Guerriglia di tre piccoli incoscienti
Traslocati da due anni nel palazzo I.N.A.I.L in viale Crispi, i miei fratelli più piccoli (Piero 8 anni, Stiano 6 e Natale 5) costituirono autonomamente una banda segreta di guastatori, conducendo spesso delle scorrerie contro gli occupanti.
Di fronte a noi l’unico palazzo sulla sinistra di Viale Crispi (5 piani a filo marciapiedi) che si incuneava nel Parco del Governatore, attorniato da una siepe fitta e alta in cui i tre avevano localizzato dei passaggi fra i robusti rami interni, ben nascosti dal fogliame; le escoriazioni che comunque si procuravano erano proporzionate alla velocità di fuga. Potevano entrare e scorrazzare nel parco, vivaio, maneggio, scuderie, campo da tennis (dove raccattavano le palle che superavano la rete di protezione per venderle ai compagni di scuola per mezzo scellino) ma la soddisfazione massima era nel ritorno a casa: passavano quatti quatti dietro il corpo di guardia, attraversavano l’accampamento dei sudanesi sciogliendo rapidamente i nodi delle corde che ancoravano le tende ai picchetti per farle afflosciare, s’infilavano velocemente nella siepe, attraversavano il viale e si rifugiavano nello stretto passaggio fra casa nostra e la Caserma dei Carabinieri; se intravedevano qualche minaccia, scalavano due metri di muro e riparavano nel cortile di casa.
Palazzo INAIL
A parte qualche fucilata, il piccolino un brutto giorno s’è trovato la strada sbarrata da una guardia sudanese, senza più potersi infilare nella salvifica siepe; gli altri due lo avevano atteso invano e solo pensando al peggio sono ricorsi alla mamma. Trovandosi fra una donna in lacrime che voleva recuperare un figlio (lei ignorava le malefatte che costoro combinavano già da tempo) e una dozzina di sudanesi che vociavano tutti insieme (in quale lingua non si sa) elencando sicuramente i misfatti da lungo tempo subiti, l’ufficiale inglese in servizio ha tolto il prigioniero più smorto del solito dalle grinfie della guardia, lo ha consegnato alla mamma battendo i tacchi e con un gesto della mano aperta l’ha invitata a tornarsene a casa.
Questo fatto (e tanti altri) è venuto fuori casualmente in questi giorni indagando io sul perché a quel tempo mia madre mi affidasse spesso i golfini del piccolino: era sempre pieno di palline vegetali (diametro di circa un centimetro irto di decine di gancini) che si avviluppavano tenacemente nella maglia di lana; per non rovinarla, essiccavo il tutto nel forno della stufa finché le palline si sfarinassero fra le dita e con una pinzetta asportavo gli uncini residui; su sua richiesta gli avevo fabbricato un arco col quale il guerrigliero si immergeva nel fogliame di cespugli erbacei dalle enormi foglie e dai frutti uncinati in Via Orero dietro l’ospedale INAIL: pretendeva di forare gli pneumatici degli automezzi militari di passaggio.
Mario De Ponti
(Mai Taclì N. 2-2004)