Piccolo episodio di paura
Era una notte piena di stelle, si è vero, è la solita frase abitualmente usata per l’apertura di un racconto Africano, ma vi assicuro che la ricordo proprio così. I piatti smaltati dei vecchi lampioni diffondevano una luce fioca che si esauriva debolmente in una nuvola di insetti notturni.
Si tornava a casa dall’unico cinema del paese. Camminavo di fianco a mio padre e, a parte il rumore dei passi sulla sabbia e qualche cane che abbaiava al nostro passaggio, Cheren a quell’ora era buia e silenziosa.
Avevo nove o dieci anni, fantasticavo pensando al film appena visto e osservavo con curiosità quel cielo vellutato fitto di puntini luminosissimi.
Era quasi mezzanotte e ad un tratto sentimmo delle voci, prima attutite e lontane poi pian piano sempre più vicine.
Spuntarono improvvisamente dal buio ridendo e sbraitando, erano in tre, uno traballante visibilmente ubriaco. Non appena ci videro, prima si fermarono a confabulare poi si avvicinarono a noi con aria minacciosa tagliandoci la strada..
Tempi duri e pericolosi, allora!. Iniziava a serpeggiare l’intolleranza. La politica e quindi i partiti creavano odio tra i vari fronti in competizione. Gli Inglesi lasciavano fare… Si uccidevano persone soltanto perché erano inermi contadini che difendevano il proprio lavoro o autisti che operavano sulle strade. Ricordo che alcune volte si udiva il bisbigliare degli anziani che intendevano organizzare, se fosse stato necessario, una difesa ad oltranza nel Palazzo Riva. Insomma un periodo pieno d’incertezze e di preoccupazioni.
I tre manigoldi incominciarono a provocare agitando i grossi bastoni, strillando slogan e insulti. Potevo sentire il fetore dell’alcool che si sprigionava dai loro aliti e la rabbia nelle frasi sconnesse che pronunciavano. Ad un certo punto uno di loro disse minaccioso: “E se ti uccidessimo adesso? Siamo in tre contro uno!”. Spaventato da quelle parole mi avvicinai a mio padre terrorizzato, credevo di dover morire e ricordo ancora oggi il panico e la paura che mi prese allo stomaco.
In quel momento improvvisamente ecco che il mio eroe fece un passo indietro ed estrasse il revolver che portava alla cintura, la mano mi spinse dietro il suo corpo per proteggermi, sentii la sua voce ferma ma decisa dire: “Non prima di averti ficcato una pallottola sulla testa!”
Caddero le mandibole dei malviventi! Incominciarono a balbettare, a cambiare il tono della voce, a dire, i codardi, che avevano scherzato e così, scusandosi, si dileguarono nel buio.
Ci avviammo verso casa. Mio padre mise la sua grossa mano sulle mie spalle e questo gesto mi tranquillizzò. Procedendo stretto e quasi avvinghiato al suo corpo ogni tanto urtavo con la testa l’enorme e rassicurante fondina di cuoio. Ero pieno di orgoglio adesso ma, alzando gli occhi, vidi che lui era serio e pensieroso, ricordo che mi guardò, lo sguardo si addolcì e nel suo viso apparve un sorriso.
A.Oliveti
(Mai Taclì N. 6-2002)