E' asmarina la donna dell'anno
L'ambito riconoscimento è stato assegnato, dalle autorità australiane, ad Alessandra Pucci, che da anni si dedica alla lotta al cancro e che, con il suo staff, ha messo a punto un metodo per la diagnosi precoce del male. « Spero che anche in Italia s'accorgano di lei », dice il padre.
Il made in Italy e i suoi alfieri nei campi continuano a mietere successi in ambito internazionale. Dopo il Nobel per l'economia consegnato all'inizio di dicembre a Franco Modigliani, la ormai diffusa espansione della moda italiana e il fresco successo della Juventus nella Coppa mondiale per club, ora tocca a una donna assurgere a nuove glorie oltre i confini della patria: Alessandra Pucci, proclamata in Australia "Donna dell'anno" per il 1986.
La professoressa Pucci, 41 anni, ha ricevuto il prestigioso riconoscimento dalle mani di un'altra figura femminile di successo, Marisa Bellisario, amministratore delegato della Italtel.
Il riconoscimento premia l'attività di Alessandra Pucci, che da alcuni anni dirige un laboratorio di ricerche scientifiche impegnato nella lotta al cancro. Dice il padre, Alberto Favino, ritornato da Sydney: « Laggiù si tratta di un traguardo prestigioso, e tutti i giornali hanno dato ampio risalto alla manifestazione ».
« In dettaglio », domandiamo « per che cosa è stata premiata sua figlia? ».
« Assieme alla sua equipe », risponde « Alessandra ha messo a punto il "Monohaem", un ritrovato che permette di identificare con precocità le cellule cancerose dell'organismo. Nei mesi scorsi il prodotto è stato acquistato dal Ministero della Sanità del Giappone. Inoltre, trattative sono tuttora in corso con gli Stati Uniti.
Il titolo di "Donna dell'anno" viene assegnato a una persona che, oltre che per i suoi meriti scientifici, emerge anche per le sue qualità umane, come l'amore per la professione, la personalità e anche l'amore per la famiglia. E c'è un altro dato importante che ha fatto cadere la scelta su Alessandra: è l'unica donna che fa parte del Consiglio di ricerche del governo australiano ».
La vera storia di Alessandra Pucci, nome quasi del tutto sconosciuto negli ambienti scientifici italiani, è quella, tipica, della persona che si è fatta da sé. Nata ad Asmara, in Eritrea, dove allora si erano stabiliti i suoi genitori, vi è rimasta fino al conseguimento della maturità scientifica. « E' sempre stata un studentessa modello », dice il padre « tant'è vero che a quell'epoca vinse una borsa di studio grazie alla quale poté trasferirsi in Italia e frequentare l'Università di Pisa.
Negli anni Sessanta, decisi di tornare con la famiglia in Italia. Nel frattempo, Alessandra si era laureata in chimica. Poi l'incontro con Gino Pucci, stilista come il più celebre Emilio, il matrimonio, la nascita del figlio Federico. A questo punto, altre donne avrebbero preferito le comodità di un'agiata vita familiare. Alessandra, invece, ha continuato a frequentare l’Università di Firenze, dove si è laureata in scienze biomediche, frequentando poi i laboratori di analisi in immunologia ».
Anche lei mancata "profeta in patria", tenta dapprima di ottenere una cattedra d'insegnamento in Italia. Poi, invitata da alcune Università straniere a tenere conferenze sul "male del secolo", le viene offerto un posto all'ateneo di Sydney dove, oltretutto, le mettono a disposizione un attrezzato laboratorio di analisi. In pochi anni, non solo ottiene la direzione del laboratorio, con uno staff tutto maschile, ma viene invitata a far parte del Consiglio nazionale di Ricerche del governo australiano. La scoperta del "Monohaem" trova applicazione anche in un settore di grande importanza economica in Australia: quello degli allevamenti zootecnici.
« Mia figlia », prosegue Alberto Favino « è ormai un personaggio nel suo Paese di adozione. L'autorevole settimanale News Week Bulletin ha tra l'altro scritto di lei che è una pioniera della biotecnologia. Il suo unico cruccio è di non essere ancora riuscita a trovare uno spazio negli ambienti scientifici italiani. Ma credo che un giorno, quando questo maledetto "male del secolo" verrà debellato, una piccola parte di merito ce l'avranno anche lei e il suo staff ».
Mario Guarino
Da "Gioia" Gennaio 1 986
(Mai Taclì N. 4-1986)