Razzismo sì, razzismo no: … ma all’italiana
Sia chiaro sin dalla premessa che le presenti considerazioni riguardano solo i tempi ed i luoghi che ci appartennero.
Spesso accusati di essere razzisti i colonizzatori italiani praticarono e subirono il sentimento del razzismo sia come oppressori che come vittime, loro stessi. Ma fortunatamente i danni non sono mai stati irreparabili e spesso le vittime attribuite al razzismo rientravano più nei fatti di cronaca.
E’ innegabile che una certa differenza tra noi e gli Eritrei veniva sancita nei fatti e nei comportamenti. Fin dalla stesura dei Piani Regolatori delle nuove città era prevista la separazione tra quartieri per Nazionali (si diceva allora, in senso lato per Europei) che per gli Indigeni, così per i Trasporti, per la Sanità e per la Scuola ma l’intento non era di sancire la superiorità degli uni e l’inferiorità degli altri. Le Autorità volevano a tutti i costi evitare discussioni, questioni, occasioni di lite o manifestazioni di odio ed in questo senso funzionava.
Prova della intolleranza del razzismo, nell’accezione più negativa, erano le leggi severissime che punivano la prepotenza ed i maltrattamenti, tutti i Regolamenti lo sancivano, anche quelli militari e la punizione dopo l’ammonizione era, per noi Italiani, il rimpatrio immediato. Il concetto di superiorità era bandito, la schiavitù era stata definitivamente cancellata, l’idea che alcuni individui dovessero sparire non ci ha nemmeno sfiorato. Il lavoro, la proprietà e la dignità di ognuno veniva rispettata e non solo perché sancita per legge, sin dal 1889, ma perché faceva parte del sentire comune di quasi tutti gli Italiani.
I più umili tra gli Eritrei, tradizionalmente potenziali schiavi degli Abissini ne trassero grande beneficio, apprezzarono e per la prima volta godettero di pari dignità.
I più spiritosi tra gli Italiani erano soliti dire, agli Eritrei che si lamentavano per le differenze: “ma scusate prima dove erano i servizi, le scuole ecc. accettate il nuovo stato di fatto e godetene i benefici” e questo bastava a troncare ogni discussione anche se continuavano gli intimi, repressi, risentimenti degli irriducibili che poi si sono manifestati, dopo la caduta dell’Impero, proprio dalla parte loro e noi ne fummo allora vittime abbandonando tutto e marchiati dalla “dannazione della nostra memoria”.
Nel 1938 con le Leggi Razziali del Regno d’Italia, nulla cambiò non se ne conosceva nemmeno l’esistenza, certo la Gazzetta Ufficiale arrivava (ma la leggevano in pochi, come adesso!) l’alto funzionario ex governatore Alberto Pollera si preoccupò soprattutto per i Meticci, di cui era anche padre, fece presente a Roma che era una grande ingiustizia anche per i grandi meriti dei Meticci sia nel campo militare che civile e per l’opera di mediazione da questi svolta per la convivenza.
Sotto l’occupazione Inglese il nostro sistema non solo venne accettato ma imposto anche più rigidamente, allo scadere del loro mandato e sino al 1975, l’integrazione nelle nostre strutture fu completa, in tutti i campi, ed i costi economici altissimi per voi Italiani del dopoguerra; e, vittime del razzismo diventammo noi che colà risiedevamo.
Non si può quindi paragonare il razzismo “vecchio coloniale” a quello che invece avvelena l’odierna Società. L’Italia era il paese a parole più anti-razzista del mondo: si criticavano gli U.S.A il Sudafrica, i Portoghesi ecc. si davano lezioni di etica a tutto il mondo; sino a che gli stranieri sono giunti, in massa, a partire dagli anni settanta, nel Bel Paese. Allora si deve parlare più di xenofobia che di razzismo! ma questo è un problema attualissimo nel quale non intendiamo entrare o esprimere valutazioni.
Sarà quindi inutile ritornare sull’argomento ma parafrasando Ponzio Pilato, quando stanco delle lamentele e dell’insoddisfazione dei Sacerdoti circa l’iscrizione sulla Croce disse: “Quel che ho scritto ho scritto”, troncando il discorso. Ma voi lettori: tolleranti, intelligenti e curiosi d’indagare la verità, ci perdonerete l’irriverente paragone.
05. ’15 M.T. La Redazione.