Remo Girone
attore “senza risparmio”
Ljubimov il turbolento, il ribelle, il “cattivo” ha scelto il suo Raskolnikov. In Delitto e castigo di Dostoievskij, produzione AterErt, che il regista sovietico prepara per la prossima stagione teatrale, sarà Remo Girone a interpretare il ruolo, dopo “provini” oceanici cui ha aderito mezzo teatro italiano. Il contratto è firmato, ma recentissimo. Ha appena due giorni e Girone, palesemente contento, pensa al lavoro a venire.
“Mi hanno chiamato a marzo, dall’Ater, per il provino. Io stavo lavorando e non lo feci. Slittò tutto a più tardi, a Milano, dove ho incontrato Ljubimov, gli ho parlato, gli ho recitato il finale del primo atto dell’Ivanov, già sperimentato nella messinscena di Carlo Cecchi. L’ho trovato molto simpatico, Ljubimov, ha recitato lui stesso per mostrarmi come intende il personaggio. Ha una comunicativa enorme, un modo di fare evidente, che non lascia spazio all’equivoco…”.
Reduce dai fasti “commerciali” del Metti una sera a cena di Patroni Griffi, con cui ha viaggiato per l’Italia nella stagione appena conclusa, Girone porta addosso da qualche tempo l’etichetta di “giovane attore emergente”. Giovane senza dubbio: ha solo 35 anni. Attore anche: “Penso di essere un buon attore. Certi ruoli li posso fare molto bene, credo proprio di esserci un po’ portato, per questo mestiere”. Emergente? “Se emergente vuol dire uno che è diventato professionista, uno che da alcune stagioni fa solo prime parti, allora si. Ma il teatro ha tempi lunghi, lunghissimi: non è molto che sono professionista nel modo che intendo io”.
Schivo, scientificamente pulito, con quel tanto di nevrosi formale che lo rende volto e presenza contemporaneamente, è vibratile esponente di una leva di attori attenti si al mestiere, ma anche memori dell’”impegno”, delle “scelte giuste”. Della necessità di apprendere.
Nato ad Asmara, in Eritrea, stava per laurearsi in Economia e Commercio e recitava nel gruppo di teatro universitario. Fu obbligato, per questioni burocratiche, a venire in Italia per la “tesi”. Colpo di fulmine: chiede di essere ammesso all’Accademia d’Arte Drammatica, sostituisce all’esame universitario mancante quello per entrare alla “D’Amico” e del titolo di dottore in Scienze Economiche non ne parlerà mai più. E dopo, teatro, teatro e cinema, con Ronconi, De Bosio, Patroni Griffi, Bellocchio, Jancso, Squitieri, Eriprando Visconti…
“Il cinema mi interessa, ma bisogna ammettere che non consente gli approfondimenti del teatro. Dovessi fare il nome di un regista di cinema con cui mi piacerebbe lavorare ora, direi Scola, è molto bravo”.
Girone non fa l’attore, è attore: “E questa coscienza di una identità, oltre che di una professione, esige molto. Quando c’è in piedi uno spettacolo e si gira in tournèe, e si recita sera dopo sera, il ruolo, il dover comparire davanti al pubblico, diventa un pensiero fisso. Si perde per via la propria vita privata, o almeno tanta parte di essa”.
E durante gli intervalli? “Io non risparmio una lira, non so usare il denaro: finisco un lavoro e non ho i soldi per andare in vacanza… mi piace disegnare, disegno e mi piace mia moglie Vittoria.
Potessi stare più a lungo con lei avrei meno ossessioni…”.
Rita Sala
(da “Il Messaggero” 14.6.1984)
(Mai Taclì N. 5/6-1984)