1
JULIO SAVI
IL COLORE DEL RICORDO
POESIE D’AFRICA
2
Et in Arcadia ego
(Wolfgang von Goethe)
3
Cadi pioggia
Alle grandi piogge
Cadi pioggia
cadi dalle nuvole
grigie cineree
cadi sulla terra
tutti t’aspettano
anch’io t’aspetto.
Asmara, 9 luglio 1956
4
Sarò libero ancora
Azzurro cielo
che dilaghi infinito
dinanzi allo sguardo
Vorrei imprigionarti
nelle pupille
e qui tenerti
per sempre
Vorrei librarmi
nei tuoi sconfinati spazi
per godere nel volo
l’ebbrezza della libertà
Azzurro cielo
aspettami sono
ora in catene ma
sarò libero ancora.
Asmara, 12 agosto 1956
5
Sospiri d’amore
Vento che spiri dal mare
esalando gli odori dell’onde
mi avvolgi nelle ampie
tue braccia e mi sospingi
lontano assieme alle foglie
seccate dal sole
Il sole ha inaridito
anche il mio cuore
e l’ha chiuso alla gioia
Ma tu ora mi porti
sospiri d’amore.
Massaua, 3 dicembre 1956
6
Morbide voci del mare
A Massaua
Cieli incantati
trapunti di stelle
acque rosate
dal sole sorgente
onde argentate
dalla luna nel cielo
morbide voci del mare
che batte contro la rena
arcani disegni
di nubi d’avorio
solcate da rondini in volo
sul far della sera.
Massaua, 3 dicembre 1956
7
È pace nel mare
A Massaua
È pace
nel cielo
azzurro e di perla.
È pace
nel mare
appena increspato.
È pace
nell’isola verde1
fra le mangrovie
sulle dune adagiate.
È pace
nell’aria
che lieve si muove
sull’acque.
I tenui colori
ispirano
pace.
I suoni sommessi
bisbigliano
pace.
1 — A meno di un miglio a sud di Massaua si trova un isolotto madreporico coperto da una fitta vegetazione di mangrovie. È l’isola di Sheik Said, che gli italiani hanno chiamato Isola Verde.
8
Pace
sussurra
la prima stella
palpitando
sull’orizzonte.
Pace
mi dicono
anche i gabbiani
che dormono
là sulla rena.
Massaua, 3 dicembre 1956
9
Sarai tu pure un ricordo
Sarai tu pure un ricordo
confuso con altri ricordi
la gioia che oggi mi dai
diverrà piaga dolente
sarò ancora solo.
Asmara, 19 giugno 1957
10
Piove acqua pura
Piove acqua pura
con rumor celeste
pioggia purificatrice.
Asmara, 10 luglio 1957
11
E oggi ritorna stanco*
Piango per quel vecchio
infermo che dalle fatiche
della giovinezza ha tratto
solo rimpianto.
Tutto ha perduto
e oggi ritorna stanco.
Mar Rosso, settembre 1961
* — Fra gli italiani che il 17 settembre 1961 s’imbarcavano sulla motonave “Diana” per rimpatriare definitivamente, c’era anche un vecchio infermo che con sé aveva soltanto un asciugamano a tracolla e una vecchia valigia di cartone piena di indumenti usati e fotografie sbiadite.
12
Quel pianto feconda una terra
Una folla di uomini piange
un mondo perduto nel nulla.
Ovunque si rechi rimpiange
quel sogno durato un istante.
Ma col suo pianto
feconda una terra
il sole tramonta per lei
sorge per i suoi fratelli
che non ha saputo capire.
Asmara, 4 settembre 1963
13
Si senton parole di addio*
Incertezza
ovunque si guardi
si vedon tremori
si senton parole
di addio si dice
addio agli amici
di sempre.
Asmara, 4 settembre 1963
* — L’esodo degli italiani dall’Eritrea è incominciato nel 1946 poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, si è protratto per quasi trent’anni e si è pressoché concluso con l’intensificazione delle ostilità fra eritrei ed etiopi subito dopo la deposizione del negus Hailé Selassié il 12 settembre 1974.
14
Ma il cuore non vede
Sono luoghi noti
ove l’occhio ritrova
le usate forme
della fanciullezza
ove l’orecchio ode
i rumori d’un tempo
che par si sian fermati.
Ma non vede e non sente
il mio cuore. Non può
tant’è mutato ritrovare
ciò che era in un giorno
ormai passato.
Asmara, 4 settembre 1963
15
Fra case e pietrose strade
All’Eritrea
Stretta fra case e pietrose strade
l’anima vacilla attossicata.
Cerca gli spazi di quel cielo azzurro
dove gli occhi suoi si persero
quando aggrappato a una roccia
lo sguardo imprigionava la terra
fino all’ultimo orizzonte.
Bologna, 30 novembre 1964
16
È solo un ricordo
Ad Asmara
Asmara,
il tuo nome
s’allontana
le tue basse case
le tue strade
svaniscono nella nebbia
come al mattino presto
quando andavo a scuola.
È solo un ricordo
e non vorrei!
La solitudine
dei giorni adolescenti
nell’infinita vastità
dei tuoi cieli azzurri
senza nubi
le voci lontane
del cuore anelante
nello stormire
degli eucaliptus
l’innocenza perduta
nella vergine bellezza
dei tuoi tramonti
agonizzanti.
È solo un ricordo
e non vorrei!
Bologna, 11 dicembre 1964
17
Al bacio dell’acqua feconda
All’Eritrea
Forse i tuoi spazi azzurri
limpidi nella libertà del cielo
io amo perché in essi
mi trasfiguro la purezza
del pensiero la gentilezza
del cuore la radiosità
dell’anima. Il respiro
non è mai mozzo quando
in quell’alabastro trionfa
la maestà del sole e il petto
si dilata e il cuore batte
di gioia e angosce e grigiori
di fumi e brume invernali
sono peso mai conosciuto.
Quando liquido si riversa
il vapore addensato nel cielo
non è pianto gemente
e ininterrotto di lacrime
amare è rumore di perle
è cascata di note gioiose
e la terra mai intrisa
non marcisce, ma rifiorisce
al bacio dell’acqua feconda.
Bologna, 3 febbraio 1966
18
Non solo dal colore del ricordo
All’Eritrea
E quando il grigiore piangente
di questo cielo senza sole
intride il mio pensiero di noia
e di tristezza il desiderio
dei tuoi cieli azzurri
inebrianti nella gaudente
voluttà del sole stringe
ancor più il mio cuore
e la pupilla si dilata
cercando nel passato
la tua luce
quasi dimenticata.
La tua bellezza
non nasce solo
dal colore del ricordo:
è l’anelito della realtà
infinita e dell’intatta
purezza, è la consapevole
umanità che si sacrifica
momento per momento
sull’altare dello spirito
gioiosa nella sua rinunzia
perché la luce della fede
soverchia ogni sua mancanza.
Bologna, 14 febbraio 1966
19
Le voci del tempo
Sono qui a cercare
un filo del tempo
che sembra smarrito,
a ritrovare perché
di sentimenti rimossi,
a riallacciare legami
ora coperti da veli
di sabbia. E tu vento
hai la voce di sempre
dalle foglie degli eucaliptus
trai rumori che sembrano
d’acque scorrenti
mentre tutto qui
anela alla pioggia
e dalla terra riarsa
ininterrotte salgono
voci di preghiera.
Solo quando il sole
zenitale distillerà
più caldi vapori
dalle salse distese
del Mare Eritreo,
qui sarà un tripudio
d’acque e colori.
Ma anche ora
mi è caro restare
qui dove la voce
interiore non tace
20
più soffocata
da altri rumori.
Le arpe del cuore
risuonano ai soffi
del vento. L’anima
innalza la sua lode
a Dio. L’arido suolo
allora fiorisce,
il legno germoglia,
si sente profumo
d’eterno. Tempo,
perché anche qui
te ne vai?
Asmara, 4 febbraio 1992
21
La vecchia strada d’asfalto
A Rosa Palmucci Savi (1905-1994)
Lisa,1
dalla vecchia strada d’asfalto
là dove un tempo vedevo
i tuoi biondi capelli sentivo
la tua voce sonora ora odo
soltanto rumori del vento.
Non c’è più la tua casa.
Tagliati i tuoi alberi,
ne restano i ceppi.
È asciutto anche il ruscello
che allora irrigava i tuoi campi.
E tu, dove sei?
Lisa,
fra quegli annosi ceppi
dalla vecchia strada d’asfalto
vedo già germogliare
teneri eucaliptus.
E il cielo turchino
è imbiancato qua e là
da roride nubi. Vedrai,
presto cadrà anche
la pioggia e tutto rifiorirà.
1 — Lisa, cristiana di Norimberga, sposata a Sion, ebreo levantino, già cinquantenne attorno al 1950 seguì il marito assieme al figlio adottivo italiano cattolico nel nuovo stato di Israele, sistemandosi nei pressi di Haifa, non lontano dal centro spirituale e amministrativo della Fede bahá’í.
22
Al tuo posto s’udrà
la voce argentina
d’un’altra padrona.
Chissà che quella donna futura
non doni ancora più gioie
ancor più dolci ricordi
non si lasci alle spalle!
Superate le pareti scoscese
dell’alveo inaridito
entro nei tuoi campi incolti.
Resta fuori il passato
sulla vecchia strada d’asfalto
ora sconnessa. Fra i teneri
eucaliptus tutto parla
di nuovo e di rigoglio.
Sì, ora risento la tua voce,
Lisa.
Viene dai tuoi nuovi campi
e non ho più rimpianti.
Tu mi chiami ora da un regno
cui so di appartenere
e di cui tuttavia intravedo
solo fugaci sprazzi.
E mi suggerisci anche la certezza
che il tempo non trascorre invano,
che mille mani amiche
sono sempre pronte ad aiutare
che quel poco di bene che facciamo
dà frutti assai più cospicui.
Non vado oltre,
Lisa.
Ho udito la risposta. Ritorno ora
23
sulla vecchia strada d’asfalto.
A casa mi attende Rosa,
la tua amica d’un tempo
che ora s’è fatta vecchia.
Le occorrono oggi
la forza e il calore
di più giovani braccia
perché malgrado gli anni
e la fatica possa infine
rialzarsi in piedi.
Asmara, 4 febbraio 1992
24
La valle del maazò
Sul ciglio della valle
del Maazò fra sassi
e sterpaglie che sembrano
invano da anni invocare
la pioggia pure ho raccolto
una pannocchia di romice
rosso una sferula di mimosa
dorata un calice di osiride gialla.
Là impolverata vegeta ancora
un’aloe grassa. All’orizzonte
spuntano, pur rari, ombrelli
di spirocarpa. E presso il villaggio
di Saladarò prospera annosa
un’antica acacia spinosa.
Ma se mai abbondante
vi scende la pioggia che gaio
rumore di acque scorrenti,
che voli di uccelli,
che festa di verde e di fiori!
Saladarò (Eritrea), 5 febbraio 1992
25
Il sicomoro*
Ieri nei pressi di Saganeiti
ho incontrato una pavoncella.
Saltava sulle gambette sottili;
il ciuffo nel vento, volava
fra pietre ed arbusti
beccando quel poco di cibo
che poteva trovare.
«Fermati – le ho detto –
raccontami cos’è successo
del verde che addolciva
la valle di Hebò?»
La pavoncella
mi ha guardato sorpresa.
«Da anni la valle di Hebò
è secca e riarsa.
Va avanti fino alla piana
di Deggherà Libé.
Là chiedilo al sicomoro maestoso
da secoli testimone
delle vicende del mondo».
Ho proseguito
e ho trovato
1 — A circa 60 chilometri a sud est di Asmara, lungo la strada che conduce ad Addis Abeba, si trova una vallata pianeggiante, conosciuta come piana di Degherà Libè, nella quale si ergono alcuni vecchissimi, giganteschi sicomori della varietà Sycomorus o Ficus vasta, ultimi resti di un’antica foresta.
26
il sicomoro antico,
il ceppo nodoso,
la ruvida corteccia,
i lunghi rami protesi
lontano dal tronco.
Mi sono seduto
all’ombra delle sue foglie,
che il vento agitava
in un rumore fresco e sonoro.
E quando la mente
ha taciuto s’è fatto
voce il rumore
e m’ha narrato,
il vecchio sicomoro,
una storia recente
di spoliazioni e di guerre,
di siccità ingravescente.
Ha ricordato gli amici
scomparsi, ha detto
dei timori dei più giovani
arbusti. Ma non v’era
pianto nelle sue parole.
Da una terra lontana,
un tempo deserta
e ora risbocciata
in un sacro giardino,
gli erano giunte – mi disse –
voci di gioia. Nella sua
saggezza il sicomoro
sapeva che era già caduta
una pioggia che avrebbe
rinverdito la sua valle,
che presto anche lì sarebbe
27
giunta l’acqua feconda.
Quali fiori allora
di euforbia e d’acacia,
quali morbidi frutti
di fico d’India,
quale rigoglio
di più giovani sicomori,
quanti eleltà1
di gioia festiva!
Ho lasciato il sicomoro
che ancor descriveva
un futuro più bello.
E da quei luoghi
inariditi non ho portato
via tristezze ma certezza
d’imminenti raccolti.
Saganeiti (Eritrea), 10 febbraio 1992
1 — L’eleltà è il tipico trillo di gioia delle donne eritree.
28
Sulle lande remote d’un giorno che fu
Perché in questa terra
lo sciabordio delle onde
del lago sotto il limpido cielo
il fruscio delle foglie
alla carezza del vento
il ronzio degl’insetti
nel calore del sole gli echi
lontani dalle silenti distese –
perché questi rumori
mi parlano dell’Infinito
più che altrove nel mondo?
Sono forse qui più vicino
alle Orme sue nel deserto?
No, la voce che sento
è il suadente sussurro
dell’io, che rinnova
antiche memorie
nelle pieghe del cuore
perdute: le porte
del tempo per sempre
serrate sembran riaprirsi
sulle lande remote
d’un giorno che fu,
nell’illusione di ripercorrere
in modo diverso
le immutabili strade
d’un viaggio compiuto.
Sento ancora
29
voci squillanti
vedo biondi capelli
scomposti dal vento
odo richiami di gioia
respiro adolescenti
profumi. Si rinnova
l’incanto d’un sentimento
mai più ritrovato
altrove nel mondo.
Qui sono la roccia
che si scalda ai raggi
del sole sono la fronda
che canta ai soffi del vento
sono l’onda che accarezza
la riva erbosa sono io
che parlo da queste onde
di lago sono l’ape
che raccoglie il polline
dal fiore del mascal1
io il fiore che dischiude
la gialla corolla al verde
tepore del prato. Qui sono
ancora e sempre parte
del tutto. Lontano da qui,
cosa sono? Potessi
invece essere il vento
che indisturbato soffia
su ogni contrada del mondo
1 — Il mascal (Coreopsis boraniana) è una margherita gialla che fiorisce sull’altopiano eritreo nel periodo del Mascal, la festività civile e religiosa che, il 27 settembre, celebra la fine delle grandi piogge e commemora il ritrovamento della croce di Cristo da parte dell’imperatrice Elena, madre di Costantino.
30
o il sole che ovunque
risplende senza mai negare
ad alcuno il suo dono
di calore e di luce.
Addì Nefas (Eritrea), 14 settembre 1992
31
Nel silenzio della valle assolata
Potessi donar
le mie membra
all’armonia
di questo luogo
selvaggio.
Diverrei sabbia
nel letto del fiume
sempre bagnata
da calde acque
scorrenti
che dissetano
alberi, erbe
ed arbusti.
Diverrei linfa
di tamarindo.
Nelle foglie godrei
il calore del sole.
Nei frutti nutrirei
uccelli ed insetti.
Nelle levigate rocce
del greto del fiume
donerei tepore
ai ramarri.
Nel silenzio
della valle assolata
per sempre godrei
32
la maestosa
bellezza di Dio.
Mai Habar (Eritrea), 15 settembre 1992
33
La pioggia inaspettata
La pioggia inaspettata
ha ammantato
pianori ed alture
di cangianti velluti
verdi e dorati.
Ha ravvivato gli arbusti
dei bassipiani
e rinnovato le foglie
degli alberi antichi.
Sono più fitti gli ombrelli
delle acacie spinose, più verdi
le fronde dei sicomori,
e dalle cortecce rigonfie
il latice geme più generoso.
Le foglie dei ghindà1 s’aprono
più larghe ai raggi del sole
e i turgidi frutti sembrano
pronti a scoppiare.
I baobab sfoggiano
insolite chiome
e qua e là sbocciano
odorosi gelsomini.
1 — Il ghindà (Calotropis procera) è un arbusto tipico del bassopiano eritreo, caratterizzato da larghe foglie e verdi frutti rotondi, pieni di lanugine setosa, per cui viene talvolta chiamato «seta vegetale».
34
Sulle rive lontane
della sabbiosa
vastità del Barca1
si svolge ininterrotta
l’ineguale processione
delle palme dum.
Branchi di babbuini
guadano rivi lucenti
sotto i raggi del sole.
Si abbeverano i dromedari
mentre all’ombra dei palmizi
il cammelliere dorme.
Forse non è diverso
il suo sogno dal mio:
fuggire da un oggi di fatica
verso tranquille giornate
libere dalle cure del tempo
immemore dei frutti
del solerte impegno
che pur il dono
di bellezza e di gioia
di quella pioggia inaspettata
invita a rinnovare.
Agordat (Eritrea), 19 settembre 1992
1 — Il Barca è il più importante dei corsi d’acqua dell’Eritrea. Nato nella provincia meridionale del Seraè, scorre verso nord passando a est di Asmara, bagna Agordat e sfocia nel Mar Rosso passando attraverso il Sudan.
35
Giacarandà
Quella mattina d’aprile
mi sembrò che la strada
rispecchiasse la volta celeste.
Erano i fiori caduti
dalle giacarandà che con
l’azzurro della loro bellezza
avevan mutato la terra
in un frammento di cielo.
Asmara, 21 settembre 1992
36
Richiami lontani
Su candelabri
di euforbie abissine
vegeta verde novello
di teneri germogli.
Da erbosi dirupi steli
di aloe innalzano al cielo
calici arancioni e rossi
gialle corolle di mascal
rosse drupe di lentisco
oscillano ai colpi del vento.
Fra enormi ciottoli
riscaldati dai raggi del sole
si beano lucertole e camaleonti
e ronzano libellule e calabroni.
Attorno a infiorescenze d’agave
si librano colibrì. Sotto le nubi
si dipanano lenti voli di falchi.
Negli assolati silenzi
dell’altopiano echeggiano
richiami lontani
di viandanti e pastori.
Cancellato da primordiali
ritmi scompare l’effimero
l’essenziale resta:
37
amore e odio
grandezza e meschinità
anche qui crescono
nei cuori umani
come nei quartieri
delle megalopoli nelle sontuose
case d’un mondo frenetico
che da qui pare tanto lontano.
Addì Cascì (Eritrea), 20 settembre 1992
38
Segni di giorni ormai conclusi
Bianchi palazzi
di pietra corallina
pareti arabescate
solidi pilastri
snelle colonne
arcate d’oriente
e d’occidente
ombre di portici
intarsi di finestre
sculture di portoni
lignee trine di veroni
turche cupole puntute
alti e bassi minareti
di antichi santuari
e più nuove moschee.
Botteghe variopinte
gialli rossi verdi
di frutta e verdure
fantasie di stoffe
colorate.
estenuanti aromi
di spezie d’oriente
fumi d’incenso
in ombrosi vicoli
intrisi di salsedine
arabe voci di mercato
e solenni richiami
di muezzin in echi
39
di sciabordio di onde.
sulle rive verde
di mangrovie giallo
di sabbie rincorse
di paguri disegni
di cipree snellezze
di fenicotteri ibis
e aironi indaco
di onde frante
fra gli scogli smeraldi
turchesi acquemarine
di limpidi specchi
d’acqua ebano
ignudo di agili
corpi torniti dal mare
al calore torrido del sole.
nel cielo voli
di gabbiani sotto
candide volute
di evanescenti nubi.
all’orizzonte
azzurre sfumature
di cortine montane
dell’acrocoro lontano.
La mente filtra
nel ricordo relitti
muri diroccati
cattivi odori
immondezze
torbidità rovine
corpi emaciati
40
lacere vesti
voci di tristezze.
Ma tu che non hai vissuto
quel giorno ormai trascorso
dimmi che come me
puoi ancora riconoscere
l’antica bellezza
ora nascosta. La mano
inesorabile d’un tempo
che non voglio reputar
nemico è passata
a scomporre segni
di giorni ormai conclusi.
Vorranno mai uomini
d’oggi preservare
quelle pietre rimembranza
di trascorsi fasti per me,
per loro di giorni di dolore?
Giovanetto dalla pelle
ambrata e dai lucenti
occhi di carbone,
sul tuo fiammeggiante
ramo di colqual
ripeto il rito
del fuoco del Mascal.1
Vuol essere nel cuore
il mio voto uguale al tuo:
1 — La notte del Mascal (vedi nota a p. 29) i ragazzi eritrei girano per le strade con rami di colqual (Euphorbia abyssinica) accesi a mo’ di fiaccole. È considerato di buon auspicio saltare tre volte su una di queste fiaccole accese deposta in terra esprimendo un voto e poi offrire un dono al giovane tedoforo.
41
ma quale pena per me
esule africano bianco
ignorare il desiderio
di preservare quelle
bellezze per te
ingombranti macerie
d’un passato che vuoi
dimenticare sulle vie
di un futuro che a te,
non a me, appartiene.
Massaua, 27 settembre 1992
42
Nel cangiante sole dell’alba
A Umberto Savi (1901-1970)
Vero figlio è quello scaturito dalla parte
spirituale di un uomo.
‘Abdu’l-Bahá
Nel fruscio dei cipressi
al soffio del vento
intepidito dal sole
risuonano echi
di giorni lontani.
Respiro profumo
d’amore paterno
sento calore
di forti braccia
m’avvolge dolcezza
di voce suadente.
La mano nella tua
mi ritrovo
fra alti eucaliptus.
Ti risento narrare
di mondi remoti
di santità luminosa.
La strada indicata
è sempre chiara
allo sguardo.
A quel Patto
d’esser fedele
mi sforzo che tu
43
stringesti per me
sin da quando
in un giovane slancio
d’amore e di gioia
mi donasti la vita.
Ma in questo percorso
ancora mi occorrono
il tuo ammonimento
il tuo pur difficile esempio
il tuo fervore
di ricercatore e d’amante.
Forse un dì anche per me
s’aprirà l’occhio del cuore
e nel cangiante sole dell’alba
assieme a te rivedrò
quegl’infiniti mondi di luce
che tutti ci attendono.
Bet Macà (Asmara),* 28 settembre 1992
* — Sull’amba di Bet Macà situata a nord della città si trova il cimitero bahá’í di Asmara.
44
Un giorno ritornerò per sempre
Agli amici eritrei
ἀλλ’ ἀνήτω μὲν περὶ ταὶς δέραισι
περθέτω πλέκταις ύπαθύμιδάς τις,
κὰδ δὲ χευάτω μύρον ἆδυ κὰτ τὼ
στήθεος ἄμμι
(Ma d’intrecciate corolle di aneto
ora qualcuno mi circondi il collo
e dolce olio profumato
mi versi sul petto)
(Alceo)
Non sanno queste labbra
pronunciare le vostre
parole d’amore e d’amicizia
e quelle che voi dite non so
capirle. Ma nei silenzi e
negli sguardi nel calore
degli abbracci uno è l’idioma.
E se le menti talvolta
sembrano lontane non lo sono
i cuori. La vostra tenerezza
germogliante discioglie l’anima
dai nodi stretti dalla vita.
Lo so. Un giorno ritornerò
per sempre. E voi sarete
tutti qui ad accogliermi.
E con voi ci saranno
il sicomoro maestoso
dalla vasta chioma
45
con mormorii
di fronde al vento
e canti d’uccelli
l’euforbia dalle cento
braccia tese verso il cielo
il fico d’India spinoso
dai dolci frutti l’aloe
fiorito d’arancio
come il cielo a occidente
quando il sol declina
gialli prati di mascal
distese di cosmee
dai delicati petali
di rosa arcobaleni
di lantana fragranti
candori di gelsomino
azzurri sorrisi di giacarandà
rossi palpiti di poinsezie
glorie purpuree di buganvillee
glauche levità di agave
eucaliptus e ginepri
acacie e casuarine e oro
di campi solcati da tratturi
rosseggianti e l’acrocoro
maestoso con ambe e piane
forre aspre ghiaiosi
torrenti dalle umide
sabbie lucertole e ramarri
falchi e neri corvi
tessitori e colibrì.
Risuoneranno anche per me
quel giorno eleltà di gioia.
E «sono qui con voi
per sempre» sussurrerà
46
nel vostro accento
l’appagato sospiro
del mio cuore.
Sembel (Asmara),* 3 ottobre 1992
* — A Sembel, nella periferia occidentale della città, si trova l’aeroporto di Asmara.
47
Due cuori
Sono due cuori
e non ricordo giorno
in cui non lo sia stato:
uno per il cielo uno per la terra
uno per la patria lontana
uno per quella vicina
uno per voi uno per loro.
Quando mai mi riuscirà
di farli battere all’unisono
o anche solo di trarne
armoniosi canti?
E invece non ricordo giorno
in cui non ne siano usciti
dissonanti rumori
conturbanti dodecafonie
inquietanti politonalità.
Ma forse più non esiste oggi
cuore capace di armoniosi canti
e troppo presto è ancora
per un cuor che possa
inneggiare all’unità.
Lago Trasimeno, 9 dicembre 1995
48
Il ponte dell’amicizia
A tutti i vecchi amici asmarini
...adplicansque collum
iocundum os oculosque suaviabor.
O quantumst hominum beatiorum,
quid me lætius est beatiusve?
(Catullo)
Ho ritrovato oggi gli amici
della giovinezza. Un tempo
armoniosi visi, vivaci
occhi trasparenti, agili
membra ben tornite, ora
corpi segnati dall’età. Ma
fra le insidie del lento
trascorrere dei giorni
intatta permane l’amicizia
e il suo calore subito riapre
gli occhi disavvezzi sui cuori
degli amici ritrovati.
Si distendono le rughe,
i corpi appesantiti
si snelliscono, lo sguardo
trapassa la polvere
degli anni, ritorna
la gioia dell’incontro:
ammirare l’armonia
d’un viso, ricambiare
la trasparenza d’uno sguardo,
camminare fianco
a fianco, parlare delle
49
mille cose futili
che allietano i cuori
dei ragazzi. Rifioriscono
immutate le lontane
gemme della gioventù.
Riccione, 10 giugno 2000
50
Partenze
(Ricordando la partenza definitiva dall’Eritrea il 5 novembre 1960 sul piroscafo “Tripolitania”)
Hai mai visto partire un amico?
Ricordi ancora la sua cara figura
allontanarsi fino a sparire allo sguardo?
Ho vissuto giorni di partenze e di addii.
Ho vissuto anni di una comunità
in veloce declino, assottigliata giorno
per giorno, fino a ridursi in nulla.
E poi infine sono partito anch’io.
Non è venuto a salutarmi quel tardo pomeriggio.
Ha voluto evitarne a entrambi il dolore.
Ma la sera, mentre la nave s’allontanava
dal porto e il moresco profilo massauino
si perdeva in un crepuscolo viola,
ecco un lampeggiar di fari d’auto:
era il suo addio? Poi tutto è svanito.
Si sono spente le luci. Davanti a me
ondeggiava un mare dai cangianti colori.
Bologna, 25 luglio 2015