{fastsocialshare}
Ma gli Eritrei erano anche così…
Sul finire degli anni sessanta un altro notevole scaglione di Italiani abbandonava quelle Terre, tra loro la mia famiglia. Io no, non ne avevo avuto il coraggio e mi sono trasferito in Etiopia per restare a mia volta deluso e dopo un altro decennio di duro lavoro, raggiungere la Madrepatria (?) nei primi anni settanta.
Non vi dico il mio stato d’animo quando ho visto smantellare la casa e svendere i pochi beni a chi intendeva acquistarli, vedevo il mio mondo e quello dei Miei svanire nel nulla, tre generazioni di lavoro e di impegno.
Mio padre, un proletario, un operaio delle Ferrovie, un fuoriuscito dal 1941 al1947 per non cadere in mano agli Inglesi, era però un sognatore: un uomo che voleva a tutti i costi migliorare costantemente il tenore di vita della sua famiglia. Voleva dimostrare di non essere da meno alla famiglia, invece, di mia madre.
Gli stretti parenti da parte di madre erano invece borghesi, famiglia di costruttori ai quali erano ascrivibili molte ed importanti opere eseguite in Eritrea. Non sto qui a descriverle, né l’ho mai fatto prima d’ora, finché una ricerca di una architetta: Anna Godio, alla quale va tutta la nostra riconoscenza, li cita come cita le loro opere nel suo libro “Architettura italiana in Eritrea” (La Rosa Editrice) rendendoci giustizia senza neanche conoscerci personalmente.
Tra i sogni di mio padre, oltre alcuni tentativi di industriale in proprio, vi era quello di costruire una villetta che non fosse opera, appunto, dei parenti costruttori. Acquistò allora un terreno nel rione “Settantotto” allora destinata a zona d’espansione residenziale, e lo tenne lì sperando in tempi migliori.
Allora mio padre era anche membro attivo del C.R.I.E. rappresentante dei lavoratori delle Ferrovie perché si portava dietro l’antico retaggio di una famiglia ottocentesca socialista, quando ancora in Italia ce n’erano pochissimi. Quindi, per il suo altruismo, conosciuto e da molti apprezzato.
Un giorno gli si presentò una donna, una signora italiana, disperata che aveva sposato un Eritreo, un caso rarissimo; e gli disse di avere bisogno d’aiuto perché, appunto, versavano in cattive condizioni ed avevano anche dei bambini. Gli disse di essere stata una cameriera del gen. Badoglio ed anche il marito era stato al suo servizio. La loro condizione era, all’epoca, molto imbarazzante e discutibile. Il generale rientrato frettolosamente in Italia dopo la conquista di Addi Abeba, li aveva abbandonati a se stessi.
Mio padre disse, alla signora, di poter fare poco ma che avrebbe ceduto loro il terreno acquistato al “Settantotto”; lei quindi si ripresentò con il marito il quale, espressa la sua gratitudine, si impegnava a coltivarlo, a costruire una casetta e che per sempre si sarebbe ricordato del favore ricevuto. Ciò accadeva nell’immediato dopoguerra poi di queste persone non ne sapemmo più nulla, solo che avevano preso possesso del terreno e che lì vivevano.
Quando però i Miei erano intenti a disfare la casa, con le valige quasi pronte, l’Eritreo, che l’aveva saputo, tra loro funzionava un servizio d’informazione che… altro che C.I.A.! si presentò con una mazzetta di dollari vecchi, avvolti in uno straccio, chiaramente messi con fatica e sacrificio, l’uno sull’altro per un ammontare di mille dollari, appunto.
Presentandosi così per acquistare il terreno del quale noi non si faceva più alcun conto. Mio padre cercò di dissuaderlo dicendogli che non era il caso, che comunque il terreno era ormai suo, se non altro per usocapione, erano passati ormai quasi venti anni, che l’aveva ceduto solo a fin di bene per la sua “discriminata” famiglia, che non li avevamo mai più visti Non ci fu verso, volle pagare a tutti i costi e lo costrinse ad accettare.
L’unico, questa volta mio, rimpianto: di non aver saputo il nome, di non avere una foto o uno scritto di questo uomo e della sua famiglia. L’unica soddisfazione : di ricordare almeno il fatto.
Anche di questo sono stati capaci alcuni Eritrei, che noi riconoscevamo essere esemplari pur in un Mondo che ci crollava addosso e dove in molti approfittavano e gioivano per le nostre partenze.
L’immagine è quella attuale della ex nostra casa in Piazza del Commissariato.
Rivalta settembre’17. Cristoforo Barberi.