UNA CRITICA MERITATA
Parte Seconda
L’Italia in l’Eritrea
Mi soffermo, qui di seguito, a contestare, ovviamente in breve, alcune affermazioni della signorina Wrong a proposito della nostra presenza coloniale in Eritrea.In fondo si tratta delle solite litanie che la Wrong ha voluto rendere più efficaci condendole con la descrizione di Filippo Cicoria.
Debbo riconoscere tuttavia che la sua è una buona penna che sa usare per insinuare, dire e non dire, lasciando ai lettori di farsi trasportare in un clima di psicosi anti italiana pericolosissima ed ingiusta. Tengo a precisare che non sono una sostenitrice del colonialismo, tantomeno di quello italiano. Ognuno dovrebbe starsene a casa sua, nel bene e nel male, ma non si può negare che la nostra colonizzazione ebbe meriti che altre non ebbero.
Non voglio dire, con questo, che gli Italiani furono tutti e sempre di inimitabile bontà e generosità. Anch’essi erano esseri umani e come tali soggetti a tutti i difetti e le colpe proprie del genere umano. Ma parlarne sempre e comunque male dimostra voluta ignoranza e malafede. Tale è la parte della Wrong a noi dedicata. E comincio da Ferdinando Martini il primo Governatore civile italiano.
Ferdinando Martini
Egli era giunto a Massaua per la prima volta con una delegazione che avrebbe dovuto mettere in luce e condannare crimini commessi da dirigenti italiani, ossia dal diplomatico avvocato Eteocle Cagnassi, Segretario agli Affari Coloniali dell’Eritrea, e dal tenete dei carabinieri Davide Livraghi, Comandante della polizia indigena della colonia. Ambedue si sarebbero resi responsabili dell’uccisione di molti ricchi massauini e di qualche capo religioso musulmano, al fine di impadronirsi delle loro ricchezze.
Tuttavia mai nulla di preciso si potette appurare ed il Martini, in una sua lunga relazione, accettò quanto riferitogli dalle autorità italiane locali in discolpa dei due personaggi.
Per quanto mi riguarda, mi pare molto strano che in una società come quella massauina di quel tempo composta da importanti e ricche famiglie musulmane, quali i Na’ib, i Bassmuss ed altri, oltre a rispettati capi religiosi musulmani (i Mirghani per esempio), si potesse ucciderli e impadronirsi dei loro beni con la massima facilità e impunità.
Qualcosa di brutto dovrà essere accaduto, ma non al punto che vorrebbe farci credere la nostra scrittrice la quale afferma che, una volta prosciolti gli imputati, i crimini sarebbero ricominciati. Ella, come al solito, trae le sue conclusioni copiando qua e là i testi di Del Boca. Ma si è mai curata di visitare una biblioteca come quella dei Pavoniani (Fratel Ezio Tonini) ad Asmara? O la Biblioteca-Archivio Africana del Professor Giancarlo Stella a Fusignano?
Avrebbe potuto attingere a fonti più dirette ed attendibili. Ma nulla di tutto questo è accaduto. Più facile ed immediato è stato riportare le affermazioni di Del Boca. Tutto va bene! Tanto chi ne sa niente?
Quanto al Martini, se all’inizio della sua permanenza in Eritrea ritenne opportuno “sorvolare” su alcuni aspetti negativi dell’amministrazione militare italiana, da lui peraltro chiaramente criticata, lo scopo fu quello più importante di recuperare, a favore dell’Italia, un territorio delle cui grandi possibilità egli andava sempre più rendendosi conto.
Quindi ridurre il Martini ad un “razzista voltagabbana” mi pare davvero “truccare la storia”.
E dunque, qualunque cosa si possa dire per denigrarlo, non può essere messo in dubbio che a lui spetta il merito di avere scoperte e inventariate le risorse dell’Eritrea, di averle dato un ordinamento civile, di averla avviata con acume politico e saggezza amministrativa ad una indubbia futura prosperità. A tal uopo egli ebbe anche il merito di essersi circondato di valenti collaboratori e di specialisti in ogni campo i quali, da lui incoraggiati, investigarono ogni aspetto, ogni risorsa, ogni possibilità dell’Eritrea per trarne le opportune positive conclusioni.
Opere pubbliche. Fra i collaboratori del Martini ricordiamo primi fra tutti l’ingegnere Odoardo Cavagnari e il professor Isaia Baldrati.
Il primo fu il padre di tutti i piani regolatori dei centri che sorgevano, dei progetti delle opere pubbliche da allora costruite ed in seguito portate a termine.
Agricoltura. Ciò che il Cavagnari fu nel campo dell’ingegneria coloniale, lo fu il Baldrati in quello dell’agricoltura.
Il grande impulso dato all’avvaloramento agricolo dell’Eritrea, soprattutto a favore delle popolazioni locali, fu anche merito del Baldrati ma soprattutto del Martini. Per cominciare, per suo volere furono restituite ai nativi quasi tutte le terre precedentemente ed erroneamente indemaniate.
Importantissima fu la creazione dell’Ufficio Agrario(1905), diretto dal Baldrati. Gli incentivi, gli aiuti anche pecuniari e le direttive rivolte agli agricoltori indigeni fanno parte di una politica lungimirante e avveniristica.
In campo agricolo-sanitario il Martini ebbe il merito di aver creato il grandioso Istituto Vaccinogeno Zooprofilattico dell’Eritrea (1905), al fine di combattere, tra i tanti mali di cui soffriva l’allevamento locale, soprattutto la cosiddetta peste bovina che decimava l’unica ricchezza del paese. Nell’ultimo periodo epizootico, precedente alla fondazione dell’istituto, il numero dei bovini morti superò i centomila.
Scuola. Il Martini è sempre stato accusato, a proposito della sua politica scolastica nei confronti degli Eritrei, di aver mantenuto gli studi in lingua italiana solo fino alla quarta o quinta elementare. Ma non si deve dimenticare che, all’inizio della nostra azione coloniale, le popolazioni locali erano formate soprattutto da pastori e agricoltori semi-analfabeti. La lingua parlata dalla maggior parte di loro (il tigrino) era solo orale e non scritta. Altrettanto dicasi per altre lingue locali come il bileno, il tigré, il cunama, il saho ed altre, essendo la lingua ufficiale soltanto l’amarico importato dall’Etiopia. Ciò non può essere attribuito alla maggior parte dei Musulmani la cui lingua di studio era l’arabo.
Martini, da quell’uomo intelligente e lungimirante qual’era, riteneva che l’indigeno dovesse essere immesso innanzitutto nella sua propria cultura (lingua, storia, tradizione, ecc.) per passare poi alla nostra che poteva essere un completamento. E certo non gli era ignoto il grande merito della nostra Missione Cattolica alla quale si deve soprattutto l’aver rese scritte le suddette lingue che divennero base di studio e di propaganda sociale e religiosa.
Le scuole, i collegi, gli orfanotrofi diffusi in ogni parte della colonia, ove si insegnava la nostra lingua insieme a quella locale, nacquero e si svilupparono ad opera dei nostri religiosi ed il Martini non poteva ignorarlo. E certo non lo impedì.
Ma cultura italiana era anche la formazione professionale, prima ignota agli indigeni, che ne fece espertissimi artigiani e tecnici in ogni campo. L’insegnamento ovviamente era in italiano, oltre alla lingua propria degli allievi (come il tigrino o l’arabo).
Sicurezza.Allorché il Martini si accinse a fare dell’Eritrea una parte dell’Italia, la situazione dal punto di vista della sicurezza era quanto mai difficile e precaria. Gli sparsi e inermi villaggi erano continuo oggetto di assalti, omicidi, distruzioni e razzie da parte di predoni d’ogni genere e provenienza. Per poter creare condizioni adatte allo sviluppo pacifico del territorio da lui governato, il Martini dovette usare un polso molto fermo, non di rado ricorrendo a vere e proprie pene corporali o addirittura alla pena di morte. Scriveva nel suo diario:
“Ferimenti. Omicidi. Il brigante Addei Cattà sarà giustiziato poiché la grazia sarebbe considerata come un tale atto di debolezza che le rapine ricomincerebbero e, per salvare la vita di un solo uomo, si procurerebbe la morte di tanti nostri inermi pastori e agricoltori”.
Ne risultò tranquillità, pace e indubbio progresso economico.
Religione. Di grande lungimiranza fu la politica religiosa del Martini, volta a mantenere e cementare i buoni rapporti tra gli appartenenti alle religioni più importanti del paese ossia la cristiana-copta e l’islamica. A tal uopo ricordo che, oltre ad alcune chiese restaurate o fatte costruire ex novo, furono edificate durante il suo governo ben cinque moschee, tra le quali soprattutto il cosiddettoMausoleo Verde di Massaua, ove furono e sono custodite le spoglie di Mohammed Al-Mirghani, capo della Mirghania, la più importante confraternita religiosa dell’Eritrea.
Martini il diplomatico. Ai suoi grandi meriti di amministratore si deve aggiungere quello, non meno importante, di finissimo diplomatico.
Seppe infatti mantenere con l’Etiopia di Menelik rapporti più che cordiali ed evitare conflitti con il confinante Tigray, sconvolto sempre da ribellioni contro il potere centrale.
Importantissimo, per quel che concerne il rapporti con l’Abissinia, fu l’aver ottenuto da Menelik la modifica del confine meridionale dell’Eritrea inglobandovi il territorio dei Cunama già appartenuto all’Etiopia.
Il coronamento dell’azione diplomatica del Martini fu il suo viaggio trionfale ad Addis Abeba e, prima ancora nel tempo, quello in Eritrea del Governatore del Tigray, il Deggiac Gherasellasié, il quale, congedandosi dal Martini, gli confidò:
Io amo innanzitutto l’Imperatore ma dopo di lui, subito, nel mio cuore viene il governo italiano.
Per terminare sul Martini, i suoi meriti furono tali e tanti che le superficiali accuse della signorina Wrong lasciano il tempo che trovano.
Gli Ascari.
Altro argomento importantissimo da contestare è quello sugli Ascari. Le menzognere affermazioni della signorina Wrong, fatte cadere qua e là a detrimento dell’Italia, sono quanto di più vile possa esserci.
Secondo la Wrong, gli Eritrei che si erano arruolati nel nostro esercito lo avevano fatto perché, essendo stati privati delle loro terre, non avevano altro mezzo di sussistenza.
La politica agricola del Martini e dei suoi successori dimostra chiaramente il contrario.
È vero invece che a quel tempo (e forse ancora oggi), l’indigeno non era portato per il lavoro in genere. Egli in realtà era un guerriero nato e la sua aspirazione ed il suo sogno erano indossare una divisa abbellita da medaglie e decorazioni, mentre “oggetto di culto” era il fucile da portare in spalla quasi come un trofeo di caccia.
Non è questa una descrizione mia, ma di un loro comandante musulmano, pubblicata in arabo in una rivista degli anni ’30.
A questa descrizione ne aggiungo un’altra scritta in lingua amarica da un cristiano, ossia il signor Hayeet Beykadan, originario del Tigray, tradotta e pubblicata dal professor Luigi Fusella che fu ordinario di lingua etiopica presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli:
Nel nostro paese, fino ad ora, è considerato un disonore il mangiare, lavorando e faticando. Si dice che non sia conveniente per un giovane di buona famiglia … Tutti gli uomini del nostro paese, dai vecchi che camminano col bastone, ai ragazzi che non si puliscono il naso, tutti dicono di essere soldati.
Mi ha dato conferma di questa verità quanto mi diceva la mia dolce e santa suora, Suor Anna Carolina Calzolaro, missionaria Figlia di Sant’Anna, vissuta in Eritrea per sessant’anni, ossia che l’Eritreo è più portato per la lotta armata che non per i lavori manuali in genere.
Un esempio recente è dato dalla prova di valore e coraggio data dai nuovi Eritrei che per trent’anni hanno combattuto valorosamente, come i vecchi Ascari, contro i dominatori etiopici vincendoli e dando l’agognata indipendenza al loro paese.
Ritornando al passato, comunque sia l’epopea dei nostri Ascari volontari e ardimentosi, musulmani o cristiani che fossero, non può essere messa in dubbio.
Rifiuto senz’altro ciò che la Wrong vuole insinuare e cioè che per addestrare quei soldati e renderli obbedienti alle nostre leggi si ricorse a veri e propri massacri di massa.
I suoi ottocento “ribelli” uccisi e fatti sparire erano forse i famosi predoni del Martini? Non so! Ma tutt’al più si è trattato di otto o diciotto persone, ma mai di ottocento. Che fantasia!
Tuttavia il torto infinito e gravissimo è quello dell’Italia del dopoguerra, ossia l’aver lasciato praticamente “morire di fame” quei poveretti la cui colpa fu solo quella di aver creduto in noi. Dicevano: Dopo Dio viene l’Italia.
Sogni! Non denaro, non riconoscimenti. Nulla.
Invano, allorché furono creati i partiti politici eritrei, fu costituita l’Associazione dei Veterani (marzo 1947) con lo scopo di chiedere al Governo italiano le pensioni di guerra spettanti agli ex combattenti eritrei. Più tardi, il 29 settembre 1948, sorse il partito Nuova Eritrea con il medesimo scopo. Ma nulla si ottenne, malgrado gli sforzi compiuti dal C.R.I.E.E. presidente mio padre dottor Vicenzo Di Meglio.
Piccoli aiuti pecuniari furono distribuiti agli ex combattenti. Ma nulla che potesse risolvere le loro miserevoli condizioni.
Ascari scifta? No, no e poi no, signorina Wrong! Gli Ascrari erano poveri. L’Italia li aveva traditi. È vero! Ma da qui a farne degli scifta, ossia quei terroristi che, negli anni ’47-’52, seminarono morte e devastazione fra gli Italiani, il passo è lungo.
Quei rinnegati erano soprattutto Etiopici, dotati delle armi più moderne per quel tempo, fornite loro dagli Inglesi occupanti e dall’Etiopia negussita. Se vi fu qualche nostro ex-combattente che si unì agli scifta, questo fu senz’altro un caso sporadico, non registrato da nessuna parte.
Inoltre le armi di cui secondo la Wrong erano ancora in possesso i nostri Ascari, erano di vecchio tipo, nulla a confronto di quelle in dotazione agli scifta.
Comunque sia, il governo italiano del dopoguerra e dopo, nulla fece per i nostri ex militari eritrei. Fu solo molto tempo dopo che venne concessa loro una miserevole pensione, vera e propria elemosina.
Per terminare con l’argomento Ascari, ribadisco di rifiutare in maniera assoluta il loro presunto coinvolgimento nel terrorismo eritreo. Mi parrebbe di calpestare l’onore di tanti Eritrei che sento miei fratelli.
A questo punto voglio riferire questo episodio alla mia scrittrice.
Ero una mattina nel cortile dell’Ambasciata d’Italia, in attesa d’incontrare mia figlia Clara Rose che vi lavorava come addetto commerciale, allorché entrò un vecchio signore eritreo, alto e magrissimo, vestito all’europea con un abito liso ma pulitissimo. Passando dinanzi alla nostra bandiera si irrigidì in un magnifico saluto. Era un Ascaro! Che emozione! Andava a ritirare la sua “elemosina”, ma ciò non lo fermò da esprimere, ancora e sempre, la sua devozione a quella che era stata la sua bandiera.
Le leggi razziali e l’apartheid (1938 ed oltre)
Le cosiddette leggi razziali furono un enorme errore di cui tuttavia a pagarne le amare conseguenze furono soprattutto i meticci, privati di famiglia e di nazionalità. Da notare che nessuna deportazione di elementi ebraici avvenne in Eritrea. Gli Ebrei che vi vivevano continuarono la loro vita normale senza essere né deportati e neppure maltrattati. Commerciati ed impiegati di fede ebraica continuarono a vivere nel più normale dei modi.
Che, a causa di quelle leggi, alcuni Italiani, non tutti per fortuna, profittando della loro fittizia superiorità, si comportarono in maniera indegna con l’indigeno, è dovuto soprattutto a cattiveria e cafonaggine e posso dire, ad onor del vero, che in fatto di buona educazione gli Eritrei hanno spesso di che insegnarci.
Comunque è un fatto che, proprio in concomitanza con gli anni delle suddette leggi (soprattutto tra il 1938 e il 1940), furono edificate molte delle opere pubbliche a favore degli Eritrei. Ricordo, ad esempio, il villaggio Maria Scalera, il Villaggio Azzurro, il quartiere di Archico con la grande scuola per Eritrei, la Grande Moschea e la Cattedrale Copta ambedue in Asmara e così via.
Le “conigliere” in cui, secondo la signorina Wrong, abitavano gli Eritrei, forse si trovano nel suo giardino!! La Wrong dice ancora che gli Eritrei dovettero cedere i loro negozi agli Italiani. Non sa la signorina Wrong o non vuole sapere che, oltre a chiese, moschee, interi villaggi, fu costruito ad Asmara nella cosiddetta Piazza Italia il bellissimo e funzionale Mercato delle Granaglie,destinato agli Eritrei, in cui essi vendevano, per loro stessi, per gli Italiani, o altri stranieri, generi alimentari di ogni tipo? Di fronte, nella stessa piazza, erano sistemati negozi di articoli vari che andavano dalle stoffe, agli abiti, alle suppellettili.
Inoltre, contrariamente a quanto dichiara la nostra scrittrice, gli Eritrei non erano costretti ad assistere a spettacoli teatrali o cinematografici nei loggioni dei nostri locali, ma avevano, sia ad Asmara che nelle altre città, cinema propri.
Per quel che concerne le abitazioni (ville, palazzi) sono d’accordo con chi afferma che gli Eritrei stessi preferivano vivere per conto loro, conservando le loro abitudini come, ad esempio, quelle culinarie per le quali per cuocere i loro cibi (anghera, chiggià, ecc.) era indispensabile servirsi dei loro fornelli e delle loro pietre roventi.
Ma torniamo al deprecato apartheid.
Quelle brutte leggi razziali, mantenute in vita dagli occupanti inglesi, ed anzi inasprite, non impedirono ai nostri Italiani, dagli umili operai agli stimati professionisti, di unirsi con donne eritree, non sempre belle, ma che forse avevano conservato nella loro femminilità qualcosa che le bianche avevano perduto.
Cosicché ad esempio nel 1947 si potevano contare ben ventimila meticci. E dunque l’apartheid degli Italiani lo fu “all’italiana”. Niente a che vedere con quella delle colonie inglesi o del Sud Africa.
Termino riportando questa significativa lettera scritta da un rifugiato eritreo ed indirizzata a Del Boca e Co., tramite il nostro Maitaklì, che si addice benissimo alla signorina Wrong.
A Del Boca … e non solo!
Vorrei rispondere al sign. Del Boca.
Io sono un Eritreo che a vissuto negli Anni 50 e penso che lei non offende solo gli Italiani di quei Tempi ma anche le centinaia di Eritrei che vivevano in quel periodo.
Non parlo di quello che hanno lasciato, ma di quello che tutti noi abbiamo usufruito nella nostra Infanzia, Amicizia, Educazione e Fratellanza. Non saranno i Suoi Libri a cancellare quei ricordi in me Eritreo.
Gli Italiani non sono stati come gli Inglesi che hanno fatto Tabula Rasa dei beni Eritei basta ricordarsi Il Cementificio e le Saline senza dimenticare la Via Asmara-Massawa della Littorina. Forse io penso che il giudizio sul come si sono comportati gli Italiani lo deve lasciare alla nostra Generazione che ha vissuta nel bene o nel male ma mai con lo sfruttamento o distacco Umano (Apartheid) di cui parla Lei.
p.s. Uno di quei 634 FIAT li guidava un certo Crescenzi Amedeo che era il mio Padre Adottivo.
Mahari Seghid
African Refugees News
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Rita Di Meglio