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Ciro d’Ischia sbarcato in Eritrea
Storia di un “africoischitano” della provincia del Sud
Asmara, Eritrea.
E’ la fine di novembre del 1993. Sono ad Asmara, nella nuova e libera Eritrea da Marina, che dopo qualche anno di insegnamento nella scuola elementare di Serrara Fontana ad Ischia è tornata qui, in Africa Orientale, che ha conosciuto qualche anno fa, tra i bambini della Scuola Elementare Italiana “M. Buonarroti”, nome che per una scuola ritorna familiare anche in madre Patria.
E’ infatti, quella parte d’Africa un tempo italiana, lo si avverte nelle strade, nelle insegne dei bar e dei negozi, nelle voci dei bambini, che pur non conoscendo un passato ormai lontano ti chiamano festosamente “ tiliano”.
Si percepisce fra gli anziani, un tempo “Ascari”, quei nostri fedeli soldati d’avanguardia delle colonie d’oltremare che sacrificarono la loro terra, spesso la loro vita, per un “posto al sole” di un sogno italiano senza futuro.
Ed è proprio uno di costoro elegante e dignitoso, in doppio petto e borsalino che inavvertitamente urto al bar “Vittoria”, mentre sorseggio un eccellente caffè, e che alle mie scuse mi risponde in perfetto italiano: “non si preoccupi…”
E’ qui, in un fresco ed assolato pomeriggio asmarino che Marina mi dice, con un fare un po’ enigmatico: “vieni, andiamo a trovare un tuo compaesano!”
La cosa mi incuriosisce, ma sorrido con aria di sufficienza, e intanto penso ad un altro cimitero italiano o qualcosa del genere.
Saltiamo sulla jeep e ci avviamo sulla tortuosa e lussureggiante strada che da Asmara conduce 120 km giù, a Massawa, da duemilacinquecento mt sul livello del mare fino a quota “0”. Lungo la strada si osservano i binari della vecchia ferrovia italiana che conduceva fieramente al mare, tra queste impervie “Amba” dell’altopiano eritreo.
Dopo un’ora circa giungiamo in un piccolo paese lungo la strada, il suo nome è Ambatkala, poche case, una sorta di bar con un telefono pubblico, la scuola e quella che poi scopriremo essere l’infermeria.
Scendiamo dal fuoristrada e da una casa di legno, ai bordi della strada, spunta fuori un uomo di razza bianca, basso di statura, sorridente che in un evidentissimo accento ischitano si rivolge a Marina dicendo: “ah, si’ venuta, e chisto chi è, o’ guaglione tuo?”
Sono a dir poco perplesso, sconcertato, non so come presentarmi, ma a questo ci pensa Marina che gli replica: “Ciro, questo è del paese tuo, è di Ischia!”
Ciro (è quindi questo il suo nome) mi sorride e mi abbraccia, lui non è per nulla meravigliato, forse non ricorda più quanto sia lontana la sua terra …o forse non gli interessa molto…
Ciro Costa, di Campagnano d’Ischia, 81 anni, marinaio e poi infermiere, dal 1936 in terra d’Africa senza nessun rimpianto, felice della sua semplice e sensata esistenza.
Ci invita nella sua casa, gli regalo volentieri dei quotidiani italiani che ho nell’auto (che mi riferirà non leggerà lui, ma il prete), ci offre del caffè. Lo osservo, è sereno, ed è tra le rughe del suo inconfondibile volto isolano che si rivelano i segni di un’esistenza non facile.
Marina ci guarda divertita, ma parla poco, tra me e Ciro c’è un feeling profondo, confidenziale. Mi chiede di Ischia: “ ma adesso c’è l’acqua? Ma viene sempre da San Nicola? E la strada adesso gira tutta l’isola?”
Mi chiede del Dott. Di Meglio di Piedimonte e del Capitano D’Ambra che attraversarono questa terra e navigarono per questo mare, mi parla dei suoi figli Carlo, Vincenzino ed Anna, nati in terra d’Africa e poi tornati in quel di Ischia, del Dott. Albini che è venuto a trovarlo qui lo scorso anno.
Sulle mura lignee della sua casa, tra un vecchio calendario di Frate Indovino e una cartolina del castello aragonese campeggia il suo Diploma Onorario di Cavaliere della Solidarietà, con tanto di firma del Ministro degli Affari Esteri.
A questo punto parlo io, mi è difficile riferirgli di Ischia, di quella Ischia che lui ricorda, ci rinuncio e gli chiedo: “Ciro, ma cosa avete fatto in tutti questi anni?”
Egli mi guarda come se fosse la domanda più stupida del mondo: “L’infermiere – mi risponde – qui hanno bisogno di me, sono musulmani, cristiani, povera gente, ma i bambini si devono curare, mi servirebbe la penicillina, il chinino, ogni tanto qualcuno li porta, ma servono molti medicinali, qui vengono tutti da me, ho fatto nascere centinaia di bambini, e che devo fare, loro non hanno soldi!”
Sono sbigottito, cinquanta e più anni passati qui, tra guerre e carestie, tra soldati italiani, inglesi, etiopici, guerriglieri eritrei, e ricorda il tempo in cui c’erano tante arance e “ben di Dio”!
Mi racconta della guerriglia degli ultimi anni, mi illustra i buchi dei proiettili sulle pareti lignee della sua casa e sorride indicandomi all’esterno: “…ma io ero sotto a quel ponte!”
Mi chiede quando tornerò, gli servono le medicine, lui i pochi soldi li spende comprando medicine e caramelle che confeziona in eleganti pacchetti per i bambini.
Aspetta la pensione italiana, dice: “Arriverà! – e sorride ancora – forse verrò ad Ischia, non so quando, tu salutamela, io sto bene!”
Al buon Ciro, Eroe silenzioso.
Asmara, novembre 1993
a cura di Rita Di Meglio, tratto da "Racconti di sale" di Bruno Iacono