e più volte n'era partito per ritornarci, mi diceva che "non si passeggia impunemente all'ombra delle palme". Ne sapeva qualcosa anche il Martini che quando, al termine di una lunga dimora in Eritrea, trascorsa in cure amministrative e politiche nonché letterarie, sì da parere sentimentalmente rimasto libero da legami con gli aspetti e le genti del luogo, si ritirò a riposo nella sua Toscana, s'avvide che al ricordo s'accompagnavano dolcezza e malinconia. "O indimenticabili cavalcate mattutine fra Corcuggi ed Ela Sulluma traverso alle selve di acacie gommifere; le piante più giovani giacevano sul terreno, di recente divelte dagli elefanti ghiotti delle fresche radici. O del pari indimenticabili notti di Ellam, dormite all'aperto, fra pareti di ebani e di tamarindo, sotto al baldacchino di rami che il bao  bab protendeva; il leone ruggiva lontano, prossime le acque del Setit scendevano sussureggiando; intorno fiammeggiavano i fuochi dell'"attendamento" e in alto splendeva, lampada discreta, la luna; o vaste verdi solitudini di Baghela fra Biacondi e l'alto Sittona che uomo bianco non vedeste prima di me, un frammento del mio cuore è rimasto fra i vostri boschi di palme ed aihmè! Io dispero oggimai di venirlo a riprendere".

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Non risulta che il mal d'Africa sia connesso con problemi che possano essere detti filosofici o interessare il filosofo; generalmente chi n'è affetto ha il temperamento dell'uomo di azione, e insieme la disinteressata esigenza del poeta; evaso dalla stretta delle tradizioni borghesi e cittadine, alla fatica e ai pericoli gli sono compenso e conforto gli spettacoli che la natura gli offre, visioni di squisita dolcezza, di abbondanza o povertà apocalittiche, ignote alla maggior parte degli uomini. È una condizione operosa e contemplativa, un ineffabile summum bonum, infine.

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Non è raro tuttavia, che al mal d'Africa s'accoppi o subentri, a intervalli, uno struggente desiderio d'Europa; un bisogno di stagioni, un'ansia trepida del focolare domestico, un anelito a rifarsi alle cose che portano i segni degli avi, ai volti e alle voci dei fratelli, nell'intimo insorgono urgenti.

Mal d'Europa, allora? 

S. Ponzanelli 

(da "Vie d'oriente")

(Mai Taclì N. 6-1978)