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SLIDING DOORS
Se ne parla poco, anzi mai, ma perché dimenticare l’importanza che ebbe Asmara attorno agli anni 50-60 del secolo scorso come centro medico del Corno d’Africa e dintorni? Dallo Yemen, dall’Arabia Saudita, Aden, Etiopia, Sudan, chi si voleva far curare al meglio veniva all’Asmara, la nostra beneamata città.
Come non ricordare i vari Ferro-Luzzi, Manfredonia, Di Meglio, L’Abbate, Sforza, Plazi, e decine di altri medici che diedero lustro alla Medicina asmarina? Su tutti il dottor Musso e la sua formidabile squadra: Boveri, Vigili, i fratelli Silla, Guizzardi, Musso era il chirurgo dalle mani d’oro, la sua fama si espandeva su tutto il Corno ed oltre.
A simbolo del fulgore medico della beneamata, la Scuola di Medicina che per anni ha sfornato professionisti di sicura competenza.
Eh si, bisogna ricordare, non possiamo far cadere nell’oblio ( inveterata qualità italiota) una delle tante buone cose che noi italiani abbiamo fatto in quelle regioni. L’organizzazione sanitaria eritrea, che il pragmatismo britannico dopo l’occupazione della Colonia aveva lasciata autonoma e intatta, risaliva ovviamente agli anni della dominanza italiana e italiana era rimasta anche se nei primi anni 50, al tempo della breve convivenza dell’Eritrea con l’Etiopia, i vertici erano passati alla competenza eritrea, ciò che non impedì a decine di neolaureati italiani di trovare immediato impiego su tutto il territorio dell’ex Colonia.
Vi era allora un solo medico eritreo, il compianto Ibarek Ghebrèizghiaber, un po’ spaesato all’inizio, ma poi completamente integrato con i colleghi italiani. Anch’io, fresco di laurea, volli seguire l’esempio dei miei connazionali, ma le cose non andarono come sperato a causa del mio malriposto orgoglio. Le cose andarono così. Tornato all’Asmara dopo aver conseguito la laurea in Medicina a Pisa, mi recai baldanzoso nell’ufficio di Atò Mebratù, il pacioso ras della Sanità eritrea, per chiedere di essere assunto.
L’ufficio era ubicato in un bel fabbricato dell’Ospedale Iteghè Mennen, già Regina Elena; per essere presentato all’atò giustamente passai prima dal suo segretario, un giovanotto smilzo con la classica giacchetta sdrucita all’eritrea, il quale gentilmente mi fece accomodare sull’unica sedia di tipo parrocchiale che, oltre al modesto tavolino e sedia del segretario, arredava lo stanzone.
Mi disse di aspettare qualche minuto in quanto atò Mebratù era momentaneamente occupato. Per inciso, mi riferisce Causarano, cardiologo di punta della Medicina eritrea, che l’atò Mebratù era solito definire i malati come “carne da curare” ……”ti mando ad Addì Caieh, lì c’è molta carne da curare”…..Esempio di stringata, adorabile logica africana: se c’è carne da macello per un militare, carne da curare per un medico, o no? Tornando al mio fatto, mi sedetti e, aspettando, cominciai a divagare col pensiero sul mio prossimo sicuro futuro professionale. I minuti passavano, dieci, venti, mezz’ora….. dopo circa un’ora, la sedia parrocchiale era un po’ scomoda, un subitaneo trambusto mi destò dal mio torpore pensoso.
Accolto con profusione di Danastellin”, inchini e “iscì” entrò nello stanzone un giovanotto, non so se eritreo o etiopico, piuttosto ben vestito, altezzoso e palesemente soddisfatto della deferenza che suscitava.
Seppi successivamente che era un giovane medico appena laureatosi in Inghilterra.
Bene, venne immediatamente ricevuto dall’atò Mebratù, ed io lì su quella sedia parrocchiale come un salame. Ah no! Questa palese disparità di trattamento, col senno di poi umanamente giustificabile, non poteva essere tollerata: Mi alzai e, sfidando lo sguardo sorpreso e forse dispiaciuto del segretario, orgogliosamente imboccai l’uscita dello stanzone, immergendomi nell’impareggiabile azzurro del cielo asmarino, deciso ad orientare la mia sorte verso altri lidi.
Sliding doors dunque: se fossi stato ricevuto subito dall’atò, se non fosse arrivato in quel momento il giovane medico, se, se… quale sarebbe stato il mio destino? Carne da curare, va bene, ma poi? Non è angosciante constatare che anche minimi e insignificanti episodi ti possano improntare la vita? Darwin?
Nello Frosini