Tutto Di Salvo Rap riprende
LA VILLETTA DI CARLO A GHINDA
Passando sulla diga di Massaua, diretti all’isola di Taulud, sulla sinistra dal lato opposto al porto di Massaua, vi era una costruzione in legno a palafitte sul mare, sede del “Circolo della Vela”, a destra in mezzo al mare si ergeva, e vi è tuttora, un obelisco a memoria di due piloti italiani precipitati con il loro idrovolante in quel punto di mare nel 1931; dietro di esso ,sulla estrema punta nord dell’isola di Taulud spiccava nel suo candore lo splendido palazzo del Serraglio. Giunti sull’isola di Taulud, ci avviammo alle Missioni Cattoliche. Era la vigilia del Santo Natale, entrammo nella piccola chiesetta cattolica di Massaua in ringraziamento del ricongiungimento della nostra famiglia in terra africana .Partimmo dunque per Ghinda in littorina. La mia curiosità di bambino me la fece visitare da un’estremità all’altra; papà mi fece sedere sul sedile del capotreno di fianco al conducente, potete immaginare la mia felicità, stavo per scoprire un mondo nuovo, l’Africa che i miei zii e le mie cugine mi avevano descritto con la loro immaginazione come un mondo fantastico pieno di meraviglie, stava per sfilare davanti ai miei occhi. Mi si presentò dalla littorina per la prima volta la terra africana, i palazzi grandiosi della mia Palermo erano ormai così lontani che mi sembrava impossibile che esistesse un mondo tanto diverso, selvaggio e abitato da gente così povera e nello stesso tempo così felice di quel poco che possedeva, una capanna e qualche animale. Ghinda era la sede dove papà prestava servizio come capo stazione ed era il nodo ferroviario più importante dell’Eritrea dopo quello di Asmara in quanto assorbiva i traffici sia verso Asmara che verso Massaua; quando vi arrivammo fummo accolti dai colleghi di papà che erano venuti a darci il benvenuto in terra eritrea offrendo a mamma un mazzo di fiori rossi di hibiscus, che gradì moltissimo .Papà mi presentò ad un anziano musulmano vestito elegantemente in un abito di seta lungo fino ai piedi e stretto in vita da una lunga fascia ricamata con disegni dorati, sul capo un candido turbante metteva in risalto il suo viso scuro adornato da una sottile e candida barbetta bianca; si chiamava Ibrahim, era un ex sciumbasci dei carabinieri, ormai in pensione, sarebbe stato il nostro fedelissimo maggiordomo. Quando Ibrahim mi prese per mano sentii un senso di protezione, come quando al termine del mio primo giorno di scuola, a Palermo, il nonno Carlo mi venne a prendere. Uscimmo dalla stazione. Sul piazzale antistante ebbi il mio primo vero contatto con l’Africa: sostavano lì varie carovane di dromedari, alcuni inginocchiati per terra, altri che pascolavano con le gambe anteriori legate perché non si allontanassero. Sempre per mano ad Ibrahim, con mamma, papà e alcuni indigeni con le valige, ci dirigemmo, lungo un sentiero in terra battuta, verso la villetta. Notai che era circondata da un giardino racchiuso da un basso muretto in pietra alternato da piccole colonnine a cui erano attaccate delle reti protettive. Un cancello in ferro, sostenuto da due colonne di pianta quadrata, era posto proprio di fronte all’ingresso della villetta. Ibrahim aprì la porta della villetta e mi invitò ad entrare. Sentii un profumo intenso di frutta simile a quello delle fragole; ancora non c’era l’ allacciamento della corrente elettrica per cui furono accesi i classici lumi a petrolio, i petromax. Grande fu il mio stupore nel vedere che in mezzo ad una sala c’era una tavola apparecchiata di tutto punto con piatti, posate, bicchieri e tovaglioli; al centro, poi, un grande vassoio era pieno di ogni tipo di frutta, banane, papaie, hannoni, zaituni, arance e mandarini verdi, il tutto decorato con fiori di hibiscus. Anche mamma era rimasta quasi sbalordita nel vedere una tavola così splendidamente apparecchiata dal nostro Ibrahim, l’unica cosa stonata in tavola erano i bicchieri, non di vetro ma di alluminio, alti e di forma tronco conica. Presi un lume a petrolio e cominciai ad andare in giro per la casa, quante cose scoprii che non avevo mai visto…in cucina Ibrahim stava cucinando su dei fornelli a petrolio: i primus! Ogni finestra era chiusa da una fitta rete per evitare che insetti molesti come le zanzare potessero penetrare all’interno della casa…… L’incontro con papà, lo sbarco a Massaua, la visita alla Perla del Mar rosso, il viaggio in littorina, la scoperta di questa terra africana, le sue genti, le loro povere abitazioni nei “tucul” dei villaggi che lungo il viaggio verso Ghinda di tanto in tanto si vedevano, la natura dapprima arida e poi rigogliosa, l’arrivo a Ghinda nello splendore della sua natura, l’incontro quasi scioccante con Ibrahim, avevano suscitato in me una valanga di emozioni, con questo stato d’animo mi sedetti a tavola per la prima cena nella nostra villetta a Ghinda, era la vigila de Santo Natale 1939.
Carlo Di Salvo