DANCALIA SETTENTRIONALE
Etiopia: a 30 anni dall'ultima avventura dancala del CAI di Asmara,
due lodigiani la ritentano con successo
Diario di viaggio di Bianca Cremonesi e Alberto Vascon (CAI Lodi) - foto: B.Cremonesi - A.Vascon
Bianca Cremonesi e Alberto Vascon (CAI Lodi)
Dancalia: grande triangolo compreso fra l’altopiano etiopico, somalo e il mar Rosso, imboccatura della grande spaccatura africana conosciuta come la Great Rift Valley, che si estende fino alla Tanzania e al Mozambico
La Dancalia settentrionale era una volta mar Rosso, poi dalla terra si è alzata una serie di monti che l’hanno separata dal mare e l’acqua evaporata ha lasciato depositi di sale di centinaia di metri di spessore e depressioni che arrivano a 116 metri sotto il livello del mare (il lago Assal a Gibuti raggiunge i -153)
Il percorso, segnato con una tratteggiata in neretto (carta tratta dall’Atlante mondiale di Opera Multimedia SpA)
Questa terra bruciata dal sole, con colate di lave taglienti e baluardi basaltici, deserti sabbiosi e distese di sale, è uno dei luoghi più inaccessibili ed inospitali della Terra, per le alte temperature, la mancanza d’acqua e il terreno impervio e ostile. Non piove mai durante tutto l’anno, e le acque dei pochi torrenti che scendono dall’altopiano si perdono nel deserto assorbite dalle sabbie o evaporate
E’ stata evitata dai turisti e dai più esperti viaggiatori anche per la sinistra fama che hanno i Dancali di usare con facilità coltello e fucile
La Dancalia settentrionale è stata attraversata per la prima volta nel 1928 dalla spedizione di Nesbitt, Pastori e Rosina con un memorabile viaggio di oltre 1300 km da sud a nord. Nel 1929 la spedizione Fanchetti la attraversò da est a ovest alla ricerca dei resti della spedizione Giulietti che, partita da Assab nel 1881, era stata massacrata
Successivamente la Dancalia settentrionale è stata attraversata tre volte negli anni 1971-74 da tre spedizioni organizzate dal CAI di Asmara sotto la presidenza di quell’accanito esploratore dell’archeologia eritrea che è stato Vincenzo Franchini. Le spedizioni del CAI partivano dall’altopiano etiopico a Macallè, seguivano la pista del sale fino al lago Assale e Dallòl, e raggiungevano il lago Afdera, ex lago Giulietti. Nel 1995 una spedizione degli Argonauti Explorers di Milano, nel tentativo di attraversarla, è stata bloccata dai Dancali.
Al centro della depressione dancala, dal lago Afdera all’Assale, s’innalza una catena di vulcani che prende il nome dall’Erta Ale, che in Afar significa “monte che fuma”. L’Erta Ale è un vulcano alto 613 metri; non ci sono piste né sorgenti, e la temperatura varia dai 45 ai 60 gradi all’ombra. E’ uno dei quattro vulcani al mondo che presenta costantemente la lava bollente a cielo aperto (gli altri vulcani con laghi di lava sono il Kilauea nelle Hawaii, il monte Erebus nell’Antartide e il Nyiragongo nella Repubblica democratica del Congo)
I vulcani della depressione dancala sono stati scoperti da Nesbitt nel 1928, ma l’Erta Ale è stato esplorato solamente nel 1967 dalla spedizione italo-francese con l’elicottero di Tazieff e Marinelli. Fu visitato tre volte negli anni settanta dalle spedizioni organizzate dal CAI di Asmara, poi nel 1997 da una spedizione di sette fuoristrada organizzata dagli Argonauti Explorers di Milano armati di telefono satellitare.
Nessuno è mai salito sull’Erta Ale ed attraversato la Dancalia settentrionale nello stesso viaggio in solitaria. L’impresa è però riuscita a due soci del CAI di Lodi, Alberto Vascon, ex-asmarino, e Bianca Cremonesi, caparbiamente innamorati dell’Etiopia ( nel 1999 sono stati i primi turisti ad arrivare dai Surma in macchina)
Dal diario di viaggio:
27 febbraio
Alle 24 l’aeroporto nuovo di Addis Abeba ci dà il benvenuto. Fuori ci attende da ben 4 ore (a dispetto delle novità nelle strutture, i ritardi non vengono annunciati) Ghirma, il bravissimo e fidato autista etiopico che conosciamo da anni. Con il capo avvolto in un asciugamano bianco di spugna per ripararsi dall pioggia, agita le braccia per farsi riconoscere, impaziente di intraprendere con noi una nuova avventura che lo porterà a scoprire un altro angolo della sua patria
28 febbraio
Fatta scorta di viveri ed acqua per una decina di giorni, con la Toyota noleggiata ci dirigiamo verso Afdera, punto di partenza per la traversata della Dancalia. Prima di scendere in Dancalia, passiamo da Uongi per salutare Padre Giuseppe Giovanetti, un lodigiano da oltre 30 anni missionario in Etiopia, che lasciamo alle prese con la distribuzione di acqua potabile e viveri nella sua zona di missione, particolarmente colpita dalla carestia. Ci fermiamo a pernottare a Stazione Auasc.
1 marzo
Ad Assaita, capitale della regione Afar, otteniamo il permesso per entrare nella Dancalia settentrionale. Dormiamo su una terrazza che sporge sul fiume Auasc. Per tutta la notte lottiamo contro il vento che vorrebbe strapparci le zanzariere. Una porta e una finestra senza né vetri né infissi ci separa dalla camera che ospita per l’ultima notte una ragazza americana che, con difficoltà per problemi logistici, provvede alla distribuzione di cibo in questa regione, pure toccata dalla carestia
4 marzo
Siamo al lago Afdera, ex lago Giulietti. Dopo una notte ancora ventosa, con raffiche che imperversano contro la nostra tenda e sollevano cumuli di polvere, il comandante della polizia locale ci assegna tre poliziotti Afar che ci faranno da scorta: sono del luogo e conoscono perfettamente l’itinerario che intendiamo seguire. La prima tappa di 70 km ci porta, attraverso una distesa infinita di lava interrotta da banchi di sabbia e tratti argillosi, ad Abdallali, villaggio afar di sole tre capanne.
Durante il percorso, reso difficoltoso da folate di vento che sollevando la sabbia impediscono la visibilità, una sosta di 3 ore all’ombra di un cespuglio nei pressi del villaggio di Dodom ci consente di concordare l’invio ad Abdallali di 4 cammelli per il mattino successivo. Come accade ad ogni sosta, siamo attorniati da un nugolo di bimbi in abiti laceri, smaniosi di scambiare con noi qualche impacciata e semplice battuta in inglese; espressioni di incertezza e curiosità nell’assaggio di una caramella, occhi scintillanti di gioia al dono di una biro. In un caldo pazzesco arriviamo ad Abdallali alle sei di sera, dopo essere passati ad ovest dei primi vulcani del gruppo dell’Erta Ale. Abbiamo bevuto ben quattro litri d’acqua a testa.
5 marzo
Dopo una notte passata nella guest-house del villaggio (tucul di pietra a secco e frasche, rinfrescato dal vento che riesce a filtrare fischiando), da Abdallali ci dirigiamo coi cammelli verso l’Erta Ale, che dista 25 km
Partiti all’alba, ci troviamo subito in difficoltà a mantenere l’equilibrio dall’alto della groppa di questi animali che, incuranti di massi, spaccature e terreno accidentato, su cui crescono soltanto radi cespugli spinosi, procedono col loro pesante carico verso la meta. Dopo una tregua di 4 ore all’ombra dell’unico albero esistente sul percorso, riprendiamo la marcia e alla sera ci accampiamo ad un’ora dalla vetta dormendo a cielo aperto: sopra di noi una limpida volta stellata, intorno buio assoluto e silenzio, rotto da qualche folata di vento
6 marzo
Prima dell’alba c’incamminiamo nell’oscurità verso la vetta. La temperatura durante la notte si è abbassata e, alla luce della pila, si cammina agevolmente. Le prime luci del sole che sta sorgendo ci consentono di calarci dall’orlo del cratere nel suo interno: accanto a numerose fumarole, in questo cratere ellittico che misura 0,7 x 1,6 km, sul fondo di un pozzo verticale del diametro di circa 140 metri vediamo, 100 metri più in basso, ribollire ed esplodere la lava fusa del vulcano, dalla temperatura di 1000 gradi. Negli anni 70 la lava arrivava al limite superiore del pozzo e tracimava all’esterno, come testimoniano foto scattate dal CAI di Asmara
Tazieff però, nella sua visita del 1967, aveva visto la lava al livello attuale, cioè in fondo al pozzo. Sembra infatti che la lava bollente si alzi e si abbassi periodicamente. Dopo una camminata attraverso un paesaggio fantasmagorico in cui la lava ha creato le forme e i disegni più contorti, verso le dieci riprendiamo la via del ritorno, sostando nelle ore più calde sotto l’albero del giorno prima. La discesa in groppa al cammello è estenuante e, a tratti, preferiamo seguire i cammelli a piedi. Alle otto di sera, in una notte buia e senza luna, siamo di ritorno ad Abballali. Gli Afar coi loro cammelli, viaggiando nel buio più completo, ci hanno portato a destinazione senza sbagliare di un metro. Il nostro tentativo di accendere le pile ci è stato impedito perché avrebbe creato disturbo ai cammelli.
7 marzo
Ora, con spirito rinvigorito dal nostro primo successo, tentiamo la traversata. Una tappa di 90 km ci dovrà portare ad Ahmed Ela, 20 km a sud di Dallol, centro di raduno per le carovane del sale. La Toyota procede su terreno difficile fra dune e banchi di sabbia sciolta, con rara e sporadica vegetazione. A mezzogiorno arriviamo a Uaideddo, vastissima oasi del diametro di otto km abitata da pochi Afar. Ripartiamo alle 16. Si fa sempre più tormentata la ricerca della via da seguire: a tratti i militari scendono correndo in perlustrazione per trovare il passaggio fra le dune. Sulla destra, ad est, abbiamo la serie di vulcani che si ergono su una immensa colata lavica dove, secondo Nesbitt, la temperatura sale a 75°. Un’ora dopo, a 15 km da Ahmed Ela, c’insabbiamo, ma per fortuna dopo un quarto d’ora riusciamo a ripartire e, arrivati in vista del lago Assale, esplodiamo di gioia. Siamo nel Piano del Sale, immensa distesa bianca perfettamente livellata che si estende fin oltre Dallol. Al tramonto arriviamo ad Ahmed Ela, il pozzo di Ahmed
8 marzo
La mattina scorrazziamo sull’Assale in secca per percorrere gli ultimi 20 km che ci separano da Dallol. Il lago Assale, che si trova a una quota di circa -116, è un lago mobile che si sposta con i monsoni. I monsoni invernali lo spingono a sud, a ridosso dei vulcani, quelli estivi a nord, dove può raggiungere e superare Dallol. Da questo lago partono le carovane di 2000 animali che ogni giorno, per 5 giorni alla settimana e per otto mesi l’anno, portano il sale sull’altopiano etiopico.
Costeggiandolo, con la fantasia sentiamo riecheggiare i colpi d’ascia e le cantilene uditi due anni or sono mentre osservavamo con sofferenza l’estenuante lavoro che da secoli si svolge sotto il sole implacabile in questo angolo sperduto del nostro pianeta. Il paesaggio di Dallol ci colpisce con le sue coloratissime concrezioni rosse, gialle, bianche e verdi, formate dall’essiccamento delle soluzioni saline emesse dalle numerose sorgenti geyseriane.
Per il ritorno sull’altopiano, la pistaccia di 150 km e 2500 metri di dislivello, già percorsa due anni fa, ci porta ad Agulà e quindi a Macallè, dove non può mancare un brindisi con spumante. Peccato che Ghirma, il nostr o fedele, coraggioso e valido autista, ma anche ortodosso strettamente osservante, per il lungo e ferreo digiuno quaresimale, possa unirsi a noi solo spiritualmente per brindare a questa solitaria prima mondiale, di cui è molto orgoglioso. Anche per lui è finito l’incubo dei Dancali armati... Forse ne abbiamo sfatato il mito sinistro?
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Durante la traversata abbiamo rilevato i nomi dei vulcani della depressione, che risultano diversi da quelli riportati da Nesbitt. Da sud a nord i nomi sono: Marahà, Ale Gobu, Amaitoli, Erta Ale, Borale Ale, Dalafilla, Eiscia Ale, Chibrit Ale, Gada Ale.
Bianca Cremonesi e Alberto Vascon
(Mai Taclì N. 4-2003)