1962: 31 Dicembre, Massaua
Si deve salutare ancora un’anno, e fare festa, ma no per liquidare quello che tra poche
ore sarà finito, consumato, vissuto e irripetibile, chi dirà: ( non “chi”, correggo con “tutti”), diranno: finalmente è finito, speriamo che il prossimo…speriamo speriamo salvo poi ripetere la stessa cosa tra 364 giorni, pochi momenti prima di quella fine, dell’ultimo giorno, dell’ultimo respiro di questo che saluteremo con grande festa tra sole poche ore…e, di più, ci scapperà anche di dire: “almeno l’anno scorso…” perché forse non siamo mai contenti e ci aspettiamo chissà che, chissà che…
Intanto per aggraziarcelo, questo 63 che sta bussando prepotente - non si sa mai, o solo perché è un’occasione - facciamo festa: “prosit” e via a tintinnare calici. E abiti da rinnovare, scelti apposta per il veglione, per farci trovare belli ed eleganti, perché ci prenda in simpatia…per una sfida? No, solo con la speranza, come dice il proverbio, che l’anno nuovo porti vita nuova…per realizzare a pieno le proprie aspirazioni, i segreti progetti…
L’alba a Massaua
Utopia. C’è solo un cambiamento potenziale, anzi sicuro e obbligatorio, l’ultimo numero delle date che andremo a mettere sulle lettere e sui documenti, già da un attimo dopo il brindisi.
Veglioni in ogni circolo si sprecano, in certi bisogna essere soci (leggi Circolo Italiano ma non è difficile essere invitati proprio da uno di questi) in altri, specie quelli sportivi, proprio perché sportivi si può entrare liberamente, ovvio avendo prenotato. Quest’anno però, visto che non l’abbiamo mai fatto, vogliamo festeggiare a Massaua. L’alba sul mare, nella perenne foschia di quell’ora a Massaua, vale tutta la spesa. E allora, poiché anche li è difficile trovare un posto libero in un albergo e abbiamo deciso di scegliere il Ciaao visto che è capodanno e si può fare anche un extra spesa (soprattutto con la 13ma nella busta paga) Lidia Bernardi ha già prenotato da un mese, una camera per tre, perché tre siamo: Silvana Pari ed io. Abbiamo anche deciso di scendere di 1437 metri fino alla Perla del Mar Rosso in littorina. Così, perchè le nostre macchine non sono tanto attendibili specie per risalire quei 103 km. Senza respiro, sull’orlo di quei baratri infiniti e, per di più, dopo un veglione di capodanno. E poi speriamo che domani, visto l’affluenza d’ auto di ritorno, circa alle stesse ore, come una colonna, forse qualcuno disposto a darci un sedile…
Gli uffici sono chiusi oggi e quindi Lidia ed io siamo libere dalla mattina, ma i negozi restano aperti fino a tardi questa sera, per gli ultimi indecisi o indaffatari che non sono riusciti ad organizzarsi prima per cui Silvana che lavora all’IMA dovrebbe restare in negozio fino alle 20. Si può dire comunque che i giochi sono fatti: chi voleva essere “nuovo” non aspetta certo, anche se succede, l’ultimo momento. Ma all’IMA sono persone gentili e comprensive e l’hanno lasciata libera in tempo per farla scappare dove noi l’attendiamo, a bordo marciapiede, con il motore acceso come una rapina, bagagli suoi già sulla macchina e via alla stazione. La littorina ha già acceso i motori ma ci aspetta. Una corsa che ci fa iniziare a ridere rallentando invece di accelerare la nostra fretta. A bordo vuoti solo i nostri tre posti, gli altri occupati da passeggeri tutti eritrei che ci inquadrano voltandosi da ogni dove e ridono insieme a noi, senza sapere perchè ridiamo, e, alcuni, forse neppure conoscono la nostra lingua. Ma è vero che il buonumore è contagioso.
Sosta d’obbligo
Zembìl strapieni di cartocci che profumano di berberè, di uova stipate alla rinfusa, fragili ma trattate senza apprensione, sono sistemati dovunque, sui portabagagli e anche nel corridoio. Galline sporgenti tra una fila e l’altra di sedili, legate come un mazzo di fiori per le zampe, iniziano a stranazzare e gridano, se non facessero stringere il cuore gonfiandolo di una pena insopportabile si direbbe che anche loro stanno ridendo. Per fortuna si chetano quando nessuno più si muove passando loro vicino.
E’ comunque un bellissimo viaggio, la giornata è splendida come sempre, siamo sedute davanti e sembra di volare, di non avere nulla sotto i piedi ogni volta che arriva una curva che pare impossibile non spiccare il volo, che poi trovi ancora le rotaie per trattenersi contro la montagna.
Ci vogliono tre ore e mezza perché arrivi la “puzza” di Massaua; assieme alle acacie spinose e stecchite, a qualche palma dum e sabbia che pare formare delle collinette, a Edaga Berai l’odore del pesce secco, del trocas e il vento bollente che ci fa chiudere a metà i finestrini ci dice che il viaggio volge al termine. Peccato, malgrado la lunghezza, è una cosa indescrivibile, diversa da quanto fino a oggi avevamo imparato a vedere per la carrabile, attraverso i vetri delle automobili. Fa molto caldo quando scendiamo alla stazione di Taulud ma un taxi ci porta in un baleno all’albergo che del reso è a pochi passi. E qui c’è l’aria condizionata. C’è già tanta gente in giro per la hall, giù nella piscina e al bar: il salone chiuso per i preparativi del veglione. Al bar, prima di salire, prendiamo un thè ghiacciato e già incontriamo tanti amici.
Una volta salite in camera prima di buttarci sul letto per un breve riposo (che il viaggio, seppure bellissimo è pesante e le corse per acchiappare la littorina questa mattina…) apriamo la piccola valigia nella quale abbiamo sacrificato il bel vestito per questa notte…deve prendere aria appeso a una gruccia e, semmai, una passata di ferro da stiro (minuscolo, pieghevole, sempre in valigia), appoggiato l’abito sul letto. La cena è alle ventuno e trenta ma prima si servono gli aperitivi e noi, ancora in allegria, fatta la doccia e preparate a puntino, scendiamo puntuali per la scala che già odora di profumi lasciata la scia da chi prima di noi è sceso.
E sono già scesi in tanti, pieno il bar e i vari spazi fino all’esterno sulla piccola terrazza in cima alla scalinata dell’ingresso. Ognuno in mano il bicchiere dell’aperitivo, liquidi colorati, diversi, scelti dai vassoi dei camerieri che seguitano a girare per offrirli. Il salone ha aperto i battenti e i tavoli dalle tovaglie rosse apparecchiati con fantasia, porcellane candide e fiori, tanti fiori. L’orchestra sottovoce, riempie lo spazio, se mai ve ne fosse di vuoto in questo set preparato a dovere per girare le scene della festosa, importante notte. Una notte divisa a metà, quella della “fine” e quella dell’”inizio” di due anni che si passeranno il testimone. Una notte felice per qualcuno, una notte deludente per qualcun’altro, infelice, infelicissima anche…speriamo per pochi.
E passa, veloce tra balli e chiacchiere e, perché no, intrighi. I profumi sono meno intensi, ora non lasciano la scia, gli abiti un po’ sgualciti, gli occhi arrossati…dalle finestre aperte sulla grande terrazza si fa avanti la luce dell’alba che sbiadisce quelle dei lumi. L’alba di Massaua… impareggiabile. Ma è stata lunga e rumorosa la notte che si sta arrendendo, ora non c’è più energia per uscire nella foschia e camminare, camminare e ascoltare i gridi dei gabbiani, delle rondini marine che salutano il giorno. Sarà per un’alta volta.
Sono le quattordici del primo gennaio quando, dopo un breve svogliato pranzo nel salone tornato quello di tutti i giorni, spogliato dai fronzoli del veglione, saliamo su una grande auto dove due amici ci ospitano per il ritorno. Stanche ma ben sveglie malgrado le pochissime ore di sonno, ci accomodiamo tutte e tre nel sedile posteriore. E più che mai in allegria, contente per aver passato due belle giornate, contagiamo i due amici e ci mettiamo a cantare. La macchina è veloce e lascia in fretta alle spalle l’aria puzzolente di Edaga, e poi per Saberguma. Mi sovviene all’improvviso di non aver preso la xamamina: soffro troppo la macchina e per la strada che stiamo percorrendo è d’obbligo. E ora? Ma non sono la sola ed è Lidia a cominciare… ”Scusate, non mi sento bene, puoi fermare un momento?” Ha smesso di cantare appena alle prime curve di Dogali.
Scende appena ferma l’auto e Silvana subito dall’altro sportello…io sto in mezzo ma non aspetto un attimo a seguirle: la xamamina è dentro la valigia ma…è troppo tardi per ingoiarla.
Incomincia così il rosario delle fermate. E tutte e tre abbiamo lo stesso problema… la stanchezza, il cenone, le terribili curve…A Ghinda ci fermiamo, è d’obbligo anche questo, fermarsi al Buon Respiro per “prendere qualcosa” e oggi più che mai per farci riprendere fiato. Stiamo bene una volta con i piedi per terra, facciamo anche delle foto, sembra tutto passato. C’è molta gente che torna a casa, alla vita di tutti i giorni che non cambierà neppure con il numero dell’anno. Dobbiamo fare anche la fila per prendere un caffè. Ma ci fa bene, è davvero tutto passato…e resistiamo quasi fino a Nefasit ma cantando sempre di meno. Mortificate perché non siamo una buona comapagnia per i nostri cari amici che ci hanno accolto gioiosamente e che ridono della nostra “disgrazia”. Poi chi guida dice: “Al Dorfu vi buttiamo giù nella discarica: così anche le iene fanno capodanno!”. Ridiamo certo…: chi non sa che al Dorfu c’è l’immondezzaio e la notte le iene ci fanno festa ? Ma… ridiamo per forza ora…era andato tutto così bene ieri…non sarà che anno nuovo…(Buone feste a tutti con affetto e simpatia. Evviva l’anno che verrà! n.d.oggi)
Marisa Baratti