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Il Cinema Santa Cecilia
Il cinema Santa Cecilia era il cinema parrocchiale.
Quando venne costruito, in Asmara non c’erano altri cinema, per cui fu pensato, saggiamente, di costruire un luogo di svago per i residenti asmarini. Successivamente vennero costruiti altri cinema, come il Cinema Impero, Il cinema Roma, il Cinema Dante, il Cinema Croce Rossa, il Cinema Hamasien,( nel quartiere indigeno ad uso esclusivo per la popolazione locale) e buon ultimo il Cinema Augustus.
Un discorso a parte va fatto per il Cinema Teatro Asmara, costruito, più che altro per le rappresentazioni teatrali.
Il cinema Santa Cecilia, per un certo periodo di tempo, vale a dire fino all’inizio della seconda guerra mondiale nel 1940 funzionò con spettacoli aperti al pubblico. Successivamente non venne mai più riaperto, se non per occasionali rappresentazioni teatrali a disposizione di privati o di chi ne faceva richiesta.
Una cosa vuole detta che fra tutti coloro che hanno fatto ricorso all’uso del cinema per questioni pubbliche o private che fossero, la parrocchia non ha mai voluto un solo scellino o un solo dollaro per l’uso del cinema.
Fatta questa doverosa premessa, passo a dire perché questo cinema è entrato per molto tempo a far parte della vita degli Storelli. Infatti, in attesa di trovare una casa, le prime tre notti della nostra permanenza in Africa le passammo dormendo sotto il palcoscenico del cinema.
All’arrivo di noi figli in Asmara,nell’Aprile del 1936, dopo che i frati avevano recuperato mio papà dalle sabbie della Dancalia, gli venne offerta la possibilità di lavorare come operatore nel cinema. Cosa che mio papà accetto volentieri, per due ovvie ragioni.
Questo nuovo lavoro gli permetteva di essere vicino alla famiglia, e allontanare così lo spettro di un lavoro massacrante quale era quello dello spaccapietre. Contemporaneamente al nuovo lavoro di mio padre, io iniziai a frequentare l’asilo delle suore di Sant’Anna. L’asilo era situato al piano terra del cortile interno della parrocchia, proprio sotto il campanile. L’asilo era gestito da una suora di questo ordine religioso e si chiamava Suor Anna Aurelia. Era una suora piccola di statura, un po’ grassoccia e quando camminava aveva una buffa andatura ciondolante, dovuta forse alla statura oltre che al peso.
Questa suora oltre ad accudire i bambini che frequentavano l’asilo, aveva anche funzioni di infermiera, e forse questa sua ultima occupazione la impegnava molto di più che non quella di custode dei bimbi. Non ebbi modo di frequentare a lungo l’asilo, in quanto mio padre dovette lasciare il lavoro per presentarsi al distretto militare, poiché era stato richiamato nell’imminenza della guerra contro gli inglesi.
Ricordo, che quando finivo la mia giornata all’asilo, facevo la strada che mi era stata insegnata e andavo nella cabina di proiezione dove mio padre lavorava, lui mi accoglieva, mi prendeva per mano e mi faceva accomodare su una delle sedie di galleria proprio accanto alla porta che immetteva in sala proiezione.
Una volta sistemato, chiamava la maschera, un giovane ragazzo eritreo , il quale immancabilmente tutte le volte mi offriva una bottiglia di aranciata San Pellegrino. Questa aranciata era confezionata in una strana bottiglia panciuta, con un lungo collo, e non aveva il tappo a corona, il liquido era imprigionato nella bottiglia per il tramite di una sfera di vetro, che io con il dito spingevo verso il basso, facendo così liberare la bibita che era contenuta nella bottiglia. Sorseggiavo la mia bibita e alla fine di nascosto scendevo in cortile, mi appartavo in un angolo e con una pietra rompevo la bottiglia per recuperare la sfera di vetro, con la quale il giorno dopo avrei giocato a biglie.
A fine turno, mio padre, mi svegliava perché il più delle volte cadevo addormentato e tornavamo a casa. Ricordo ancora con dolcezza mio padre che, anzicchè tenermi per mano mi guidava mettendomi la sua mano sul collo lì tra nuca e spalle. Nel periodo di durata della guerra il cinema rimase chiuso, (1940/41) poi con l’arrivo di padre Zenone ed il suo catechismo il cinema venne riattivato, ma solo ad uso privato.
Venne richiamato mio papà (nel frattempo rientrato dalla prigionia) il quale molto volentieri accettò di fare l’operatore la domenica pomeriggio per i ragazzi e i bambini del catechismo, e il giovedì sera per i frati e i ragazzi convittori del Collegio La Salle, per cui di diritto potevamo assistere alle proiezioni sia mio fratello Gianni che io.
Le cose andarono avanti finchè mio padre dovette andare in Arabia Saudita a lavorare, tanto che pensò bene di istruire mio fratello Gianni, il quale portò avanti l’impegno fino alla vigilia della sua partenza per l’Italia per frequentare l’università.(1948/1954). A questo punto subentrai io, che tenni l’incarico fino alla vigilia della mia partenza per la Nigeria (1961) e passai la stecca ad un caro amico di mio fratello Gianni, un certo Mauro Canevari. E qui si chiude la storia dei nostri rapporti con il Cinema Santa Cecilia.
Sul palcoscenico del cinema, in versione teatrale, nel corso degli anni tra il 1941 ed il 1963, si sono esibite schiere di bimbi dell’asilo con le loro rappresentazioni, i ragazzi del Collegio La Salle. Attori di provata esperienza professionale, interpretando commedie e drammi dei migliori autori contemporanei.
Hanno mosso i loro primi passi ragazzi e giovani che poi hanno avuto una brillante carriera artistica tra cui mi piace ricordare mio fratello Gianni, Remo Girone, Michele Placido, Domenico Colarossi, in arte Nico Fidenco, Renato Carosone, e buon ultimo, il prestigiatore e ventriloquo, Ennio Condomitti altrimenti noto a tutti come Il Seppia.
Giuseppe Storelli