CHODOC, 28 giugno 1905

di Raffaele Laurenzi

 chodoc

Come un Moloch insaziabile, vent’anni dopo l’«Aveyron», esattamente il 28 giugno 1905, Guardafui reclama un ulteriore sacrificio dalla Francia: il «Chodoc», intrappolato una dozzina di miglia a sud del Capo, a poca distanza dal relitto rugginoso dell’«Asturia», piroscafo tedesco che capo Guardafui ha inghiottito pochi anni prima.

Il «Chodoc», come l’«Aveyron», proviene dai possedimenti francesi in Indocina. Trasporta un carico di 3000 tonnellate di riso, mille tonnellate di gomma e caffè, 610 persone tra passeggeri, truppa ed equipaggio. Con i suoi 126 metri di lunghezza, è una delle più grandi navi che vedono finire la loro carriera nei bassi fondali di Guardafui. La notizia del naufragio viene pubblicata dal popolarissimo «Le Petit Parisien» il 4 luglio: «Si deve registrare la perdita di una nave della Società Chargeurs, il “Chadoc”, presso il capo Guardafui, nel golfo di Aden. Vi sono state due vittime. Il resto dei passeggeri e dell’equipaggio è in salvo. Lo si è appreso ieri con un telegramma inviato dai Lloyds di Aden.»

In realtà l’abbandono della nave è assai più drammatico di quanto la breve cronaca de «Le Petit Parisienne» lasci intendere. Esaminata la situazione, il comandante ordina che passeggeri ed equipaggio abbandonino la nave, inclinata per 50 gradi, e raggiungano la vicina spiaggia, presso il promontorio. Invece il comandante e due uomini si blindano sul ponte di comando del «Chadoc», dove hanno ammucchiato tutte le armi, e per tre giorni lanciano segnali luminosi con la speranza di attirare l’attenzione di una nave di passaggio. Intanto, sotto i loro occhi, i migiurtini ormeggiano i loro sambuchi al relitto, saltano a bordo e danno inizio il saccheggio.

I naufraghi sulla spiaggia - tra questi donne e bambini - affrontano due giorni di forte disagio e paura: senza abiti di ricambio, con poco cibo e poca acqua, avendo per riparo soltanto le lance di salvataggio. Hanno armi e sono decisi a usarle, temendo gli uomini di essere uccisi e le giovani donne rapite e vendute come schiave. Invece i pirati li ignorano, preferendo dedicarsi al saccheggio della nave, più redditizio e urgente.

Due giorni più tardi, l’ntervento del sultano capovolge la situazione: i naufraghi ricevono cure ed ospitalità; il saccheggio della nave viene sospeso.

Il terzo giorno, l’incrociatore ausiliario russo «Rion» risponde ai segnali lanciati dal «Chodoc» e invia delle lance. Considerata la situazione di rischio in cui si trovano i naufraghi, il comandante dell’incrociatore ordina che siano tutti presi a bordo. Gli uomini validi si sarebbero sistemati alla meglio sul ponte della nave; donne,bambini e malati sotto coperta, nel miglior modo che una nave da guerra può offrire.

Alle ore 9 del 3 luglio il «Rion» leva le ancore, destinazione Aden. Mentre l’incrociatore russo si allontana dal promontorio fatale, i marinai e i passeggeri del «Chadoc» lanciano un ultimo sguardo alla loro nave, ora proprietà incontrastata del sultano della Migiurtinia assieme al suo prezioso carico, agli arredi, alle armi e ai bagagli che i passeggeri non hanno potuto portare con sé.

Il caso vuole che lo stesso giorno del «Rion», giunga ad Aden il piroscafo francese «Polynesien», diretto a Gibuti, che prende a bordo i naufraghi e, avendo i medici constatato le condizioni pietose dei naufraghi, salpa immediatamente per la colonia francese.

D’ora in poi, i relitti del francese «Chodoc» e del tedesco «Asturia», semisommersi dalle onde, condivideranno lo stesso destino, finché il mare non ne avrà rosicchiato l’ultimo lembo di acciaio.